Wahabiti albanesi in Macedonia

Nelle settimane scorse Skopje è stata il centro di fortissime proteste anti-Governative organizzate da alcune migliaia di cittadini macedoni di etnia albanese, che hanno condotto una vera e propria guerriglia urbana. Questi fatti hanno allarmato i vertici del Paese, fortemente preoccupati dalla crescente tensione interna che rischia di incrinare ulteriormente i rapporti fra i vari gruppi etnici presenti sul territorio nazionale. Stando alle dichiarazioni ufficiali, comunque, le ragioni del malcontento erano da ricercare nell’ostilità dei manifestanti vero la condanna inflitta a sei albanesi riconosciuti colpevoli di aver organizzato e compiuto l’esecuzione di cinque giovani macedoni nell’aprile del 2012, fatto di sangue che aveva già creato forte instabilità e contrasto in seno alla nazione. Secondo alcuni giornali Turchi come il Journal of Turkish Weekly, invece, le violenze sarebbero state causate dal comportamento del premier Nikola Gruevski (nella foto qui accanto), accusato di non rispettare abbastanza i diritti della consistente popolazione albanese, per la quale, invece, Ankara dimostra di avere sempre maggiori attenzioni.

Nonostante le notizie a riguardo siano poche e siano state pressoché ignorate dai media europei, grande attenzione è stata data agli scontri da parte dei principali giornali serbi, fortemente allarmati dall’evoluzione del fenomeno, che viene visto come una potenziale minaccia alla stabilità di tutti i paesi limitrofi in cui forte è la presenza di minoranze albanofone. Gli scontri dei giorni scorsi, infatti, hanno visto coinvolti migliaia di manifestanti, molti dei quali inneggiavano alla “Grande Albania”, all’UCK ed esponevano orgogliosamente bandiere dell’Arabia Saudita e dell’Albania. Sebbene i richiami all’idea di uno stato che comprenda anche il Kosovo, parti del Montenegro, della Macedonia, della Serbia e della Grecia, sembrino essere semplicemente degli slogan scanditi da gruppi estremisti, vi è diffusa preoccupazione per quelle che potrebbero essere le conseguenze di lungo periodo.

L’aspetto maggiormente meritevole di attenzione, comunque, è che, secondo la Tv di Stato Serba RTS, le violenze sarebbero da attribuire a gruppi di wahabiti che, slegati dalle tradizionali associazioni locali islamiche, seguono la linea “dura” di ispirazione saudita, che permette loro di incrementare la propria influenza soprattutto tra i giovani.  Questo fenomeno ha conosciuto una crescita costante a partire dalle guerre combattute nei primi anni ’90 ed interessa non solo la capitale e le parti settentrionali e occidentali della Macedonia, ma anche alcune zone della Bosnia, il Kosovo e le aree dell’ex Sangiaccato di Novi Pazar (potenzialmente, quindi, quasi tutte le aree reclamate dai sostenitori della grande Albania).

Come scritto già un anno fa dal professor Kotovcevski dell’Università di Skopje, l’aspetto preoccupante di questa re-islamizzazione è che sembra non conoscere ostacoli. Il reclutamento costante di ragazzi di età compresa fra i 16 e i 20 anni, ad esempio, procede senza sosta e permette non solo di espandere e rafforzare il movimento nell’area, ma spesso anche di rifornire i flussi di combattenti per il Jihad nelle varie parti del mondo

. Oltre a ciò, comunque, questi gruppi cercano anche di intimorire e condizionare i musulmani moderati che vivono sullo stesso territorio, al fine di dimostrare la propria “superiorità” e limitare l’azione di potenziali concorrenti, motivo per cui la storica comunità sufi è vittima di costanti violenze.

Sebbene nell’ultimo periodo ci sia stato un discreto attivismo diplomatico, soprattutto per favorire l’integrazione nella UE di nuovi membri (Serbia in primis), l’Unione Europea non è riuscita ad affrontare questi preoccupanti fenomeni, resi ancor più minacciosi dalla prospettiva del ritorno a casa di svariate centinaia di combattenti islamici impegnati ora in Siria ed Iraq. I piccoli stati indipendenti formatisi dopo il collasso della Jugoslavia, infatti, da soli non sono in grado di contenere l’influenza di altri attori che, a differenza di Bruxelles, hanno nei Balcani uno degli elementi chiave della propria politica estera e che ripercorrono in parte il sentiero tracciato in passato dall’Impero Ottomano.

Il problema risulta evidente soprattutto per quanto riguarda le popolazioni di fede islamica, sempre più oggetto di palesi tentativi di “seduzione” e conversione promossi da correnti religiose estranee al territorio, ma estremamente efficienti, ed utilizzate da grandi stati musulmani come teste di ponte per incrementare l’influenza politica in loco. E’ pertanto probabile che se nulla verrà fatto a riguardo, la UE si troverà costretta a rincorrere l’attivismo dei suoi concorrenti anche nell’area balcanica, con poco tempo a disposizione e un grande sforzo da fare.

Foto: MIA, RTS, Winds of Jihad, Counterjihad

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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