Armi russe in Libia per la guerra agli islamisti
Il premier libico Abdullah al Thani ha lanciato ieri da Malta un appello all’Europa e all’Onu chiedendo un supporto concreto per affrontare i problemi del suo Paese, in particolare sulla sicurezza. Al Thani ha anche chiesto al premier maltese Joseph Muscat di essere l’interlocutore per la Libia al tavolo con la comunità internazionale nel momento in cui il suo governo, legittimamente riconosciuto dalla comunità internazionale, è impegnato a combattere i qaedisti di Ansar al-Sharia in Cirenaica e ha ordinato all’esercito di lanciare una controffensiva per riconquistare Tripoli, caduta in agosto nelle mani delle milizie islamiste (Fratelli Musulmani e salafiti) sostenute dalle milizie tribali di Misurata.
Aspri combattimenti sono in corso a ovest di Tripoli con le forze pro-governative guidate dalle milizie di Zintan che tentano di riprendere il controllo della capitale. Secondo testimoni, armi pesanti e dei razzi vengono utilizzati in questi combattimenti intorno alla città di Kekla, situata circa 120 chilometri a sud ovest di Tripoli verso la quale le forze pro-governative tentano di avanzare.
L’11 ottobre, le milizie pro-governative di Zintan (170 chilometri a sud ovest di Tripoli) hanno lanciato una offensiva contro le milizie islamiste del fronte Fajr Libya (Alba della Libia) che rispondono a un governo non riconosciuto formato dai deputati della Fratellanza Musulmana che non hanno riconosciuto le elezioni del giugno scorso.
Una guerra a tutto campo in cui al-Thani (nella foto qui sopra) ha lanciato un appello ai giovani della capitale affinché diano man forte ai militari pur invitandoli a non compiere azioni di rappresaglia in caso di arresto di ribelli armati, ma di consegnarli alle forze regolari.
In attesa di un aiuto militare concreto che l’Europa, l’Occidente e neppure l’Italia sembrano voler offrire alle forze laiche che hanno vinto le elezioni del 25 giugno ma vivono oggi quasi in esilio con parlamento e governo costretti riunirsi a Tobruk, al-Thani guarda a Mosca per ottenere gli aiuti necessari a combattere le milizie islamiste. Il primo ministro ha annunciato All’agenzia RIA-Novosti, che a fine mese o inizio novembre si recherà a Mosca per discutere gli aiuti militari russi. Al-Thani ha definito la Russia “il principale partner nella ricostituzione delle forze armate libiche”.
Circa l’80 per cento degli equipaggiamenti militari libici sono di origine russa e il premier ha auspicato che Mosca assista la ricostruzione delle infrastrutture militar nazionali e addestri i militari offrendo in cambio la ripresa degli affari congelati dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi: infrastrutture, gas e petrolio.
L’apertura alla Russia potrebbe riguardare la fiornitura di carri armati, blindati, artiglieria, aerei, elicotteri e robusti pacchetti di addestramento e coinsulenza e rappresenta uno schiaffo all’Italia che avrebbe voluto acquisire contratti per l’ammodernamento e il riequipaggiamento delle forze libiche ma finora si è sottratta a tutte le richieste di aiuti militari formulate dal governo o dalla duplice offensiva islamista in Tripolitania e Cirenaica.
Nonostante gli interessi nazionali in gioco, gli istruttori inviati a Tripoli e l’addestramento di militari libici a Cassino, il governo italiano non ha fornito al legittimo governo libico espresso dal parlamento eletto il 25 giugno scorso quegli aiuti militari che pure fornì nel 2011 ai ribelli che combatterono Gheddafi e oggi alle milizie curde in Iraq. Il Cairo è oggi il vero protettore del governo libico riparato a Tobruk (dove parlamentari e ministri vivono su un traghetto ormeggiato in porto) a 1.500 chilometri da Tripoli ma a soli 150 dal confine egiziano.
Comprensibile quindi che al-Thani cerchi aiuto altrove appoggiandosi su Algeria ed Egitto (che con discrezione stanno armando le forze governative sui rispettivi fronti di Tripolitania e Cirenaica e secondo alcune fonti sarebbero già coinvolti direttamente nel conflitto contro gli islamisti con forze speciali e aerei), pronti a tutto pur di impedire che la Libia diventi un altro Afghanistan.
Ingenti quantitativi di armi e munizioni egiziane sono stati sbarcati a Tobruk nei giorni scorsi e ora alimentano la controffensiva dei governativi che hanno ufficialmente aderito all’Operazione Dignità varata dal generale Khalifa Haftar che dal maggio scorso combatte con alterne fortune i jihadisti di Ansar al-Sharia nell’area di Bengasi guadagnabndosi recentemente l’appoggio di alcune milizie tribali del sud. Un passo che sembra precedere la saldatura tra governativi e forze fedeli a Haftar.
L’Egitto continua a respingere le accuse di avere inviato forze militari e aerei (insieme agli Emirati Arabi Uniti) in Cirenaica ma è improbabile che i militari libici possano gestire da soli l’offensiva in atto. Il governo egiziano del generale Abdel Fattah al-Sisi avrebbe facilitato la ripresa delle relazioni militari russo-libiche tenuto conto che fu proprio Mosca a garantire le armi all’Egitto quando l’anno scorso gli Stati Uniti minacciarono lo stop alle forniture in seguito alla rimozione del governo islamista di Mohammed Morsi.
Del resto la Russia non ha mai mostrato ambiguità nella lotta all’islamismo a differenza dell’Occidente che anche sabato scorso, con il comunicato congiunto dei governi di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti, ha salomonicamente condannato “i crimini commessi da Ansar al-Sharia” e dagli altri gruppi islamisti ma al tempo stesso ha espresso preoccupazione per “gli attacchi del generale Haftar a Bengasi”.
La Farnesina si è limitata finora a lanciare appelli per un “negoziato inclusivo” tra laici e islamisti mentre il rappresentante dell’Onu in Libia, Bernardino Leon, ha sostenuto lunedì che “serve pazienza, ma se il dialogo politico prevale si può arrivare a un accordo fra le principali fazioni in poche settimane”. Un ottimismo difficile da condividere considerando le centinaia di morti registrati i tutto il Paese solo negli ultimi giorni e tenendo conto che le milizie islamiste riunite nella coalizione “Alba della Libia” hanno respinto a fine settembre ogni proposta di dialogo affermando di “voler proseguire nell’operazione armata” perché “l’unica soluzione per combattere chi ostacola la rivoluzione è quella militare”. Una guerra che ha già provocato 300 mila sfollati in Libia che rischiano di aggiungersi ai tanti africani e asiatici in “lista d’attesa” presso i trafficanti di esseri umani per raggiungere clandestinamente l’Italia.
Foto Reuters
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