La guerra di Obama contro il virus Ebola

Secondo un recente rapporto dell’ente statale USA “Centers for Disease Control and Prevention” di Atlanta, ampiamente ripreso dalla stampa americana , i casi di Ebola in Africa occidentale non sarebbero gli oltre 6 mila accertati dall’OMS bensì almeno 20 mila. Non solo. Il livello di epidemia sarebbe in crescita esponenziale al punto che, nell’ipotesi peggiore, entro gennaio il numero dei contagiati potrebbe raggiungere quota 1,4 milioni.
La questione Ebola sembra dunque improvvisamente esplodere in modo incontrollato ed estremamente pericoloso anche se, bisogna aggiungere, altrettanto di recente s’erano avute delle incoraggianti notizie quali la guarigione dei cooperanti USA Kent Branlty e Nancy Writebol  e l’avvio della produzione di un vaccino sperimentale  che forse, se massicciamente distribuito, potrebbe essere in grado di fermare il disastro.

Bisogna dire che gli USA, nel prendersi l’onere di denunciare per primi la gravità della situazione, si sono anche mossi con estrema rapidità. Lo scorso 16 settembre il presidente Obama ha emanato una direttiva  fissando vari interventi per fronteggiare l’emergenza tra cui l’invio in Liberia di 17 ospedali da campo da 100 posti-letto ognuno, di personale sanitario e tecnico, e di un contingente di 3 mila uomini. Nello specifico, ad AFRICOM (uno dei sei “Unified Combatant Command” costituiti dagli USA secondo una ripartizione del globo per aree di competenza geografica.

Ad AFRICOM è ovviamente affidata la responsabilità areale del continente africano, ad esclusione dell’Egitto) è stato dato mandato di stabilire un comando interforze in Liberia per il coordinamento di ogni attività. Già dal giorno successivo alla diramazione della direttiva di Obama, dimostrando una prontezza operativa davvero notevole, ha quindi preso il via l’operazione “United Assistance” con l’arrivo a Monrovia del primo di quattro cargo C-17 con a bordo anche il neo-comandante designato, Gen. D. Darryl Williams.

Riguardo le unità militari che verranno impiegate – ed il cui compito consisterà in un indeterminato “non medical-support” – queste non sono ancora state indicate ma, in ogni caso, secondo le parole del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito USA Gen. Odierno -”è necessario che siano preparate ad operare in quell’ambiente, il che include la sicurezza sanitaria”.

I soldati verranno quindi sottoposti per primi al vaccino sperimentale della Glaxo-Smith-Klinedel? Ed a quali terapie, in caso di contagio? Riguardo questo, va detto che di trattamenti per l’Ebola sviluppati direttamente dall’Esercito americano (USAMRIID, Army Medical Research Institute of Infectious Diseases) se n’era già parlato fin dal 2012 in relazione ai positivi risultati di un preparato sperimentale denominato MB-003 consistente in un cocktail di anticorpi monoclonali, forse con qualche relazione (ma non c’è alcuna conferma) con quello somministrato ai due cooperanti Kent Branlty e Nancy Writebol (si tratterebbe in questo caso dello Zmapp,
prodotto dalla Mapp Biopharmaceutical).

Nel frattempo anche in Russia – che teoricamente, al pari degli USA, non dovrebbe temere troppo l’estendersi dell’epidemia di Ebola verso i propri confini – ci si è occupati moltissimo di Ebola, almeno quanto se ne sono occupati gli americani. A partire dal 1982 e da ultimo nello scorso mese di agosto, un’equipe di ricercatori del Ministero della Salute russo si è recata in Guinea  e subito dopo, ai primi di settembre, lo stesso Ministro russo Veronika Skvortsova ha pubblicamente annunciato in un’intervista  alla Tass i positivi test di un vaccino, già pronto per essere impiegato non appena ottenute le certificazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Dovremmo quindi sentirci rassicurati?

Probabilmente no o almeno non del tutto, se non altro perché il presidente Obama,nel suo discorso all’Assemplea Generale dell’ONU del 24 settembre, ha indicato l’Ebola come la principale minaccia alla pace e alla stabilità mondiali (al secondo posto, come ha stigmatizzato  il Ministro russo Lavrov, è stata indicata la crisi ucraina ed al terzo l’ISIS, creando forse qualche perplessità sulla “graduatoria del pericolo” qual’è abituato a considerarla l’uomo della strada).
Intorno all’Ebola un allarme di ben diverso genere viene adesso dalla Russia, e riguarda la possibilità che il virus possa tramutarsi in un’arma biologica di devastante portata.

In un’intervista a Russia Today, il responsabile per le malattie infettive presso l’Agenzia Medico-Biologico Federale russa Vladimir Nikiforov ha messo in guardia sulla pericolosità di questo virus dato che, in modo molto semplice, può essere usato e diffuso in forma spray -“Sapete che esistono degli Stati canaglia”- ha detto Nikirof -“Questo è il punto. Non si può garantire che qualche paese non stia preparando qualcosa del genere”-
Dall’Università di Cambridge gli ha fatto eco il suo omologo Peter Walsh facendo rilevare che, sebbene non siano molti i laboratori nel mondo che trattino l’Ebola, il virus può comunque venir isolato direttamente in Africa e poi prodotto.
Infine è intervenuto l’ex Ispettore Capo della Sanità russa, Gennady Onischenko, che ha voluto lanciare degli inquietanti sospetti sull’entità dell’epidemia in Africa occidentale. -“Sono preoccupato per il diffondersi e la patogenicità della situazione, che è troppo persino per l’Ebola. Troppe persone stanno morendo. Non escludo che ci sia qualcosa di artificiale… Quello che sta accadendo potrebbe forse essere opera dell’uomo?”-

Una domanda per ora destinata a restare senza risposta. Andando un po’ indietro nel tempo però si vede come effettivamente l’Ebola sembri essersi sviluppata su larga scala soltanto ora. Il virus (e successivamente almeno 5 diversi ceppi) venne infatti individuato per la prima volta nel lontano 1976, quando scoppiarono due epidemie in Congo e in Sudan. In seguito, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fino al 2012 si sono registrate nel Congo altre 10 epidemie mentre il contagio si è poi esteso a Gabon, Costa d’Avorio e Uganda. L’attuale pandemia in Africa occidentale può invece considerarsi iniziata a marzo di quest’anno, in Guinea, e diffusasi poi in Liberia, Sierra Leone e in misura minore in Nigeria e Senegal, sebbene l’Esercito statunitense (USAMRIID) ritenga vi siano prove della presenza del virus nella regione fin dal 2006.
Queste incoerenze hanno fatto nascere allarmismi  di vario genere, in particolare per presunti collegamenti con le armi biologiche e loro altrettanto presunte sperimentazioni.

E’ opportuno ricordare che le armi biologiche (spesso confuse con le armi chimiche, costituite principalmente da gas e raggruppate in una categoria a sé) sono state vietate da una Convenzione  del 1972. Delle cinque tipologie batteriologiche prefigurate (virus, batteri, microrganismi rickettisiae, veleni ricavati da funghi, tossine) è vietata la messa a punto, la produzione, l’immagazzinamento e, conseguentemente, è richiesta la distruzione di tutte le eventuali giacenze.

Se ne deduce quindi che, almeno al fino al 1972, è esistita sia la ricerca, che la produzione, che lo stoccaggio, non sappiamo esattamente di che cosa né in quali quantità, e che la messa al bando probabilmente deriva dalla consapevolezza di una incontrollabile efficacia di questo genere di armi o, perlomeno, questo è quel che si pensa. In realtà informazioni certe non ve ne sono, molte cose sono coperte da classifiche di segretezza militare.

Si deve anche aggiungere che la nostra epoca ha visto uno sviluppo abnorme della biotecnologia, cioè di quel settore che riguarda la manipolazione del materiale biologico o il suo impiego nella produzione di farmaci o vaccini i quali, necessariamente, presuppongono lo studio di virus e batteri, com’è il caso sopra accennato del trattamento per l’Ebola messo a punto nel 2012 dall’USAMRIID. Da più parti  si chiede ormai una completa rivisitazione dell’intera materia che però allo stato attuale, nello scenario di “seconda guerra fredda” che si sta aprendo, ben difficilmente potrà trovare attuazione.

Foto US DoD, USA Today, al-Jazeera

Padovano, classe 1954, è Colonnello dell'Esercito in Ausiliaria. Ha iniziato la carriera come sottufficiale paracadutista. Congedatosi, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza ed è rientrato in servizio come Ufficiale del corpo di Commissariato svolgendo incarichi funzionali in varie sedi. Ha frequentato il corso di Logistic Officer presso l'US Army ed in ambito Nato ha partecipato nei Balcani alle missioni Joint Guarantor, Joint Forge e Joint Guardian.

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