L'Isis a caccia di bottino per pagare la "guerra santa"

da La Nuova Bussola Quotidiana

La componente ideologica non è certo ininfluente nella “pulizia etnica e religiosa” attuata nel nord dell’Iraq dai miliziani dello Stato Islamico e l’obiettivo di creare un’entità nazionale (il Califfato) ispirata al sunnismo purificato dall’adesione alla sharia più rigida costituisce senza dubbio un obiettivo manifesto e pubblicizzato dall’efficiente propaganda dell’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdad.
Non dimentichiamoci però che lo stato Islamico non è un esercito regolare, è certo ben armato e addestrato ma opera come una milizia che vede accomunati i suoi combattenti dall’appartenenza alla stessa tribù nel caso dei combattenti iracheni e siriani o alla stessa causa nel caso dei jihadisti internazionali. Gli arabi combattono con furia e determinazione, spesso in modo disordinato, ma con l’obiettivo principale di acquisire bottino la cui divisione speso porta a furiosi litigi tra le diverse milizie sottolineava già cent’anni or sono Thomas Edward  Lawrence, l’ufficiale britannico meglio noto come “Lawrence d’Arabia” che guidò la vittoriosa rivolta araba contro i l’Impero Ottomano nella Prima guerra mondiale.

Anche oggi il bottino rappresenta uno degli obiettivi principali di Abu Bakr al-Baghdadi e dei suoi alleati: una vasta costellazione di movimenti qaedisti e salafiti attivi in Siria, milizie tribali sunnite e baathisti iracheni guidati dall’ultimo gerarca del regime di Saddam Hussein, Izzat Ibrahim al Douri.
Difficile immaginare che l’ultimo delfino di Saddam con un passato nei servizi segreti possa avere tendenze islamiste o qaediste ma certo l’alleanza con lo Stato Islamico ha portato al successo di liberare il  nord Iraq dalla presenza dagli sciiti, del governo di Baghdad e dalla popolazione sciita in fuga come cristiani e yazidi.

Al di là degli interessi politici e militari il bottino costituisce ancor oggi un importante collante che tiene insieme anime così diverse che già negli anni scorsi non erano riuscite a convivere. Nel 2004/6 la presenza militare statunitense impedì a qaedisti, baathisti e tribù sunnite di vincere la guerra contro il debole governo di Baghdad e di accedere al “bottino”. Per questa ragione nel 2007 il generale David Petraeus ebbe buon gioco a indurre le milizie tribali sunnite a ribellarsi ai qaedisti (costituendo i noti “comitati del risveglio” che riconoscevano negli “ameriki” la “tribù” più forte) in cambio ovviamente di denaro, armi  e dell’impegno di Baghdad, poi non mantenuto dal governo scita, a garantire loro incarichi e posti di lavoro.

La recente campagna scatenata dai ribelli è stata del resto incentrata proprio sul bottino. I milioni di dollari rinvenuti nei forzieri della banche di Mosul, centinaia di carri armati, blindati, pezzi d’artiglieria e veicoli catturati intatti nelle caserme dell’esercito iracheno dove intere brigate hanno sbandato, sono fuggite o passate con lo Stato Islamico che secondo fonti curde conterebbe oggi 100 mila combattenti contro i 10/ 30  mila stimati nel giugno scorso. Un bottino acquisito facilmente grazie proprio agli uomini di al-Douri, baathisti che secondo fonti d’intelligence sono ancora ben infiltrati negli apparati amministrativi e militari dell’Iraq settentrionale.
Esaminando quanto accade in quella regione con l’ottica del “bottino” emerge chiaramente il vantaggio conseguito dallo Stato Islamico nella cacciata di oltre un milione di iracheni sciiti, cristiani e yazidi dalle loro case. Un esodo indotto con stragi ed esecuzioni di massa tese a seminare il terrore tra la popolazione ma che non sembra avere l’obiettivo del genocidio come hanno confermato anche i dati raccolti sul terreno dalle forze speciali statunitensi inviate in ricognizione sulle montagne del Sinjar.

L’obiettivo dello Stato Islamico era legato al bottino: case , denaro, beni, ricchezze, veicoli, terreni da utilizzare per pagare i costi della guerra, gli stipendi ai combattenti, i “dividendi” ai diversi “azionisti” della company di cui al-Baghdadi è amministratore delegato.  Tra i ”beni” requisiti non mancano le ragazze,  per lo più cristiane e yazide, da convertire a forza all’Islam e da darle in sposa alle decine di migliaia di giovani volontari affluiti da tutte le comunità islamiche di Asia, Africa ed Europa e che puntano ovviamente a ottenere una piccola fetta di bottino: un lavoro come combattente stipendiato, una casa e una moglie.

La conferma delle motivazioni economiche legate alla pulizia etnica giunge dalle stesse testimonianze degli yazidi che si dicono ”traditi dagli amici sunniti” che per secoli erano stati loro vicini di casa. “I jihadisti erano afgani, bosniaci, arabi, o anche americani e britannici. Ma i peggiori massacri li hanno orchestrati quelli che vivevano con noi, i nostri vicini musulmani” ha raccontato Sabah Hajji Hassan, uno yazida di 68 anni che è riuscito a trovato rifugio nel Kurdistan iracheno. “Le tribù Mewet, Khawata e Kejala, erano tutti nostri vicini. Ma si sono uniti allo Stato Islamico, hanno ricevuto armi, e hanno indicato chi era yazida e chi no”.

Nessuna comunità minoritaria è stata risparmiata dal 9 giugno scorso, quando prese il via l’offensiva dello Stato Islamico.  “Tutti gli iracheni sanno come usare un’arma, non hanno bisogno di essere addestrati. Lo Stato Islamico ha dato loro armi pesanti, veicoli corazzati, AK-47… che avevano preso dall’esercito iracheno” ha raccontato Mahmud Haidar, 24 anni,  ex membro delle forze di sicurezza irachene.
Numerosi sfollati hanno raccontato l’orrore che ha investito i loro villaggi all’arrivo dei jihadisti, che hanno inseguito in strada gli yazidi, uccidendo gli uomini e rapendo le donne. “Hanno portato via tutte le donne della mia famiglia, anche le mie bambine” ha raccontato Hamid Kurdo. “C’erano cadaveri dappertutto nel mio villaggio – ha aggiunto Khudeida Hussein, 46 anni – hanno detto alle persone che dovevano convertirsi all’islam altrimenti sarebbero morte”.

Cristiani, sciti e yazidi hanno dovuto abbandonare tutto e a molti profughi sono stati sottratti persino anelli, orologi ed effetti personali. La logica del bottino rappresenta oggi una grande risorsa per il rafforzamento dello Stato Islamico che per mantenere unite le sue diverse anime ha però bisogno di continuare a vincere, conquistare bottino e mantenere i finanziamenti che riceve dagli ambienti wahabiti e radicali di molti Paesi della regione.

Foto: Reuters e AP

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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