CASO MARO': LA SOLUZIONE E' "MARCARE VISITA"
Il ritorno in Italia di Massimiliano Latorre per un permesso sanitario di 4 mesi concesso dalla Corte Suprema indiana (sentito il parere del governo di Nuova Delhi), ha riaperto lo stanco e spesso sterile dibattito italico su come gestire gli sviluppi di questa vicenda infinita. Dopo quasi mille giorni di “saga dei marò” qualche elemento di certezza emerge. Innanzitutto che né l’Italia né l’India sanno come uscirne. Il pallido governo Renzi ciancia da mesi di un ricorso alla giustizia internazionale che non ha gli attribuiti per effettuare, consapevole che questa decisione irrigidirebbe il governo nazionalista indù del premier Narendra Modi al quale il nostro presidente del consiglio preferisce invece rendere omaggio.
Gli indiani certo non possono rilasciare Latorre e Girone per non dover ammettere che le prove raccolte sono false o taroccate, che le testimonianze non sono credibili e che in ogni caso la giurisdizione su quanto accaduto non appartiene all’India.
Delhi non riesce neppure a imbastire un processo contro i due marò (infatti rinvia le udienze di mesi ogni volta) perché l’unica legge su cui poteva contare, il Sua Act contro il terrorismo in mare, non è applicabile nel caso dei due fucilieri italiani come ha determinato la stessa Corte Suprema. Lo ha ammesso recentemente a un convegno Ranjit Sinha, direttore generale della Polizia criminale indiana (Cbi).”L’India non dispone di una legislazione nazionale specifica per trattare i casi collegati con la pirateria marittima” ha affermato Sinha.
Parliamoci chiaro.
Colpito da ischemia a fine agosto, Latorre poteva essere curato adeguatamente anche in India dove avrebbero potuto raggiungerlo i famigliari. L’impressione è che l’India abbia concesso il permesso di rimpatrio per dare un preciso segnale di disponibilità all’Italia chiedendo, per salvare la faccia sul piano interno, stringenti impegni e garanzie circa il rientro del fuciliere. Del resto anche l’anno scorso il permesso di rimpatrio concesso ai due militari italiani per consentire loro di votare era un evidente pretesto.
Non avrebbero potuto esprimere il loro voto all’ambasciata italiana a Delhi come hanno fatto gli altri dipendenti della sede diplomatica e come fanno migliaia di italiani residente all’estero? Allora come oggi l’India sperava probabilmente che Roma chiudesse la vicenda trattenendo in Patria i due militari in base a una serie di ragioni più che valide: l’inchiesta della magistratura italiana, il mancato rispetto del diritto internazionale da parte dell’India, l’assenza di un capo d’accusa nei confronti dei due……
Certo Nuova Delhi reagirebbe con durezza al mancato rientro di Latorre, così come reagì con durezza minacciando di arrestare il nostro ambasciatore quando il governo Monti finse di trattenere i due militari, per poi cambiare idea dietro le pressioni indiane. Quei dilettanti dei “professori” presero sul serio le lamentele di Delhi al punto che in India molti si stupirono non poco quando Mario Monti e il suo governo rimandarono indietro i marò temendo rappresaglie commerciali.
Ora che a Roma hanno capito (speriamo!) l’antifona e che ci siamo resi conto che la medicina può riuscire dove politica, diplomazia e diritto hanno fallito, è imperativo continuare a seguire questa strada. Altro che ricorso internazionale, ma quale Corte del mare di Amburgo!
Molto meglio marcare visita, cioè “far ammalare” anche Salvatore Girone. Nulla di troppo grave naturalmente ma ci sembra che dopo mille giorni di assurda “prigionia” in India anche un uomo tutto d’un pezzo come un fuciliere di Marina possa avere un cedimento emotivo, cadere in uno stato depressivo che ogni medico potrebbe certificare raccomandando cure in Italia vicino ai suoi cari.
Un permesso per motivi di salute l’India non potrebbe (e non vorrebbe) negarlo proprio in virtù del precedente concesso a Latorre. Una volta a casa anche Girone, alla scadenza dei termini per il rimpatrio, il governo italiano potrebbe annunciare che per le ragioni sopra elencate i due fucilieri non torneranno in India.
A Delhi farebbero la voce grossa contro gli italiani bugiardi e traditori, minaccerebbero tuoni e fulmini per placare qualche agitatore nazionalista infuriato ma dopo un po’del caso nessuno parlerebbe più e nel giro di pochi mesi gli affari tra i due Paesi potrebbero riprendere come prima. Certo si tratterebbe di una soluzione “all’italiana” ma pur sempre di una soluzione (ve ne sono forse altre all’orizzonte ?) che consentirebbe ai due militari di tornare definitivamente a casa, all’India di salvare la faccia e al governo italiano di apparire opportunista ma al tempo stesso tosto e con degli attributi così! Incredibile.
Foto Ansa
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.