Sudafrica: un gigante dai piedi d’argilla?

Come tutti i Paesi che cercano di riscattarsi da un passato gravoso e difficile, il Sudafrica ha ridimensionato parzialmente le sue aspirazioni da potenza, ed è oggi alle prese con un presente travagliato e incerto. In linea teorica, avrebbe tutti i numeri per diventare campione d’Africa e attore protagonista degli equilibri mondiali. Tuttavia, un lento declino sta caratterizzando alcuni settori del paese, in particolar modo lo strumento militare. Piegata sotto il peso di problemi di varia natura e di non poco conto, la difesa sudafricana avrebbe  bisogno di un deciso processo di rinnovamento e adeguamento soprattutto se il governo di Pretoria intende continuare a considerare le forze armate un pilastro della politica nazionale.

Quando si pensa al Sudafrica e alle sue recenti vicissitudini quello che balza alla mente è la fine dell’Apartheid, Mandela e il sogno, in parte disatteso, di una “Nazione Arcobaleno”. La preponderanza di queste tematiche ha lasciato nell’ombra l’idea tradizionale di una nazione dotata di una forte valenza geopolitica, e quest’ombra deriva un po’ da ragioni comprensibilmente legate all’immagine che il Paese vuole – e deve – dare di sé, un po’ perché il progressivo disfacimento di alcune strutture-chiave ne sta minando la capacità di azione.

Eppure la Repubblica Sudafricana avrebbe le carte in regola per sedere al tavolo dei Paesi che contano. Ha una posizione geografica fortemente strategica e costituisce la porta d’accesso verso l’Africa subsahariana, oltre che all’Oceano Indiano e all’Atlantico meridionale. Inoltre dispone di un’economia avanzata e diversificata che, nonostante la crisi quasi-strutturale degli ultimi anni, continua a garantire al paese un PIL tra i più alti del continente e a rappresentare un modello per gli altri Paesi africani.

Il Sudafrica ha partecipato alle guerre mondiali dalla parte dei vincitori, dispone di una fitta rete di relazioni diplomatiche ed è l‘unico Paese africano del G20, nonché importante membro delle Nazioni Unite. Spicca tra gli emergenti (BRICS e IBSA), è leader nel Movimento dei Non Allineati e ha preso parte a numerosi operazioni multinazionali con funzioni di peace-keeping. Gli interventi di pace, sia sotto l’egida delle Nazioni Unite che dell’Unione Africana, si sono concretizzati soprattutto nella regione centroafricana dei Grandi Laghi, in particolare in occasione dei conflitti interni nella Repubblica democratica del Congo, in Burundi e in Sudan. Altre operazioni hanno avuto luogo in Lesotho, Rwanda, Liberia, Sudan, Costa d’Avorio, Uganda, Repubblica Centrafricana,  Mozambico e Isole Comore.

Le forze armate
Il Paese è dotato di forze armate agguerrite e di antica tradizione che, ad un’analisi non troppo approfondita, sembrerebbero efficienti. I 97.000 componenti delle FFAA,  inclusi riservisti e civili, sono suddivisi tra Esercito, Marina, Aeronautica e Military Healt Service. Il primo dispone di 190 carri armati e ben 1430 veicoli corazzati e blindati prodotti localmente, dei quali circa la metà viene oggi tenuta in riserva.

Gli equipaggiamenti aerei e navali sono perlopiù il risultato di acquisizioni internazionali, in particolare di un accordo di riarmo alquanto discusso e impopolare, concluso nel 1999 con varie nazioni, del valore di 4,8 miliardi di dollari. La flotta schiera 4 fregate, 3 Sottomarini,  4 dragamine e una ventina di unità ausiliarie, mentre l‘aviazione ha in linea 26 caccia Gripen C/D, 24 Hawk, una novantina di elicotteri, tra cui 11 Rooivalk Mk I d’attacco, costruiti localmente, 29 Augusta A 109 e 4 Lynx – e 9 antiquati Lockheed C-130 Hercules acquisiti nel 1963. Inoltre, il Paese dispone di un’industria della difesa molto sviluppata e all’avanguardia, soprattutto per quanto concerne gli armamenti “di terra”, che è indirizzata principalmente al mercato interno.

Una parte della produzione viene tuttavia esportata: come è emerso nel report annuale del National Conventional Arms Control Committee, il Sudafrica ha venduto nel 2013 armamenti per un valore di 220 milioni di Rand. Sebbene si parli di una cifra piuttosto ridotta, e, principalmente,  di armi leggere e munizioni, va ricordato che i Paesi destinatari non sono pochi, circa una dozzina, e tra essi figurano Algeria (che ha ricevuto missili e razzi terrestri), Thailandia (cannoni), Malesia, Corea ed Emirati Arabi  (lanciagranate), Turchia, Perù, Regno Unito, Pakistan , Botswana e Chad (munizioni) etc.

Carenze strutturali
Nonostante queste premesse, le Forze Armate presentano gravi carenze, derivanti da molteplici cause, sia  storiche che contingenti.  Bisogna innanzitutto considerare che l’attuale macchina bellica sudafricana scaturisce dalla ricostituzione delle forze armate nel periodo di transizione dalla fase autoritaria dell’ Apartheid alla democrazia.

Durante l’Apartheid la South African Defence Force rappresentava uno strumento potente e del tutto credibile, anche perché foraggiato – surrettiziamente – dalle potenze occidentali (Italia compresa). Aveva obiettivi funzionali sia alla protezione del regime segregazionista da minacce interne ed esterne, che alle sfide che la Guerra Fredda poneva all’Occidente nel Continente Nero, del quale Pretoria rappresentava il pilastro più solido. Culmine di tale ruolo fu la condizione nucleare, acquisita alla fine degli anni ’70 in collaborazione con Israele, dal quale fuoriuscì unilateralmente – unico caso al mondo – nel 1990.

Con l’avvento della democrazia, le priorità strategiche cambiarono completamente, così come la struttura stessa delle forze armate, che hanno mutato anche denominazione nell’attuale South African National Defence Force (SANDF).
Il processo di trasformazione si è compiuto anche tramite una difficile opera di accorpamento di strutture preesistenti e rivali, alcune delle quali appartenenti ai diversi potentati che si sono federati nel nuovo Sudafrica.

L’integrazione di ben otto tra eserciti, milizie e strutture paramilitari (la South African Defence Force, l’Umkhonto we Sizwe, braccio armato dell’African National Congress, gli eserciti di 4 homeland, le unità di autodifesa dell’Inkhata Freedom party, e numerosi gruppi paramilitari, estremisti neri e falangi armate dell’estrema destra Afrikaner), mosse da odio atavico e abituate a combattersi di con ferocia, ha presentato non pochi problemi, anche se alla fine il processo ha avuto successo.
La SANDF ha dovuto inoltre fronteggiare altre difficoltà, come l’elevato numero di milizie private di cui il Sudafrica disponeva e continua a disporre (sono state inventate qui), gli opinabili criteri di selezione degli incarichi di vertice da parte del governo, l’eliminazione della coscrizione obbligatoria – e quindi la carenza di effettivi- e – peculiare problema di queste latitudini – l’ingente diffusione di HIV tra i medesimi.

Difficoltà finanziarie
Le attuali condizioni finanziarie delle Forze armate sudafricane rappresentano un ulteriore e decisivo fattore di inefficienza, dato che all’inadeguatezza delle infrastrutture si somma l’obsolescenza delle armi, l’addestramento insufficiente, la scarsa disciplina  delle truppe  e il loro morale basso.

Il taglio del budget riservato alla Difesa, dovuto sia alla crisi economica che alla redistribuzione del denaro pubblico avvenuta all’indomani della transizione (che si rese necessaria per riformare sanità e istruzione) costituisce sicuramente il problema più impellente.  La ragione di questa urgenza deriva dal fatto che un ripristino di un stanziamenti commisurati alle necessità della SANDF è la conditio sine-qua-non per arginare – o quanto meno far fronte – alle numerose carenze che affliggono il settore.
Il budget destinato alla Difesa ha corrisposto, per il 2013, all’1,22% del PIL, circa 40 miliardi di Rand (3.7 miliardi di dollari).

Nella sola area meridionale dell’Africa il Botswana e lo Zimbabwe hanno speso rispettivamente il 3,3% e il 3,8% mentre, come recentemente riportato dallo Stockholm International Peace Research Institute, l’Angola, considerata l’unico potenziale rivale di Pretoria nell’Africa del Sud, ha speso in difesa il 4,2% del suo PIL. In termini assoluti, la cifra corrispondente equivale al 50% in più di quello che ha stanziato Pretoria mentre se si considera poi l’Africa tutta, l’Algeria spende tre volte tanto.

Questi numeri, che si commentano da soli, sono ritenuti dai capi militari sudafricani, e anche dai più autorevoli commentatori internazionali, del tutto inadeguati a permettere alla South African National Defence Force di adempiere al proprio mandato costituzionale. La non corrispondenza tra capacità effettive e requisiti operativi è evidente, soprattutto se si pensa all’aumento di richieste di supporto peacekeeping in ambito internazionale e alla necessità di mantenere l’ordine interno, a fronte del numero vertiginoso di conflitti intestini, spesso molto cruenti, causati dall’ineguaglianza e  dalla povertà.

Gli esempi di inefficienza sono trasversali alle forze armate e in più di un’occasione la carenza di mezzi a disposizione dei reparti sudafricani nei vari teatri operativi è stata messa drammaticamente in luce. La Marina sudafricana, ad esempio, che ha oggi compiti prevalentemente di sea control ed antipirateria, ha trascorso in mare appena un quinto delle ore previste per l’anno 2012/2013 – ovvero appena 7.300. L’esercito soffre di una costante insufficienza di mezzi in dotazione, essenziali per svolgere i compiti ai quali viene sempre più frequentemente chiamato.Circa la metà dei cacciabombardieri Saab Gripen dell’aeronautica sono a terra per carenze di manutenzione dovute a ristrettezze finanziarie.

Tale insufficienza ha contribuito, nel 2013, all’uccisione di 13 militari della SANDF nel corso della Battaglia di Bangui, nella Repubblica Centrafricana – il numero più elevato di vittime su un campo di battaglia dal 1994.
Anche nel settore aeronautico, in particolare delle nuove acquisizioni le cose non vanno meglio. Nel 2009 l’MoD di Pretoria ha cancellato un accordo di 5,2 miliardi di dollari per l’acquisto di 8 Airbus A400M da trasporto dei quali il paese aveva urgente bisogno. Come già sottolineato, la linea da trasporto dell’Aeronautica sudafricana, essenziale in un paese caratterizzato da distanze immense e infrastrutture stradali rarefatte e carenti, è obsoleta oltre ogni immaginazione.

Per far fronte, almeno in parte,  a tale situazione, il Ministro delle Finanze Pravin Gordhan ha approvato, nel febbraio 2014, l’acquisizione di un nuovo aereo di sorveglianza marittima, che ha un’importanza fondamentale in un paese situato in una posizione così cruciale dal punto di vista geografico. Tale velivolo dovrebbe sostituire i vecchi Squadron C-47TP. Non è chiaro se il Sudafrica abbia intenzione di acquisire un pattugliatore marittimo (MPA) dedicato o un aeromobile multi-tasking da configurare ad hoc. Nel caso di quest’ultima opzione la scelta potrebbe ricadere  sul Lockheed C-130J  o l’Airbus C295. Ulteriori ipotesi potrebbero riguardare velivoli RUAG, Saab, L-3, ATR e HAL. Per il momento, comunque, non c’è nulla di concreto.

I vertici politici e militari hanno ripetutamente manifestato la propria opposizione contro questo stato di cose, sottolineando l’assoluta necessità di una riforma.
Nel marzo del 2014, il Segretario per la Difesa Sam Gulube ha presentato al Defence Committee del Parlamento di Pretoria un report che mostrava la situazione in tutta la sua drammaticità: oltre il 38% delle attrezzature della SANDF venivano ritenute in una condizione “inaccettabile”. Secondo il Ministro della Difesa del governo ombra David Maynier, peraltro, la situazione di obsolescenza è dovuta in gran parte all’incompetenza del Dipartimento del Lavoro Pubblico che intralcia i progetti e i lavori del Dipartimento della Difesa.

Prospettive
Alla fine di marzo è stata pubblicata la South African Defence Review del 2014, la più importante e autorevole valutazione delle capacità militari sudafricane dal 1998. Il documento si fa portatore di una strategia di lungo termine (2034), e contiene raccomandazioni utili a facilitare la messa in atto delle quattro “Planning Milestone” necessarie per un adeguato sviluppo della South African National Defence Force, ovvero arrestare il declino  delle forze armate, sopratutto nelle capacità considerate “critiche,” tramite un intervento immediato e diretto; riequilibrare e riorganizzare le varie componenti della  SANDF in un’ottica di crescita futura; creare una Forza di Difesa sostenibile che possa venire incontro agli impegni della Difesa, attuali e prevedibili; rinforzare la capacità di rispondere alle crescenti sfide strategiche delle aree di interesse per il Sudafrica.

Più nello specifico, il Paper suggerisce, tra le altre cose, un aumento del budget fino a 74 miliardi di Rand  (6, 8 miliardi di $) nel 2030 o, addirittura, giungere ad un finanziamento annuale di 116 miliardi di Rand (o 3,3% del PIL) al fine di conseguire il più alto livello di sicurezza militare. Altre raccomandazioni riguardano inoltre massicci interventi in termini di capacità di combattimento, con acquisto anche di missili, airlift e mezzi per il trasporto marittimo interforze veloce; aumento di capacità per operazioni di peace-keeping in situazioni di rischio elevato; messa in opera di un punto d’appoggio avanzato in Africa centrale e una di base navale sulla costa orientale del paese. In aggiunta, la Defence Review parla della necessità di incrementare la capacità strategica di aviotrasporto e sorveglianza/intelligence per sostenere forze combattenti SANDF proiettabili a lunga distanza, oltre naturalmente a provvedere al soddisfacimento della necessità di estendere la capacità di protezione marittima inshore e offshore.

Nel documento viene citata anche l’opportunità di favorire un ruolo di rilievo per Armscor, la principale holding per la difesa sudafricana, secondo una prassi largamente in uso nelle principali nazioni che dispongono di un settore industriale militare proprio.

La Defence Review è stata giudicata da analisti e addetti ai lavori un buon primo passo per procedere nella giusta direzione. Ciononostante, all’inizio di luglio 2014 il Segretario per la Difesa Sam Gulube ha nuovamente parlato di situazione catastrofica, per un deficit di 1,1, miliardi di Rand che potrebbe costringere il suo Ministero a nuovi tagli.

Quello che accadrà in futuro dipenderà da tanti fattori. Oltre a solidificare la propria complicata identità, dopo aver già compiuto passi da gigante nel prendere decisamente le distanze dal suo passato, il Sudafrica dovrà ripensare- o meglio elaborare ex novo, dato che lo stesso passato è inutilizzabile –  la propria strategia internazionale.
Il citato ingresso nel G-20 e l’interdipendenza con gli altri membri del BRICS (con il Brasile, in particolare, col quale si sta delineando un’intesa sempre più cordiale) hanno già gettato le basi, ma la diplomazia non è sufficiente nel mondo di oggi, come in quello di ieri.  E’ quindi probabile che una volta compreso che una difesa adeguata non è il mezzo per imporre la supremazia etnica ma uno strumento per la salvaguardia e l’affermazione della propria identità, che non può essere preservata solo con le buone intenzioni,  Pretoria tornerà  a rivestire il ruolo militare che la storia, la geografia e le condizioni del mondo impongono.

Sembra che  qualcosa in tal senso si stia muovendo. Durante l’appena concluso manifestazione “Africa Aerospace and Defence 2014”, tenutasi a Pretoria nella seconda metà di settembre, fonti governative hanno espresso molto di più delle generiche e ordinarie dichiarazioni istituzionali di buona volontà di questi casi. Vedremo se i prossimi mesi confermeranno o meno questi proponimenti con  fatti concreti.

Foto: South Africa Defence Forces, Denel, Saab, Defence web, Army recongnition, BBC, IHS Patrick Allen, Medafrica,

Nata a Bruxelles, ha conseguito la laurea magistrale con lode in Scienze Politiche, indirizzo Relazioni Internazionali, all’Università Roma Tre. Vive e lavora a Roma, dove si è occupata di comunicazione, relazioni internazionali e giornalismo. Ha collaborato con diverse testate e si occupa di geostrategia e storia contemporanea con particolare attenzione ai temi connessi alla Guerra Fredda e al terrorismo.

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