F-35: il dimezzamento… della politica

Un compromesso perfetto, almeno per il medio periodo. E’ questo il risultato dell’approvazione alla Camera di quattro mozioni sul proseguimento “finanziariamente dimezzato” del programma F-35, un passaggio parlamentare che ora mette in grado l’Esecutivo di prendere in relativa tranquillità decisioni generalmente più gradite sui piani di acquisto degli aerei da attacco americani, usandole magari come moneta di scambio a favore di chi gli chiede – facciamo il primo esempio che ci viene in mente – di non toccare l’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Un compromesso da cui ciascuno a buon diritto può dire di uscire vincente: la politica, almeno quella che regge la maggioranza di Governo; la Marina Militare, che conserverà i suoi 15 esemplari della versione STOVL, e l’Aeronautica Militare, che a costo di qualche lacrima rinuncia a una propria flotta di velivoli a decollo corto e atterraggio verticale ma in sostanza vince la battaglia per la sopravvivenza della propria componente da attacco al suolo.

Una prima analisi può nascere dai numeri. Intanto, il dimezzamento dell’impegno finanziario nel programma del Joint Strike Fighter si riferisce ai 131 esemplari cui l’Italia s’era dichiarata interessata fin dall’inizio e non già ai 90 cui due anni fa il precedente Governo Letta era sceso. Com’è facilmente intuibile, ridurre della metà la spesa non porterà a una pari riduzione degli aerei ma semmai a un taglio ancora maggiore della flotta: meno aeroplani si comperano più costano e meno economie di scala sono realizzabili nel supporto logistico, nell’addestramento e via dicendo.

Ma tant’è, nella testa dei politici per ora non frulla altro che la semplice divisione 131 fratto 2. Che fa 65,5, un numero non lontanissimo dalla quantità di 70-75  esemplari – i 55-60 F-35A a decollo convenzionale dell’AM più i 15 F-35B STOVL per la MM – su cui politica e forze armate alla fine potrebbero accordarsi.

A ribadire ad “Analisi Difesa” che intanto il taglio dei fondi riguarda gli 131 aerei iniziali, confermando in definitiva lo scenario appena descritto, è l’onorevole Carlo Galli (PD), co-autore di quel “Lodo Scanu” approvato all’inizio dell’estate dalla Commissione Difesa della Camera e fatto proprio dall’Esecutivo Renzi.

“L’approvazione di queste mozioni costituisce un atto di indirizzo politico al Governo” spiega l’onorevole Galli, aggiungendo che se è vero che quelle presentate dal suo partito e da Forza Italia sono differenti, “toccherà al Governo trovare il modo di contemperarle”.

Quanto al dimezzamento dei fondi destinati al programma (12 miliardi di euro, in realtà qualcuno in più se si fa un conto più esatto della spesa complessiva) “intanto lasceremo ‘fluttuare’ il numero di aerei da acquistare. Poi si comincerà ad abbassare a 400 i 600 milioni di euro assegnati nel bilancio della Difesa 2015. Da lì in poi si andrà avanti con abbattimenti progressivi dei fondi che alla fine dovranno portarci a risparmiare la metà del denaro preventivato all’inizio”.

Non è chiaro quali voci di spesa dovranno essere sforbiciate di volta in volta (acquisto degli aerei, aggiornamenti, supporto tecnico-logistico, armamento, addestramento, adeguamento delle basi….) “ma a questo dovrà pensare lo Stato Maggiore” concede il parlamentare del Partito Democratico. Un’equazione complessa anche in ragione della sovrapposizione temporale dei meri oneri di acquisizione e di quelli necessari all’operatività delle prime tranche di aerei entrati in servizio.

E qui sono ancora dolori, come spiega l’ultimo rapporto del General Accountability Office americano quando denuncia il fatto che “la strategia del programma per il sostegno tecnico-operativo continua ad evolversi, ma non può rivelarsi economicamente conveniente”.

Se, comunque, compreremo meno aerei, che fine farà la nostra linea di assemblaggio di Cameri? Carlo Galli (nella foto a sinistra) ammette che c’è un problema industriale, “ma è ancora aperto il fronte dell’acquisizione della manutenzione delle flotte europee di F-35, sul quale partiamo da posizioni di forza rispetto ai progetti che il Regno Unito e la Turchia hanno in animo di realizzare allo stesso scopo, ma sui quali non hanno ancora investito”. Forse è al quel business, peraltro ancora tutto da costruire, che fa riferimento la mozione del PD là dove impegna il Governo a cercare di “massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già fatti nello stabilimento FACO”.

Di sicuro, con ratei di produzione più bassi del previsto e addirittura, almeno per quanto riguarda l’assemblaggio dei velivoli, col buco di produzione di uno-due anni che si prospetta dopo lo stop ai nuovi contratti d’acquisto deciso in primavera, si farà una gran fatica a convincere Lockheed a “massimizzare” le nostre attività industriali pre-manutenzione.

Secondo l’esponente del PD non c’è però “un collegamento diretto fra una riduzione/rallentamento del nostro procurement e l’elezione della FACO italiana a unico grande centro di manutenzione e supporto tecnico-logistico delle future flotte continentali della caccia americano”.

Sessantacinque, settanta aerei, forse qualcuno di più o qualcuno di meno. Parlamento e Governo non sanno, non possono materialmente decidere qual è il numero (per loro) più politicamente corretto. Ciò che conta è semplicemente riuscire a risparmiare qualcosa, alla faccia delle reali e peculiari necessità operative e organizzative (quanti e quali gruppi di volo costituire, e dove?), che peraltro l’agognato e in qualche modo “liberatorio” Libro Bianco difficilmente potrà specificare concretamente. Al Joint Program Office del Pentagono aspettano però di sapere con precisione se quello dato al Joint Strike Fighter tricolore è stato solo uno scappellotto o una vera sberla. E di trarne le conseguenze.

Foto Lockheed Martin

Vignetta di Alberto Scafella

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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