Difesa italiana, cosa vuoi fare da grande?
I Paesi Bassi possono apparire, ad un osservatore italiano in possesso anche solo di un briciolo di cognizioni geo-strategiche, uno Stato sul quale non gravano minacce specifiche, felicemente inserito in un’area di stabilità e circondato da nazioni alleate ed amiche.
Al contrario il nostro Paese risulta posizionato al centro di un Mediterranea in cui si manifestano forse le maggiori tensioni del pianeta, dalla rivoluzione che, a vario titolo, sta investendo tutto il mondo arabo e la sponda settentrionale dell’Africa, all’eterno conflitto per la sopravvivenza di Israele e la nascita della Palestina, fino agli sconvolgimenti in corso sulle coste del Mar Nero, che del nostro mare è prolungamento strategico, prima che geografico.
Eppure i governanti olandesi, non quelli italiani, hanno deciso di invertire la rotta degli ultimi anni e di tornare ad aumentare progressivamente gli investimenti nel settore della difesa, perché il mondo è un luogo insicuro e bisogna essere previdenti.
Al contrario nel Bel Paese le Forze Armate vivono una lunga stagione di crisi e di progressivo depauperamento, mentre una riforma attesa lungamente ed ormai insufficiente langue, in balia di veti politici e lungaggini burocratiche.
Ogni decisione importante viene rinviata, nell’attesa salvifica dell’apparizione del famoso Libro Bianco, che dovrebbe fare un po’ di chiarezza sul livello di ambizione strategica cui aspiriamo e, di conseguenza, su cosa il nostro strumento militare possa fare e di cosa non si debba più occupare.
Un documento programmatico che in altri Paesi esprime con regolarità le direttive del governo, in Italia assume caratteristiche di eccezionalità, al punto che nel sito della Difesa è addirittura possibile per il semplice cittadino fornire contributi di idee ed avanzare proposte. Una iniziativa interessante, anche se non ci risulta che il dibattito sulla riforma della Difesa abbia ancora sostituito, nelle chiacchiere da bar, le tradizionali dispute calcistiche.
Nel frattempo a Roma un Parlamento con la lungimiranza strategica di un consiglio di condominio ritiene opportuno privare l’Aeronautica della propria componente d’attacco (per definizione brutta e cattiva), costringendo il ministro Pinotti a mille piroette e smentite per sottrarsi, almeno in parte, a direttive così radicali. Esiste infatti un limite numerico al di sotto del quale l’acquisto di un moderno aereo da combattimento diviene un inutile orpello, un nonsenso operativo ed uno spreco totale di risorse. Né sono state suggerite soluzioni alternative di alcun tipo: tanto varrebbe rimettere in condizioni di volo il CR-42 di Vigna di Valle….
Le cose non vanno certo meglio per l’Esercito, che vive la sua stagione più drammatica, con il progressivo azzeramento delle voci di bilancio destinate all’addestramento ed all’efficienza di mezzi e reparti, con conseguente riduzione a livelli risibili delle effettive capacità operative di uno strumento che, sulla carta, appare ancora numericamente robusto.
L’escamotage di impiegare a tali fini parte dei fondi destinati alle missioni esterne, utilizzato negli ultimi anni per moderare gli effetti dirompenti dei tagli di bilancio e mantenere un minimo di operatività almeno nelle 4 o 5 brigate destinate ai teatri più impegnativi, non solo non può essere più applicato ma, ironia della sorte, in base a recenti provvedimenti legislativi saranno proprio le spese di esercizio a venire ulteriormente defalcate per contribuire a garantire una buona fetta del finanziamento del decreto di proroga delle missioni internazionali, oltre che del (sacrosanto) sblocco degli stipendi del personale.
Una situazione senza precedenti dalla quale sembrerebbe curiosamente salvarsi, almeno in parte, la sola Marina, i cui investimenti, ottenuti sotto forma di mutui di lunga durata per un importo non così lontano da quello, famigerato, destinato agli F35, sembrano navigare in acque relativamente calme e senza sollevare opposizioni di principio di natura politica o sollevazioni indignate dei media.
Forse l’effetto “buonista” della missione Mare Nostrum (mai nome parve meno azzeccato…) permette di far passare inosservato l’acquisto di navi che, comunque le si voglia chiamare, sembrano delle ottime fregate. D’altro canto la trasparenza non abbonda dalle nostre parti: in passato abbiamo acquistato una LPD ed elicotteri CH-47C con i fondi della Protezione Civile, e di recente si è utilizzata una portaerei dagli alti costi di esercizio quale vetrina ambulante di qualche prodotto made in Italy: all’estero saranno impressionati…
Una scelta si impone
È assolutamente chiaro che per la sopravvivenza stessa del nostro strumento militare, in un momento storico caratterizzato da minacce crescenti ed instabilità diffusa, si impongono scelte difficili ma inevitabili, sia che queste emergano dal Libro Bianco, sia che scaturiscano spontaneamente dal susseguirsi degli eventi.
In buona sostanza tutto dipende dalla nostra visione della realtà, da come ci vogliamo collocare nell’ambito della comunità internazionale, dalla determinazione con la quale vogliamo perseguire l’interessa nazionale e di conseguenza dalla volontà politica di impiegare, se necessario, anche la forza per tutelare queste ambizioni.
Se le risposte a tali quesiti, e soprattutto all’ultimo, saranno vaghe, incerte e non terranno conto dell’effettiva situazione strategica internazionale, potremo continuare il nostro incerto cammino nel solco tracciato negli ultimi anni.
Le Forze Armate assumeranno sempre più un ruolo di facciata e, a dispetto di numeri e costi ancora importanti, esprimeranno una capacità operativa del tutto marginale, rendendoci sempre più dipendenti, in settori strategici vitali, da alleati non necessariamente benevoli e spesso mossi da finalità ed interessi che non collimano con i nostri e talvolta ne divergono totalmente.
Ci potremo sempre auto convincere che la missione principale dell’Esercito è rappresentata dall’operazione Strade Sicure, dal pattugliamento della Terra dei Fuochi e dalla sorveglianza ai siti di stoccaggio delle immondizie, mentre la Marina potrà dedicarsi in via esclusiva al traghettamento di migliaia di clandestini. E non ci sarà motivo di rinnovare la componente d’attacco dell’Aeronautica, se ci sono voluti anni per ottenere il via libera ad impiegare munizionamento guidato contro ripetitori ed antenne radio….
Qualora invece, con un insperato scatto di orgoglio, si assumesse la piena consapevolezza della realtà internazionale e si volesse rendere l’Italia, anche in questo settore, un Paese un po’ più “normale”, le linee guida della riforma sarebbero evidenti.
Il nostro strumento militare, nel suo complesso, dovrebbe risultare numericamente ridotto ma tecnologicamente evoluto, tenere conto più delle necessità della geo-politica che della salvaguardia di equilibri consolidati e logiche di settore.
Non è questa la sede per entrare nei dettagli numerici della trasformazione, tuttavia a nostro avviso nelle Forze Armate del futuro un ruolo preminente dovrà essere assegnato all’Aeronautica, per l’intrinseca flessibilità, la grande efficacia strategica, il forte potere dissuasivo e la capacità di operare in aree di crisi, anche senza il coinvolgimento diretto di nostre truppe sul terreno, ben più oneroso, pericoloso e politicamente impegnativo.
L’equlibrio tra mezzi e risorse finanziarie
La sostituzione di Tornado ed AMX con macchine moderne da acquisire in numeri adeguati è, in tale ottica, una decisione di capitale importanza. Che tale rimpiazzo sia rappresentato dall’F35, dall’Eurofighter Typhoon o da un altro aereo è questione tecnica ed industriale importante, ma che non inficia l’assoluta necessità strategica del rinnovo operativo.
Certa la scelta “americana” presenta problemi tecnici, incognite temporali e svantaggi industriali, ma anche il nostro buon Typhoon non è certo a buon mercato e, per non farci mancare nulla, ha manifestato recentemente difetti di produzione nella parte posteriore della fusoliera che potrebbero provocare cedimenti strutturali e limitare la vita utile dell’aereo. La Luftwaffe ha dimezzato a titolo cautelativo le previsioni di vita dei propri Eurofighter da 3000 a 1500. (sarà interessante vedere se queste notizie negative avranno la stessa diffusione di quelle relative all’F35…)
Per quanto riguarda la Marina, di cui ovviamente va garantita la sopravvivenza con un flusso adeguato di nuove costruzioni, si dovrà prevedere in tempi brevi l’adozione di un missile da crociera a lungo raggio per l’attacco in profondità ad obiettivi strategici (il candidato più ovvio è lo Scalp Naval francese). Inoltre andrà valutata, senza tabù, l’effettiva convenienza, in un’ottica di scrupoloso controllo del rapporto costo/benefici, del mantenimento di una linea di volo ad ala fissa imbarcata di entità così ridotta. Quali oneri è lecito sostenere per poter disporre di una mezza dozzina di F35B operativi?
Le forze terrestri dovranno essere numericamente ridotte, ma con marcate capacità di intervento a distanza e con breve preavviso. Il loro effettivo schieramento dovrà rispondere a precisi requisiti strategici dettati dall’interesse nazionale: niente lunghe ed onerose missioni di stabilizzazione in aree non vitali per il Paese. A queste, semmai, dovrà essere garantito un contributo di qualità rappresentato da assetti pregiati (aerei, elicotteri, droni, Forze Speciali), lasciando ad altri contingenti ed alle truppe locali i compiti generici.
Le forze Armate, così ridefinite, saranno composte da un numero assai più ridotto di effettivi, permettendo in tal modo di spostare progressivamente risorse dal settore del personale agli investimenti e soprattutto all’esercizio, per forze effettivamente di qualità e non di facciata.
L’urgenza della trasformazione imporrebbe provvedimenti straordinari per giungere in tempi brevi ai nuovi equilibri numerici e realizzare riduzioni di organici che, soprattutto nel caso dell’Esercito, sarebbero consistenti.
A tal fine andranno valutati in modo pragmatico ed innovativo tutti gli strumenti normativi, dal prepensionamento alla collocazione in congedo straordinario (il famoso “scivolo”) con la corresponsione di una specifica indennità, corrispondente ad una certa percentuale dello stipendio e cumulabile con altri redditi.
Un provvedimento doloroso, certo, ma che avrebbe il pregio, con un modesto sacrificio, di permettere la chiusura in tempi brevi di enti e reparti non più necessari, di ridisegnare la nuova pianta delle unità destinate a rimanere in vita e di realizzare un immediato recupero di risorse. Si tratta di riprendere ed ampliare proposte già formulate e poi lasciate decadere per l’opposizione degli organismi di rappresentanza.
Naturalmente dovranno essere ulteriormente potenziare le disposizioni legislative vigenti o in corso di attuazione che regolano il passaggio del personale in esubero verso altre amministrazioni, rendendo obbligatori tali trasferimenti.
Foto : Difesa.itr, Isaf, Alberto Scarpitta, Eurofighter/Luigino Caliaro, Oto Melara
Alberto ScarpittaVedi tutti gli articoli
Nato a Padova nel 1955, ex ufficiale dei Lagunari, collabora da molti anni a riviste specializzate nel settore militare, tra cui ANALISI DIFESA, di cui è assiduo collaboratore sin dalla nascita della pubblicazione, distinguendosi per l’estrema professionalità ed il rigore tecnico dei suoi lavori. Si occupa prevalentemente di equipaggiamenti, tecniche e tattiche dei reparti di fanteria ed è uno dei giornalisti italiani maggiormente esperti nel difficile settore delle Forze Speciali. Ha realizzato alcuni volumi a carattere militare ed è coautore di importanti pubblicazioni sulle Forze Speciali italiane ed internazionali.