Retata di jihadisti in Kosovo

Nella giornata di ieri la polizia Kosovara ha proceduto all’arresto di 40 persone accusate di aver partecipato alle guerre civili in Siria ed Iraq nonché di essere sostenitrici attive dei gruppi terroristici affiliati allo Stato Islamico e ad al-Nusra. Le città maggiormente coinvolte dalla retata sono Priština (8 fermi), Uroševac (11) e Gnjilane (7). Una veloce lettura dell’elenco dei sospettati, reso subito pubblico dal giornale Gazetaexpress, fa risaltare agli occhi che la maggior parte degli attivisti ha un’età compresa fra i 20 e i 40 anni e che molti di loro sono proprio del 1994. Ciò non solo conferma i timori di molti esperti circa la crescente adesione all’integralismo islamico da parte delle nuove generazioni, ma dimostra ancora una volta l’abilità di questi gruppi religiosi (alcuni dei quali sono regolarmente registrati presso il governo di Priština) nel reclutare volontari per la jihad e nel mandarli poi sui campi di battaglia in Siria, Iraq e Afghanistan.

Come evidenzia il quotidiano Glas Srpske, emerge a tal proposito soprattutto il ruolo dell’Islamska Omladina (Gioventù Islamica) di Kačanik, gruppo che era rimasto libero di agire e fare proselitismo nonostante un paio di settimane fa fosse finito al centro di uno scandalo dopo che alcuni suoi membri erano arrestati con accuse analoghe. La retata della polizia, comunque, ha portato anche alla chiusura di alcune moschee improvvisate ed illegali (veri centri della propaganda estremista), al sequestro di passaporti, esplosivi, armi e munizioni, ma soprattutto, secondo alcune fonti, ha permesso di bloccare la pianificazione di un grande attacco al Dokufesta di Prizren, manifestazione culturale di grande importanza nel paese soprattutto per la presenza di ospiti stranieri.

Secondo il Kurir, comunque, all’appello mancherebbero ancora 17 persone attualmente in fuga, fra le quali spicca il nome di Bujar Brahimi di Mitrovica, conosciuto per aver combattuto per oltre 500 giorni in Siria e per aver invitato i suoi concittadini, appena tornato in Patria, ad unirsi alla causa Jihadista.

L’azione delle forze Kosovare è stata accolta con soddisfazione sia dall’opinione pubblica laica che dalle Ambasciate Italiana, Tedesca, Britannica, Americana e Francese ed è probabilmente stata proprio la recente pressione internazionale a persuadere le autorità a prendere contromisure serie nei confronti delle dilaganti influenze integraliste.
Nell’ultimo periodo, infatti, due fatti collegati al terrorismo internazionale hanno fatto molto scalpore e hanno contribuito a peggiorare l’immagine del Kosovo all’estero. Poche settimane fa, ad esempio, Lavdrim Muhaxheri, un famoso integralista locale distintosi per aver bruciato sul campo di battaglia il suo passaporto, aveva postato sul suo profilo Facebook alcune foto della decapitazione da lui eseguita di un ragazzo poco più che maggiorenne accusato di essere una spia, aggiungendo che ciò non era diverso da quello che faceva l’UCK durante il conflitto contro la Jugoslavia.

Ed ancora, nei giorni scorsi si è avuta anche la notizia della morte in Siria di Patiot Matoši, un 19enne di Gnjilane, conosciuto per il suo grande impegno a propagandare la Guerra Santa sui social networks e per i suoi stretti legami con Muhaxheri e col controverso imam Zekeria Qazimi.
Alla luce di quanto sopra pare pertanto poco realistica la stima fatta dal premier Haşim Thaci, secondo cui il numero totale dei suoi connazionali attualmente impegnati in Siria ed Iraq si aggira intorno a qualche decina, quando le sole cifre ufficiali (da molti ritenute estremamente basse) parlano di 16 jihadisti morti dall’inizio dei conflitti.

Resta ora da vedere se l’esecutivo di Priština proseguirà, come ha annunciato di voler fare, con tali operazioni e inizierà una lotta decisa contro le reti jihadiste presenti sul territorio nazionale. Un’azione del genere sembra auspicabile, comunque, anche in Bosnia, altro stato in cui la penetrazione dell’integralismo ha gioco facile contro il potere centrale, che sembra non prendere abbastanza seriamente la minaccia islamista, che ha iniziato ad inserirsi nei gangli della società già durante il conflitto del 1992-95. A conferma della serietà del problema, in questi giorni sta avendo molta eco la notizia che venerdì scorso Emrah Fojnica, 23enne bosniaco, già coinvolto nell’attacco all’ambasciata Statunitense a Sarajevo del 2011, è morto in un attacco suicida in Iraq.

Foto EPA, Glas Srpske

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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