ARMI AI CURDI, OCCASIONE SPRECATA

Il dibattito politico sorto intorno alla fornitura di armi ai curdi iracheni ha mostrato ancora una volta la pochezza e superficialità della politica italiana. L’impressione è che della questione non importasse quasi nulla a nessuno ma il tema andasse affrontato per dimostrare che l’Italia esiste e ha una politica estera, esigenza quanto mai pressante nel momento in cui Roma ha la presidenza semestrale dell’Unione Europea e il premier Matteo Renzi vuole a tutti i costi portare il titolare della Farnesina, Federica Mogherini, a guidare la politica estera comunitaria: probabilmente lo scranno più inutile e vago di tutta la Ue.
Sui contenuti la “prestazione” di governo e Parlamento è stata davvero di basso livello. Tra i banchi dell’opposizione c’è chi ha difeso lo Stato Islamico senza ben sapere cosa sia e chi ha proposto negoziati di pace al posto di forniture di armi come se l’Italia avesse una reale influenza sull’area mediorientale. Nel governo la crisi irachena ha permesso al premier di illuminarci con le sue profonde riflessioni ricavate dalla visita lampo a Baghdad e Erbil, la più indimenticabile delle quali è costituita da un “tweet” abbinato a una foto in cui “batte un cinque” a un bimbo profugo di guerra.  “E’ dura spiegare la guerra agli adulti. E’ impossibile farlo ai bambini” ha scritto Renzi senza rendersi conto che quei bambini la guerra potrebbero spiegarla a lui e a buona parte degli adulti europei.

Al di là dell’ingenua e disarmante propaganda con cui Renzi cura la sua immagine, il dibattito nelle commissioni parlamentari Esteri e Difesa ha evidenziato ben poco di concreto e quel poco che faremo per i curdi in termini militari potrebbe essere inutile ai fini del supporto ai peshmerga. Del resto il ministro Mogherini ha puntualizzato subito che gli aiuti ai curdi sono “indispensabili ma non risolutivi”.  Da quel poco che è stato detto dall’Italia i curdi riceveranno infatti solo armi leggere e forse qualche razzo Rpg ma non i missili anticarro e l’artiglieria di cui hanno bisogno per contrastare le milizie dello Stato Islamico equipaggiate con tank e blindati sottratti a tre divisioni dell’esercito iracheno collassate nel giugno scorso tra Mosul, Tikrit e Baji.
Gli interventi dei ministri Federica Mogherini e Roberta Pinotti non hanno fornito neppure una lista delle armi e munizioni che Roma invierà ai curdi.

Paradossale che il ministro della Difesa abbia elencato scrupolosamente gli aiuti umanitari trasportati a Erbil (49 tonnellate di alimenti, in particolare biscotti proteici e acqua potabile, 200 tende e 400 sacchi a pelo) ma non un solo quantitativo o nome di armamenti.
Il governo “è impegnato a valutare” le esigenze dei curdi attraverso “il sollecito invio di materiale militare d’armamento già in uso alle forze armate nazionali. Tale contributo, destinato alla difesa personale e d’area, è costituito da armi automatiche leggere dal relativo munizionamento”. I curdi dovrebbero quindi ricevere mitragliatrici Browning M-2 calibro 12,7 millimetri (nella foto a sinistra -US DoD) e MG-42 calibro 7,62,“mitragliatrici (foto più in basso) che le nostre forze armate usavano e non usano più” ha detto ilo ministro.
Si tratta però di armi che i curdi non impiegano per i quali occorrerà addestrare il personale (ma non lo faranno gli italiani perché non è prevista la presenza di consiglieri militari in Kurdistan) e in ogni caso non potranno essere utilizzate a lungo per mancanza di munizioni e ricambi.

I peshmerga utilizzano per lo più armi di origine russo-sovietica come be  sa il ministro Pinotti che infatti ha aggiunto che è “all’esame l’evenienza di cedere” armamenti “più famigliari e confacenti alle esigenze manifestate dai curdi, costituiti da armi individuali, di squadra e contro-mezzi (con relativi munizionamenti), tutti di fabbricazione ex-sovietica”. Il riferimento è all’arsenale sequestrato nel 1994 sulla nave Jadran Express intercettata mentre si dirigeva verso la Croazia violando l’embargo internazionale alla ex-Jugoslavia.

Nei  200 container imbarcati c’erano 30 mila kalashnikov con oltre 20 milioni di proiettili, 50 lanciatori e 400 missili anticarro AT-4 Spigot, 50 batterie lanciarazzi del tipo BM-21 con  5.061 razzi Grad, centinaia di lanciarazzi Rpg-7 e Rpg-9  con 10 mila razzi.  Una parte di queste armi, conservate da 20 anni nelle gallerie scavate nella  montagna dell’isola sarda militarizzata di Santo Stefano, è stata fornita nel 2011 ai ribelli libici di Bengasi che combattevano contro l’esercito di Muammr Gheddafi. Una consegna che doveva restare segreta ma che venne gestita in modo “fantozziano” imbarcando i container contenti le armi su un traghetto civile. La cosa divenne quindi di pubblico dominio con tanto di interrogazioni parlamentari e inchieste della magistratura bloccate dalla decisione del governo Berlusconi di porre il segreto di Stato. Lunedì scorso la notizia della visita di Roberta Pinotti al deposito di Santo Stefano (che doveva restare segreta negli intenti del Ministero della Difesa)  ha confermato il piano di fornire ai curdi proprio quelle armi.

Nulla di sicuro però perché la Pinotti ha parlato di un’evenienza presa in esame precisando  che si tratta “di razzi anticarro e soprattutto di munizioni” che fanno parte “di quelle armi confiscate”.  Dalle indicazioni fornite dal governo sembra quindi di che i curdi riceveranno solo razzi Rpg a corto raggio ma non i ben più necessari missili controcarro AT-4 che però nel 2011 fornimmo senza tante remore ai ribelli libici (nonostante il Trattato di amicizia firmato con Gheddafi) inviando laggiù anche istruttori militari che gli insegnassero ad usarli.
Con gli Rpg i peshmerga potranno attaccare con scarsa precisione i veicoli nemici al massimo a poche centinaia di metri, con gli AT-4 potrebbero distruggere carri armati da 2,5 chilometri di distanza.
“I nostri peshmerga sono in numero sufficiente e hanno grande coraggio, ma non possono arginare l’IS con i mezzi al momento a loro disposizione”, ha detto lunedì l’alto rappresentante del governo regionale del Kurdistan in Italia, Rezan Kader sostenendo la necessità di ricevere in particolare “missili anti-tank ed elicotteri”.

Forniture di velivoli sono fuori discussione e richiederebbero tempi molto lunghi ma i missili anticarro e artiglieria sono indispensabili per fronteggiare i jihadisti equipaggiata con centinaia di tank e blindati inclusi molti carri americani M-1 Abrams.

Fuad Hussein, capo del gabinetto del presidente dell’enclave autonoma curda nell’Iraq settentrionale Masoud Barzani, intervistato dal Corriere della Sera, ha elencato le necessità dei curdi sottolineando  l’arretratezza delle armi a disposizione rispetto ai mezzi su cui possono contare i terroristi del Califfato. “I nostri nemici sono armatissimi e noi abbiamo quasi nulla oltre ai nostri kalashnikov e a ciò che ci rimane degli arsenali di Saddam presi ormai undici anni fa. Visori per la guerra notturna, fucili di precisione per i cecchini,  blindati anti-mina, armi anticarro, equipaggiamento anti-mine e per il disinnesco degli esplosivi   ed elicotteri sono le richieste di Hussein che l’Italia non soddisferà.

Il rischio è che le armi italiane risultino troppo leggere o di tipo e calibro non compatibile con la logistica dei peshmerga.  La Pinotti inoltre ha presentato le forniture di armi come eventuali e non ancora decise sostenendo che “andranno individuate quelle ritenute più necessarie dalle autorità irachene, in coordinamento con gli altri Paesi europei che  partecipano allo sforzo internazionale”.
L’impressione è che Roma non voglia irritare il governo iracheno fornendo a Erbil armi pesanti che potrebbero domani dare maggior peso  all’indipendentismo curdo.  Al tempo stesso però senza le armi pesanti i curdi non potranno arginare lo Stato Islamico contro il quale è meglio non fare troppo conto sull’esercito di Baghdad (o quanto ne resta) e sulle milizie scite che lo affiancano.
Tra curdi e sciti al governo in Iraq del resto le tensioni sono sempre più forti. Baghdad rimprovera agli USA di utilizzare le incursioni aeree (appena 90 tra l’8 e il 20 agosto, di cui 57 nel settore della diga di Mosul) solo per appoggiare i curdi e non le truppe di Baghdad disprezzate dai peshmerga.

“Tra noi e la capitale è nata un’enclave armata e pericolosa di militanti estremisti sunniti. Baghdad non solo non è stata capace di combatterla, ma soprattutto non ci ha difeso” ha detto Fuad Hussein. Neppure sui tempi di consegna delle armi in Kurdistan il governo italiano è stato in grado di fornire una tempistica. La Pinotti ha detto che la pianificazione dell’invio delle armi via aereo e via nave sarà messa a punto “dai prossimi giorni” per poi “tempestivamente entrare nella fase operativa”. E’ evidente però che armi trasportate con i C-130J a Erbil arriveranno ai curdi in poche ore ma quelle trasportate su nave fino agli Emirati Arabi Uniti e poi da al-Batin in aereo fino in Iraq impiegheranno diverse settimane.

Resta da chiedersi il perché di tanto polverone della politica italiana sul Kurdistan iracheno, area in cui se anche volessimo non avremo mai un’influenza, quando la Libia ci sta scoppiando in faccia nel più totale immobilismo di Roma.
Ovviamente senza nulla togliere (ci mancherebbe….) all’importante traguardo raggiunto con gli oltre 100 mila immigrati clandestini portati in Italia dalle coste libiche dall’inizio dell’anno. Cento mila persone che hanno comprato  “il biglietto” nei botteghini della malavita nordafricana collusa con gli estremisti islamici ma dei quali ben 70 mila hanno viaggiato sulle navi della Marina.
Se oltre a “battere il 5” ai bimbi profughi di guerra Matteo Renzi punta a dare un ruolo all’Italia nella lotta ai jihadisti meglio farlo da protagonisti in Libia, dove sono in gioco i nostri vitali interessi nazionali, che da comparse in Iraq.

Foto: Ministero Difesa, US DoD, Reuters, Stato Islamico

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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