F-35: LE "ALTALENE" DI CANADA, ISRAELE, GIAPPONE E COREA DEL SUD

Si tinge di giallo la vicenda degli F-35 per il Canada. Due giorni dopo aver rivelato l’esistenza di un accordo “segreto” fra Ottawa e Washington per l’acquisto immediato di 4 esemplari della versione a decollo convenzionale dello stealth americano, il quotidiano di Toronto “Globe and Mail” ha riportato la smentita del governo canadese, che ha spiegato come la scelta del velivolo d’attacco di Lockheed Martin come sostituto degli 80 anziani CF-18 Hornet sia tuttora impraticabile, mancando ancora le necessarie informazioni sui suoi reali costi e capacità. E questo, come ha osservato l’agenzia francese Defense-Aerospace, quattro anni dopo la decisione di acquistarlo.

Il Dipartimento della Difesa americano ha però confermato la veridicità del briefing a firma del Segretario all’US Air Force Deborah Lee James da cui quale era emerso l’intesa per così dire “sotto banco” rivelata dal giornale canadese. La saga altalenante dei 65 F-35A di Ottawa si arricchisce così di nuovi sviluppi, dopo le inchieste avviate nel 2012 in seguito alle “bugie” del governo sulla reale portata economica di un procurement che, comunque – in Canada come in altri paesi partner del programma e persino (come vediamo tra poco) nel “semplice acquirente” Israele -, drenerebbe risorse a danno di altri importanti programmi di riequipaggiamento.

Alle inchieste avevano fatto seguito rapporti e studi sulla convenienza di puntare sullo strike texano e poi voci su accordi USA-Canada “non negoziabili” a monte della scelta del caccia di Lockheed Martin.Tra questi dossier c’è un report critico del “Canadian Centre for Policy Alternatives” uscito alla fine di giugno, ricco di spunti tecnici che si rifanno a una bibliografia tanto corposa quanto affatto “di parte”, come verrebbe da pensare.

Il tema affrontato, e risolto crudamente già nel titolo, “One dead pilot”, è quello dei limiti della formula monomotore del Joint Strike Fighter, poco o per nulla adatta a garantire i requisiti di sicurezza nei lunghi pattugliamenti delle distese artiche nel nord del paese. A chi obiettasse che anche la Norvegia opera già nell’Artico con un monomotore – l’F-16 – e non s’è preoccupata di questa limitazione nell’ordinare l’F-35, lo studio ribatte che gli spazi aerei settentrionali di pertinenza della difesa aerea del paese scandinavo sono molto più ristetti di quelli nei quali si troverebbero a operare gli F-35 canadesi.

Quanto alla sicurezza dei voli, si mette l’accento su un dato che è da sempre un punto di forza per i fautori della formula bimotore là dove siano richiesti range impegnativi, la US Naval Aviation in testa: dei 297 F-16 persi dall’Air Force americana sul totale dei 1.300 ricevuti a partire dal 1979, di sicuro 76 e, con discrete probabilità, altri 166 sono caduti per guasti al motore.

La stessa Norvegia, spiega lo studio del “Canadian Centre for Policy Alternatives”, ha perso 16 dei suoi 72 F-16, almeno 6 dei quali per problemi al propulsore (dopo la fin troppo nota ecatombe di F-104 Starfighter andati persi – quasi un quinto di quelli ricevuti – anche l’Aeronautica Militare Italiana ha sofferto la perdita di sette F-16 Air Defense Fighter sui 34 schierati fino al 2012).

Una flotta di caccia monomotore da proiettare su lunghe distanze in ambienti particolarmente severi richiederebbe poi un potenziamento degli assetti per la ricerca e il soccorso, e aumenterebbe le probabilità di perdita dei velivoli per eventi di “bird strike”. Infine, conclude lo studio, non è detto che i continui miglioramenti tecnologici sui propulsori possano raddrizzare la bilancia a favore della seconda nel confronto fra l’affidabilità di una formula bimotore e di una monomotore.

Israele ha dei dubbi
Il dibattuto sui costi e le reali capacità dell’F-35 si è esteso si recente anche a Israele, che riceverà nel 2017 il primo dei 19 F-35A ordinati nel 2010, e avvierà nel 2016 l’addestramento dei piloti. Gerusalemme vorrebbe 75 JSF, possibilmente anche 100, ma le difficoltà e le incertezze del programma hanno creato malumori all’interno dello stesso governo.

Il 5 novembre un Ministerial Equipment Committe composto da tre membri dell’esecutivo (tra i quali un ex colonnello dall’aviazione, oggi ministro dell’agricoltura) e da alcuni comandanti della Israel Defence Forces, si è detto contrario all’acquisto di ulteriori 25 F-35: i 3 miliardi di dollari necessari – questa la conclusione del comitato – andrebbero spesi meglio in nuovi velivoli Unmanned e sistemi missilistici di difesa.

“Questo aereo non costituisce una priorità per le nostre forze armate”, ha dichiarato a margine dei lavori del Committee Moshe Arens, già ministro del Difesa di Israele.

Sarà interessante vedere in quale misura ma soprattutto se gli offset concessi a Israele dagli Stati Uniti verranno rinegoziati in caso di una riduzione degli ordini, ricadute industriali  pari a ben 2,5 miliardi di dollari che fin d’ora contemplano la costruzione a cura della Israel Aerospace Industries di ben 811 set di ali per il JSF

La già citata agenzia francese ha giustamente fatto notare che sinora né la Gran Bretagna né l’Italia, i due maggiori partner del programma americano, hanno ancora pubblicamente reagito alla concessione di considerevoli offset industriali a Israele: i partner, che anche se in misura limitata condividono il rischio, le forniture devono guadagnarsele, mentre chi si è avvalso dei normali canali dei Foreign Military Sales si ritrova con del lavoro assicurato. Anche se per ora ha ordinato solo pochi aerei.

Lo stesso ovviamente vale per gli altri due clienti non partner dello strike di Lockheed, e cioè Giappone e Corea del Sud, i cui primi ordini sono valsi loro quote di lavoro per le rispettive industrie che andranno ugualmente a detrimento di quelle attese dagli 8 partner.Ma non è detto che questi business vadano in porto: in Giappone il gruppo aerospaziale Mistubishi Heavy Industries ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di investire di tasca sua, come le ha chiesto il governo, nelle necessarie infrastrutture produttive, congelando di fatto ogni piano industriale nipponico relativo al caccia americano.

A Seul monta l’opposizione, anche fra i militari, ai primi accordi contrattuali firmati a  settembre, quando la Pratt & Whitney e il Pentagono non avevano ancora fornito rassicurazioni dopo il fermo flotta di giugno a seguito dell’incendio a un motore di F-35. “Il buon senso” ha dichiarato un “official” della Difesa sudcoreana, “avrebbe suggerito di aspettare a firmare i contratti di acquisto o di cercare di ottenere nuove concessioni. Non c’è ragione per cui il governo vada avanti nelle trattative semplicemente spingendo gli Stati Uniti a risolvere tutti i problemi di questo aereo”.
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Foto: Lockheed Martin

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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