La Difesa taglia i fondi al Comitato Atlantico

di Pertick One da Dagospia del 30 luglio

Rimediare figure in bemolle con le candidature che non abbiamo portato a casa (vedasi vicenda Mogherini-Pesc) è ancora normale. Specie se il paese è l’Italia. Rimediarle con le candidature che abbiamo già incassato, però, è un salto di qualità persino per i nostri già elevatissimi standard internazionali. Eppure, è quanto rischia di succedere tra poco. Vediamo perché.
A fine maggio un italiano, il diplomatico Fabrizio Luciolli (nella foto sotto) , è stato eletto presidente per il trienno 2014-2017 dell’Atlantic Treaty Association (Ata), l’ente della Nato che da quando esiste il Trattato atlantico si occupa di fare analisi e informazione (l’organizzazione si definisce “network facilitator”) sui temi di politica militare ed estera inerenti l’attività dell’Alleanza. Niente di paragonabile alla poltrona di segretario generale per cui pure l’Italia era stata lungamente in corsa, ma si tratta di un riconoscimento nondimeno importante. I singoli Paesi partecipano all’Ata mediante i rispettivi Comitati atlantici, il cui funzionamento dipende dagli stanziamenti governativi. Per il Comitato italiano (di cui Luciolli è segretario generale), dal 2010 si è iniziato a provvedere al contributo mediante decreto missioni: nel 2013, lo stanziamento è stato di 400mila euro.

E qui iniziano i dolori. Nel 2014, causa cambio in corsa a Palazzo Chigi, il contributo si è fatto attendere fino al decreto per il secondo semestre. Ed è arrivato con sorpresa: lo stanziamento è stato ridotto a un ottavo rispetto al necessario: appena 50mila euro. La cifra non è sufficiente a coprire i costi di mantenimento del Comitato atlantico e il rischio è che l’ente si veda costretta a dichiarare l’impossibilità di assolvere ai compiti derivanti dalla presidenza dell’Ata (o qualunque altro compito, se è per questo) e serrare i battenti. La deadline è a breve scadenza: se entro ottobre dal governo non saranno arrivate risposte, il Comitato chiuderà.

La beffa che si profila, pertanto, è la seguente: un italiano fresco di elezione che si presenta di fronte all’organismo di cui deve diventare presidente per dire che si scusa tanto, ma deve rinunciare all’incarico perché il governo non gli dà i soldi necessari a mantenere in vita la struttura operativa. E che pertanto l’organismo di cui sopra farebbe meglio a scegliersi un nuovo capo di un Paese più solvibile del nostro. Palazzo Chigi troverà il modo di salvarsi in corner ed evitare la magra?

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