Baghdad vuole l'offensiva invernale su Mosul

Baghdad sta esercitando pressioni sugli Stati Uniti per anticipare all’inizio del 2015 l’offensiva militare contro i jihadisti dello Stato islamico (Isis) tesa a liberare Mosul, prevista da Washington per la prossima primavera. Secondo funzionari americani ascoltati dal New York Times, il lancio dell’operazione dovrebbe dipendere dalla preparazione delle truppe irachene addestrate a tal fine e dalla presenza di una forza in grado di mantenere il controllo della città una volta riconquistata.

I recenti limitati  successi riportati dall’esercito iracheno alla raffineria di Baiji, a Jurf al-Sahkar, a sud-est di Baghdad,e a Jalawla e Sadiya, nella provincia di Diyala, hanno convinto le autorità di Baghdad, compresi alcuni stretti collaboratori del premier e alti funzionari della Difesa, a premere sugli Stati Uniti perché sostengano l’anticipazione dell’offensiva.

Nelle ultime due settimane, gli Stati Uniti e i Paesi coinvolti nella coalizione internazionale contro l’Isis hanno messo a segno oltre 30 raid aerei nei pressi di Mosul, impedendo (così sostengono iracheni e alleati) ai jihadisti di rifornire e rafforzare i combattenti presenti nella città irachena, conquistata lo scorso giugno e diventata il quartier generale dello Stato islamico in Iraq.

Gli statunitensi ritengono però che  la riconquista di Mosul comporterà una sanguinosa battaglia casa per casa il cui successo dipenderà molto anche dalla capacità del governo di Baghdad di ottenere la collaborazione delle tribù sunnite alcune delle quali combattono già il Califfato nella provincia di al-Anbdar lamentando però la scarsa assistenza di Baghdad soprattutto per quanto riguarda i rifornimenti di armi e munizioni.

L’ipotesi più probabile, oltre alle note deficienze logistiche e organizzative che caratterizzano l’esercito iracheno, è che le milizie sciite che hanno assunto in molti settori la guida delle operazioni contro l’IS (impiegando mezzi corazzati, veicoli ed artiglieria in dotazione all’esercito regolare oltre a mezzi e armi di origine iraniana come documentano alcune delle foto che illustrano questo articolo)  non si fidino delle tribù sunnite o non intendano comunque armarle e rifornirle in modo efficace preferendo invece che jihadisti e milizie tribali, entrambi sunniti, si scannino tra loro.

Secondo i consiglieri militari di Washington, l’esercito iracheno mancherebbe della necessaria potenza di fuoco e capacità logistica per sostenere la battaglia di Mosul , così come dell’appoggio delle forze sunnite locali per presidiare la città e la provincia di Ninive una volta riconquistati.

Gli statunitensi preferiscono attendere che i 3.100 consiglieri americani e i 1.500 forniti dagli alleati europei, canadesi e australiani (tra i quali 280 italiani) addestrino almeno 20/30 mila reclute dell’esercito iracheno mentre fonti di Baghdad hanno riferito alla tv al-Arabiya che “migliaia di volontari hanno ricevuto un intenso addestramento su diversi tipi di armi per combattere i jihadisti e scacciarli dalla provincia di Ninive”.

L’addestramento si sarebbe tenuto in basi militari nel nord e nel sud dell’Iraq, oltre che nella stessa  Baghdad. Non si tratterebbe però di truppe regolari ma di miliziani sciiti del movimento Badr (che ha il controllo del Ministero degli Interni) addestrati a quanto sembra dai pasdaran iraniani.

Il primo ministro iracheno Haider al-Abadi ha detto al segretario americano alla Difesa Chuck Hagel, che sono necessari più raid della Coalizione per sconfiggere lo Stato Islamico chiedendo di avere in dotazione armi pesanti per poter sconfiggere i miliziani. Di fatto la stessa richiesta formulata per anni a Washington anche dal precedente governo guidato da Nouri al-Maliki.

“C’è un progresso costante delle forze irachene nella guerra contro i terroristi dell’IS” ha detto Hagel. ormai dimissionario dal vertice del Pentagono, che non sembra però aver assunto impegni circa forniture diverse da quelle finora approvate.

Foto: web via Jane’s Defence Weekly, Iraqi Army

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