Chi vince a Kobane?

Dopo tre mesi di battaglia è ancora difficile capire chi stia vincendo la battaglia per Kobane, la città curda del nord della Siria definita non senza eccessi “la Stalingrado” dei curdi contro lo Stato Islamico. Al netto della propaganda, molto intensa su ambo i lati della barricata, alcuni elementi sembrano assodati. Nonostante a Kobane confluiscano  rinforzi curdi provenienti dall’Iraq e nonostante gran parte dei raid aerei alleati sulla Siria siano concentrati  su quel settore le milizie jihadiste tengono ancora duro e controllano parte del centro urbano. Le poche notizie disponibili circa l’andamento dei combattimenti in città sono contraddittorie, segno forse che dopo oltre tre mesi di battaglia scacciare i jihadisti si sta rivelando un compito molto arduo.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (ONDUS), una ong con sede a Londra che conta su una rete di attivisti in tutta la Siria (ma che è strettamente legata ai ribelli che combattono il regime di Bashar Assad) il 70% di Kobane “è nelle mani” delle forze curde.

L’Osservatorio, citando fonti “attendibili” spiegava il 30 dicembre che i combattenti curdi delle “Forze di Difesa del Popolo” (YPG), dopo violenti combattimenti ,sono avanzati in vaste aree nella parte orientale del quartiere di Sofyan, a sud di Kobane, e ora “occupano circa il 70 per cento” della città. Solo tre giorni prima, il 27 dicembre, lo stesso ONDUS  i combattenti curdi siriani  avevano riconquistato “più del 60%” della città di Kobane.

“Le forze curde ora controllano oltre il 60% della città, ha detto Rami Abdel Rahman, direttore dell’Osservatorio aggiungendo che “l’IS  si è ritirato anche andato da aree dove i curdi ancora non sono entrati per paura delle mine”.  Anche un miliziano curdo di Kobane, Mustafa Ebdi, sostenne che le unità dell’YPG “sono avanzate verso est su tutta la linea del fronte nel corso dell’ultima settimana”.

L’Isis si sarebbe  anche ritirato dal quartier generale dell’Ypg nel nord della città, dai quartieri meridionali e dal centro di Kobane.

Stiamo quindi assistendo a una progressiva offensiva curda che sta cacciando i jihadisti? Forse no considerato che il 22 dicembre scorso il comandante delle forze curde-irachene a Kobane, Shirwan Mohammed Sabindari, annunciò alla tv curda Rudaw che l’85% della città era in mano ai curdi aggiungendo che “la presenza delle milizie jihadiste si limita ormai alla parte meridionale della città introno alla area di Mishta Nur ed è rappresentata ormai solo dai colpi dei cecchini”.

Sabindari disse che nel corso dell’offensiva “le forze curde hanno contato 15 cadaveri di miliziani dell’IS e ne hanno fatto prigionieri altri 14, tra cui ceceni, marocchini, iracheni e siriani”.

Probabilmente ci possono essere discrepanze tra le dichiarazioni dei comandanti curdi e le rilevazioni dall’ONDUS ma se dieci giorni or sono i curdi controllavano l’85% della città e cinque giorni dopo solo il 60% ciò significa che intorno a Natale i jihadisti hanno lanciato con successo un contrattacco che ha permesso loro di riguadagnare terreno e di cui nessuno ha parlato.

Quando le milizie jihadiste diedero il via all’offensiva su Kobane , il 16 settembre scorso, riuscirono ad occupare circa il 60% del centro urbano prima di venire arginate dai curdi e dai jet alleati che avviarono i raid aerei sulla Siria il 23 settembre.

Fotop: AP, AFP, YPG e Reuters

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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