Guerra allo Stato Islamico: le alleanze imbarazzanti

Da quando sono iniziati i raid americani sulle basi dello Stato Islamico (Is) in Iraq, lo scorso 8 agosto, i bollettini dei comandi militari Usa sono molto avari di informazioni riguardo alle unità coinvolte nei bombardamenti. L’obiettivo è quello di tener nascoste, o per lo meno mascherate, le basi – principalmente nel Golfo – da dove partono i caccia in modo da evitare imbarazzi ai partner della regione. Le monarchie del Golfo da tempo ospitano forze americane per rafforzare la propria sicurezza, ma allo stesso tempo sono quanto mai restie ad ammetterlo pubblicamente, tanto più quando si tratta di raid su altri paesi islamici. La situazione è resa ancora più complicata dal fatto che questi emirati sono accusati di aver chiuso per troppo tempo un occhio sulle attività di fundraising in favore di gruppi estremisti.

Tra questi, secondo quanto ricostruisce il “Washington Post” sulla base degli aerei utilizzati, il Qatar che ospita la base aerea di Udeid, che è una delle tre basi – insieme alla Ali al Salem in Kuwait e Dhafra Air Base negli Emirati Arabi Uniti – da cui sono partiti i due terzi dei raid condotti dall’8 agosto scorso, insieme ai voli di ricognizione iniziati a giugno. A queste basi va aggiunta quella di Incirlik, in Turchia, alleato Nato, da dove partono i droni Predator.

I restanti raid sono invece partiti dalla portaerei George H.W.Bush, portaerei Usa che si trova nel Golfo Persico. Insomma, questi paesi si trovano nella posizione ambigua di appoggiare da un parte l’azione americana contro l’Is che ha preso il controllo di vaste regioni di Iraq e Siria, ma d’altra parte non vogliono affermarlo, nel timore di reazioni da parte della popolazione. “Questa è un’ambiguità che entrambe le parti hanno interesse a mantenere”, afferma al Washington Post, Mustafa Alani, del Gulf Research Center di Ginevra, sottolineando che il Pentagono, dopo il ritiro dall’Iraq nel 2011, dipende sempre di più dai paesi del Golfo per ospitare il grosso delle sue forze in Medio Oriente.

La base strategicamente più importante è quella di Udeid, in Qatar, sede del comando centrale dell’Air Force per le operazioni in Medio Oriente e Afghanistan (Central Command). La base – che ospita circa 9mila militari e contractor e oltre 90 aerei, tra cacciabombardieri  e velivoli di supporto – è stata per molti anni una sorta di “segreto di Pulcinella”, con il Pentagono che evitava di nominarla in pubblico indicandola come una base nel sud dell’Asia.

Le cose sembravano cambiate lo scorso dicembre, quando fu data pubblicità alla visita del ministro della Difesa Chuck Hagel che ha rinnovato per 10 anni l’accordo con il Qatar per la presenza delle truppe americane in quella che finalmente veniva indicata come la base di Udeid. Ma dallo scorso giugno, da quando cioè Barack Obama ha cominciato, seppur riluttante, a prepararsi all’inevitabile azione in Iraq, gli ufficiali delle pubbliche relazioni del Pentagono sono ritornati alla vecchia reticenza.

Una posizione così spiegata dal portavoce del CentCom, maggiore Curtis Kellogg: “nel rispetto della sensibilità dei paesi ospitati e per ragioni di sicurezza non daremo le specifiche sulle basi di partenza e sui velivoli”.
Qualche imbarazzo lo crea, questa volta a Washington, l’inedita “alleanza” con la Siria Bashar Assad contro lo Stato islamico.  Gli Stati Uniti non intendono coordinarsi con la Siria per combattere gli estremisti dell’IS  “Non ci sono piani” in merito, ha fatto sapere l’amministrazione Obama, che però ha dato il via libera alle missioni di ricognizione sulla Siria eseguite con droni e aerei spia. Il governo del presidente siriano, Bashar al-Assad, ha detto di essere pronto a collaborare con l’Occidente, contro gli estremisti, “ma solo con il nostro coordinamento”.

Al Jazeera, citando fonti anonime dell’amministrazione americana,  ha riferito che i voli statunitensi sul territorio siriano sono già iniziati ed è probabile che un coordinamento con Damasco sia in atto ma venga mantenuto segreto per motivi “di opportunità” politica. In assenza di un’intesa di questo tipo il rischio è che jet e batterie antiaeree siriane abbattano i droni statunitensi. Del resto pare che velivoli britannici (cacciabombardieri Tornado e aerei spia Sentinel R-1 basati a Cipro) sorvolano già il territorio siriano sul quale sembra siano operativi i reparti speciali di Sua Maestà  ufficialmente a caccia di cittadini britannici che combattono con l’IS. Le cose sembravano cambiate lo scorso dicembre, quando fu data pubblicità alla visita del ministro della Difesa Chuck Hagel che ha rinnovato per 10 anni l’accordo con il Qatar per la presenza delle truppe americane in quella che finalmente veniva indicata come la base di Udeid.

Ma dallo scorso giugno, da quando cioè Barack Obama ha cominciato, seppur riluttante, a prepararsi all’inevitabile azione in Iraq, gli ufficiali delle pubbliche relazioni del Pentagono sono ritornati alla vecchia reticenza. “Usiamo tutti gli strumenti a nostra disposizione”, ha detto una fonte dell’amministrazione americana ad al Jazeera, “e le nostre opzioni non vedono limiti nei confini geografici”. Ieri Damasco si era detta disposta a consentire raid aerei contro gli jihadisti sul suo territorio, sotto il suo coordinamento ma aveva avvertito che qualsiasi azione va coordinata con il governo siriano. “Non abbiamo alcun piano” in direzione di un coordinamento con Assad, ha detto oggi Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, ma secondo alcune fonti i servizi di intelligence dei due Paesi si starebbero già scambiando informazioni, attraverso Baghdad e Mosca. L’Osservatorio siriano dei diritti umani ha riferito che “droni non siriani hanno sorvolato l’area di Deir Ezzor”, la provincia petrolifera nell’est del paese, in cui si trovano covi dello Stato islamico bombardati proprio oggi dall’aviazione siriana.

Tra gli aspetti imbarazzanti delle “strane alleanze” in atto per fermare lo Stato Islamico figurano le forniture di armi iraniane giunte ai peshmerga curdi dall’Iran.  Un aiuto reso noto presidente curdo Masud Barzani, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ad Erbil e teso a compensare il blocco attuato da Baghdad delle armi in transito dalla capitale irachena donate dai Paesi occidentali e dirette in Kurdistan.  Zarif ha precisato che Teheran non ha inviato i propri militari in Iraq come invece era trapelato in riferimento a un reggimento corazzato di 1.500 militari iraniani con carri M-60 che sarebbe stato coinvolto per alcuni giorni nella battaglia per la riconquista di alcuni villaggi curdi occupati dai jihadisti.

Teheran ha minacciato di intervenire “senza restrizioni” nel conflitto se anche le città sante sciite di Kerbala e Nayaf cadranno nelle mani dell’Is. Il ministro dell’Interno Abdolreza Rahmani’-Fazli ha spiegato che l’eventuale caduta delle due città è la linea rossa fissata dal presidente Hassan Rohani.

 

(con fonti Adnkronos, TMNews e AGI)

Foto: Reuters, US Navy, General Atomics, AFP

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