A Gorizia convegno sul ruolo marittimo dell'Italia

 

di Fabio Agostini

Il 2 dicembre presso l’Aula Magna della sede di Gorizia dell’Università degli studi di Trieste, si è tenuto il seminario dal titolo “il ruolo strategico del mare per la sicurezza e l’economia dell’Italia” teso a promuovere un momento di riflessione sul tema in questione, coniugando un consolidato ruolo formativo dei giovani alle carriere internazionali a un’irrinunciabile sensibilità per la dimensione marittima.

Negli interventi di apertura il Magnifico Rettore, professor Maurizio Fermeglia ha sottolineato l’importanza per il mondo universitario di conoscere ed avvicinarsi all’ambiente marittimo che  nella sua continua crescita ed evoluzione, anche tecnologica,  svolge un ruolo centrale per la società in quanto teatro del processo di “globalizzazione” dell’economia, e viatico di rapporti commerciali, di scambi, di comunicazione ovvero di libertà.

Successivamente il Sindaco di Gorizia, Sen. Dottor Ettore Romoli, ha rilevato come lo svolgersi di un seminario che tratta di questione marittime a Gorizia non deve stupire in quanto tutta la regione è interessata a tali  tematiche con oltre il 50 % del PIL della Provincia legato alla cantieristica navale.

La prima sessione sul tema dell’ambiente marittimo quale centro di gravità geopolitico e per la sicurezza dell’Italia, è stata aperta dall’intervento del Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi, che ha sottolineato come l’odierno scenario internazionale sia caratterizzato da una crescente incertezza e da una generalizzata instabilità che risente delle conseguenze della globalizzazione – che crea una interdipendenza di paesi geograficamente lontani, riverberando su scala mondiale gli effetti delle crisi, anche di quelle locali – e delle persistenti difficoltà a realizzare una riforma dei meccanismi internazionali di cooperazione, che tenga conto dei mutati rapporti di forza fra i vari paesi.

Al contempo il centro di gravità geopolitico ed economico mondiale si è spostato sempre più verso l’ambiente marittimo, che svolge un ruolo centrale per la società influenzandone – direttamente e indirettamente – la maggior parte degli aspetti della vita quotidiana.

Questo, ha evidenziato l’Ammiraglio De Giorgi, è ancora più evidente per la Regione mediterranea, diventata la “frontiera liquida e insicura dell’Europa” dove la diffusa instabilità politica, che contraddistingue la sponda sud e mediorientale, i rilevanti interessi economici connessi con le risorse energetiche, la crescente possibilità di sfruttamento del fondo marino, l’aumento della densità del traffico marittimo e la profonda trasformazione in atto del diritto marittimo internazionale, rappresentano una potenziale fonte di tensioni tra Paesi rivieraschi.

L’Italia potrebbe soffrire più di altri questa situazione, continua l’Ammiraglio De Giorgi, in ragione della evidente e marcata connotazione marittima che caratterizza il nostro paese, che è il primo in Europa per quantità di merci importate via mare (185 milioni di tonnellate), dispone dell’undicesima flotta mercantile del mondo e della terza flotta peschereccia europea, con oltre 12.700 imbarcazioni e 60.000 persone che operano nel settore. Sempre via mare, l’Italia importa circa l’80% del petrolio necessario al proprio fabbisogno e il cluster marittimo nazionale genera da solo, quindi,  circa il 3% del PIL, con un moltiplicatore economico d’investimento pari a 2,9 volte il capitale investito.

A tal proposito, continua l’Amm. De Giorgi, è importante capire che l’area dove risiedono i principali interessi strategici nazionali – economici, industriali ed energetici – non è rappresentata dal solo bacino del mediterraneo, ma da un’area molto più vasta che parte dal Mar Mediterraneo e si allarga ad oriente verso il Mar Nero, il Medio Oriente e, tramite Suez, al Golfo Persico, Corno d’Africa, l’Oceano Indiano e, ad occidente sino al Golfo di Guinea.

E’ il così detto “Mediterraneo allargato”, concetto geopolitico già promosso negli anni ’90 in Italia e all’estero e poi sviluppato in relazione al progressivo allargamento delle aree geografiche le cui dinamiche politiche e socio-economiche sono strategicamente legate a quelle della regione mediterranea come peraltro riconosciuto anche dalla stessa Unione Europea nel documento European Union Maritime Security Strategy e relativo piano di implementazione (Action Plan) che verrà firmato il prossimo 16 dicembre al termine del Semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea.

E’ quindi evidente che il destino, la prosperità e il  benessere del Paese sono fortemente dipendenti dal mare, la cui sicurezza e il libero uso sono garantiti dalla continua opera di presenza, sorveglianza condotta dalla Marina Militare che, con il suo rilevante contributo di uomini e mezzi, rappresenta l’elemento abilitante primario, per consentire all’Italia di assumere  un ruolo da protagonista nel mantenimento dell’equilibrio nelle aree d’interesse strategico, a tutela della sicurezza marittima per la protezione degli interessi nazionali.

Ma i mezzi sono sempre più vecchi, rileva il Capo di Stato Maggiore della Marina, e vanno sostituiti se il Paese vuole mantenere la capacità di reagire adeguatamente a tali sfide. In termini numerici delle 60 navi oggi operative (erano 80 solo una decina di anni fa), entro il 2025 circa 50 dovranno fermarsi.

Per evitare quindi l’azzeramento della flotta, ha annunciato l’ammiraglio De Giorgi, la Marina ha lanciato un programma navale di emergenza finalizzato alla sopravvivenza della capacità marittima nazionale,  intesa come il binomio Marina – industrie, che prevede la costruzioni di nuove navi con ampie benefiche ricadute sia sulla cantieristica nazionale, che sull’occupazione che sull’innovazione tecnologica complessiva del Paese.

Una “famiglia” di navi caratterizzata da bassi costi di gestione, elevate prestazioni, ampia polivalenza all’impiego e al massimo rispetto per l’ambiente ed è stata studiata per svolgere più funzioni sinora assolte da navi diverse.

Grazie alle spiccate modularità operative,  realizzando delle significative economie di scala, queste navi saranno condotte da equipaggi ridotti,  con la possibilità di imbarcare personale aggiuntivo, in grado di svolgere tutto lo spettro delle operazioni militari complesse di lunga durata, ma anche con capacità pienamente applicabili al campo civile, con un ritorno dell’investimento a favore della collettività, e per il sostegno alla popolazione in caso di disastro o calamità naturale. Esse sono infatti studiate, sin dalla fase di progetto, per esprimere al massimo livello caratteristiche di dualità, così da essere utili alla nazione sin dal tempo di pace.

Nel seguente intervento il Professor De Leonardis dell’Università Cattolica di Milano, ha evidenziato come, nei diversi periodi storici,  la salvaguardia delle linee di comunicazioni marittime e la possibilità di libero movimento in mare siano state elementi di importanza vitale per l’Italia.

Tale importanza è ancor più enfatizzata oggi dalla  moderna globalizzazione in quanto il mare è elemento fondamentale da cui dipendono significativamente la sicurezza, l’economia e la prosperità ed il cui libero uso deve essere garantito, prevenendo e contrastando efficacemente tutti i rischi e le minacce che nell’ambiente marittimo trovano piena libertà d’azione considerando che, dal termine della guerra fredda, le minacce terrestri per l’Italia sono pressoché scomparse.

Di rapporti tra diplomazia e marittimità ha parlato nel suo intervento l’Ambasciatore Casardi sottolineando come, dopo l’unificazione, il mare ha acquisto un importanza fondamentale per l’economia e la sicurezza del nostro Paese. E’ chiaro che l’attenzione è posta principalmente nel Mediterraneo ma non si può dimenticare, ha sottolineato Casardi, che il nostro sistema economico ci spinge sempre di più considerare come priorità anche zone più lontane dove è possibile acquisire le risorse di cui abbiamo vitale bisogno e dove possiamo commercializzare i nostri prodotti finiti.

Non si può inoltre non considerare che oltre 100 milioni di persone nel mondo hanno origini italiane ed è noto che la maggior parte di loro mantiene un rapporto preferenziale con l’Italia, per quanto riguarda ad esempio cibo e moda, influendo anche sui gusti dei loro nuovi conterranei nei Paesi dove si sono stabiliti. Inoltre molti di loro hanno dato vita a imprese che importano dall’Italia macchinari e beni strumentali .

Da ciò si evince altresì come gli Italiani all’estero contribuiscano a sottolineare la componente marittima del nostro sistema economico, grazie all’ingente traffico marittimo di macchinari, beni strumentali e di merci che acquistano in Italia.
L’Amb. Casardi ha infine evidenziato come nel recente documento contenente le linee guida diramate del Ministero della Difesa per la stesura del Libro Bianco vi siano due concetti che lasciano alquanto perplessi nell’ottica sopra descritta: il primo è il concetto di “Vicinato orientale e meridionale dell’Unione Europea, fino ai Paesi del cosiddetto vicinato esteso”, senza una chiara connotazione geografica di cosa si intenda con tale definizione.

Questa confinazione nell’ “estero vicino” che, indica il relatore, è apertamente in contrasto con la logica della Farnesina, sembra far propendere per una definizione in senso restrittivo dell’area d’interesse strategico nazionale, senza tener conto della globalizzazione dell’economia  e degli effetti di crisi/conflitti locali.

Per l’Amb. Casardi la corretta definizione dell’area di interesse strategico nazionale, che consideri compiutamente quanto indicato e che abbia a riferimento il contesto geopolitico-economico mondiale, è essenziale per poter adottare un modello di Difesa in grado di tutelare gli interessi nazionali e di rispondere alle esigenze di difesa/sicurezza del Paese.

Il secondo discutibile concetto per Casardi è quello della specializzazione di ruolo, interpretabile come rinuncia ad alcune capacità  acquisite nel tempo, che in futuro dovrebbero essere ricercate con i partner dell’Unione europea e della NATO. In tale ambito va considerato che il sistema di Alleanze – per le quali vige sempre più il criterio di intervento “laddove possibile e quando necessario” – non è in grado di rispondere a tutti i bisogni di sicurezza dell’Italia, ma solo a quelli che vengono percepiti dall’intera collettività degli Stati membri in misura almeno pari alla nostra.

In alcuni casi il Paese deve quindi mantenere la capacità di fronteggiare da solo, in tempo di pace o di crisi, situazioni di contenzioso bilaterale con Stati terzi, nonché rischi e minacce maggiormente avvertiti dalla collettività italiana rispetto a quanto avvenga in altri Paesi alleati (un esempio è l’Operazione Mare Nostrum, che ha visto per un anno l’Italia affrontare da sola un evento di flusso migratorio – epocale per dimensioni – che interessa l’intera Europa).

L’identità di sicurezza e difesa europea, conclude l’Amb. Casardi, è ancora lungi da essere matura e il concetto di interdipendenza e specializzazione di ruolo da ricercare con i Paesi europei appare altresì molto pericoloso in quanto la competizione con le principali nazioni Eu – Francia, Germania e Regno Unito – rischia di relegare il Paese a ruoli marginali. Per questo è necessario che alla Marina Militare italiana venga garantita la possibilità di mantenere le attuali capacità che sono, tra l’altro, già più modeste di quelle di alcuni di partner europei con cui normalmente ci confrontiamo.

I lavori mattinali si sono conclusi con l’intervento del Dottor Gianandrea Gaiani, Direttore di Analisi Difesa che ha esordito evidenziando come, mentre gli Stati Uniti spostano il loro interesse dal Mediterraneo al Pacifico e al Mar Cinese, il vuoto navale lasciato da questi viene colmato dalle forze navali Russe e Cinesi. Tutto questo mentre l’Unione Europea, o meglio  la Germania, guarda prevalentemente ad est anche per ragioni economiche mentre il sud Europa non interessa a nessuno, tranne all’Italia.

Gaiani ha invitato poi a riflettere sulle nostre Alleanze, indicando come l’intervento in Libia sia stato fortemente voluto da USA, Francia e Regno Unito anche a scapito dei nostri interessi in quel Paese così come è accaduto nei confronti del regime siriano che, fino al 2010, era considerato dal nostro governo un partner affidabile ed ancora oggi con la crisi ucraina. Passando poi all’emergenza immigrazione il Dottor Gaiani ha ricordato come l’Italia sia stata lasciata ad affrontarla da sola e solo dopo un anno vi è una parvenza di intervento europeo, peraltro ancora discutibilmente efficace.

Pertanto sull’Europa e sulla NATO, rileva il Dott. Gaiani, non possiamo fare affidamento perché in tutti i casi citati gli Alleati non hanno fatto e non stanno facendo i nostri interessi. E’ chiaro che nell’attuale congettura economica occorre effettuare delle economie ma è necessario farlo delineando chiaramente le aree di interesse nazionale e identificare, in base a queste, dove intervenire o meno con i nostri uomini e mezzi.

Gaiani quindi si dichiara colpito negativamente dalle Linee Guida già citate dall’Amb. Casardi, in quanto non si trova evidenza del ruolo marittimo dell’Italia e c’è invece un richiamo alle Alleanze che, come detto, non garantiscono il pieno soddisfacimento degli interessi nazionali. Per Gaiani è necessario che il Libro Bianco definisca prioritariamente gli interessi nazionali, assicuri uno strumento navale adeguato e tecnologicamente avanzato e garantisca le risorse certe per gli anni a venire.
La sezione pomeridiano dedicata all’economia del mare quale uno dei principali vettori di sviluppo, ha visto susseguirsi gli interventi di rappresentanti del Dicastero dei Trasporti e delle Infrastrutture, del Dicastero della Pesca e dell’Agricoltura, di Confitarma, di Fincantieri e Finmeccanica.

Gli interventi hanno evidenziato il mar Mediterraneo intercetti ca. il 20% del traffico marittimo mondiale (previsto in ulteriore crescita nei prossimi anni con un tasso di sviluppo annuo pari a ca. l’8%)  con 1,4 miliardi di tonnellate di merci l’anno e rappresenta inoltre una tipologia particolarmente “delicata” di commercio, in quanto collegate a materie di primaria importanza come quelle alimentari ed energetiche.
Inoltre in Italia l’industria correlata alle attività marittime è uno dei settori più redditizi su cui investire, con un moltiplicatore d’occupazione di 1 a 6 ed uno di reddito di 3,43. Si tratta di un’industria che produce made in Italy per oltre il 90% ed è tuttora competitiva, grazie al margine di vantaggio tecnologico di cui dispone nei confronti dei Paesi emergenti.

Oltre ai dati già ricordati nel suo intervento dal Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio De Giorgi, i relatori hanno sottolineato che in Italia risiede la prima flotta al mondo di navi traghetto e come il Paese sia leader assoluto nel Mediterraneo della movimentazione delle merci via mare con la cosiddetta navigazione a “corto raggio”, seconda in Europa solo al Regno Unito.

Il comparto marittimo svolge oggi nell’economia italiana quindi un ruolo di rilievo più elevato di quello di molte altre filiere industriali. La cosiddetta  “economia del mare” nel suo complesso infatti,  ha prodotto nel 2013 beni e servizi per un valore di ca. 42 miliardi di Euro.  La “blue economy” coinvolge ben 180.000 imprese con un incremento del 2% nell’ultimo biennio, in controtendenza rispetto all’andamento del ciclo economico generale e di tanti altri settori dell’economia e dell’industria del nostro Paese.

I relatori hanno anche ribadito che esistenza e sviluppo del nostro Paese sono da sempre intimamente connessi al mare. Sotto diversi punti di vista, hanno inoltre ricordato che in tutte le epoche della storia, il mare ha significato moltissimo in termini politici, economici e sociali per ogni civiltà e lo sarà sempre più in futuro.

Ecco che questo contesto plasma e amplifica la domanda di security, safety e sustainability così articolabile:
•    sicurezza dei confini e delle coste oggi anche dai flussi migratori in forte crescita;
•    lotta ai traffici illegali, non più solo droga ma anche esseri umani;
•    controllo e gestione del traffico marittimo industriale e commerciale con la necessità di combattere la pirateria sorvegliando le rotte commerciali;
•    monitoraggio e protezione delle infrastrutture critiche come i porti ma anche piattaforme off-shore e pipeline petrolifere subacquee da minacce di tipo terroristico;
•    tutela dell’ecosistema marino da possibili eventi destabilizzanti a partire dall’inquinamento ma anche dall’eccessivo e non autorizzato sfruttamento
•    monitoraggio costante dello stato del mare ed in particolare quello dei ghiacci polari
•    ricerca subacquea di grande profondità, prospezioni geologiche ecc.

In tale scenario, i relatori hanno convenuto che la difficoltà più insidiosa è rappresentata dalla generale inconsapevolezza nell’opinione pubblica della dipendenza dal mare della nostra prosperità e della nostra sicurezza. Appare quindi necessario realizzare una strategia e una politica mirata ad una vera e propria rivalutazione del ruolo dell’ambiente marittimo partendo da una nuova governance delle tematiche che lo contraddistinguono che adesso sono disseminate su tanti e diversi tavoli non sempre coordinati tra loro.

In questa prospettiva l’iniziativa del Corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste, sede di Gorizia, ha dimostrato di sapersi inserire efficacemente non deludendo le aspettative delle Autorità civili e militari intervenute ma soprattutto dei numerosi studenti che hanno gremito l’aula Magna.

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