Libia: il "nostro" petrolio brucia e Roma perde tempo
da Libero Quotidiano del 31 dicembre
Il “nostro” petrolio brucia sulla coste della Cirenaica ma Roma prende (o perde) tempo costringendo le autorità libiche a rivolgersi altrove. Un bombardamento dei ribelli islamici del Fronte “Alba della Libia” ha incendiato il giorno di Natale parte dei depositi del terminal di Sidra, il più importante porto petrolifero libico, scatenando un rogo che sta provocando un disastro economico e ambientale senza precedenti nel Mediterraneo.
Il rischio è che vengano bruciati i 6,2 milioni di barili di greggio privando di importanti risorse finanziarie il governo di Tobruk (dove ieri un kamikaze ha ferito 18 persone di fronte al parlamento) l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale a guidare la Libia e che ha bisogno dei proventi del petrolio per sostenere la guerra contro I ribelli islamisti appoggiati da Turchia e Qatar.
Questi tentano da due settimane di occupare il complesso di terminal petroliferi di Sidra e Ras Lanuf soffrendo severe perdite (ieri un loro elicottero è stato abbattuto dai governativi) e potrebbero aver deciso di distruggere il greggio che non riescono a strappare al nemico.
“Uno dei tre depositi ancora avvolto dalle fiamme è fuori controllo dopo che è esploso causando la fusione della struttura dalle quale sono uscite lave altamente infiammabili che si sono diffuse nel perimetro dei 19 depositi che contengono 6,2 milioni di barili di greggio” ha spiegato lunedì un tecnico di “al-Waha”, la società che gestisce il terminal di Sidra aggiungendo che “c’è un rischio reale della propagazione delle fiamme a tutti i silos”.
“L’incendio è in corso in tre depositi” ha detto il portavoce dell’unità per le operazioni militari nella cosiddetta “zona della mezzaluna petrolifera”, Ali al Hassi, il quale citato dalla tv al-Arabiya ha sottolineato che “le squadre lavorano senza l’aiuto” dei Canadair di Paesi stranieri.
Un riferimento chiaro all’Italia a cui il governo di Tobruk ha chiesto con urgenza l’intervento degli aerei antincendio della Protezione Civile che, rifornendosi d’acqua in mare di fronte ai depositi di greggio in fiamme, avrebbero potuto sedare rapidamente l’incendio.
Roma però ha condizionato l’intervento dei mezzi antincendio a un cessate-il-fuoco tra governativi e fronte islamita “Alba della Libia”.
Una pretesa assurda sia perché i tempi lunghi di un negoziato per lo stop alle ostilità mal si adattano all’esigenza di domare in fretta le fiamme che bruciano miliardi di dollari, sia perché è facile intuire che se i ribelli hanno bombardato il terminal con l’obiettivo di incendiare il greggio non hanno nessun motivo per negoziare un cessate il fuoco che consenta ai governativi di domare le fiamme.
Il governo Renzi continua quindi favorire indirettamente le milizie islamiste negando ogni tipo di aiuto al governo legittimo libico.
Prima ha detto no agli aiuti militari nascondendosi dietro l’alibi di voler favorire i negoziati di pace proposti senza successo dall’ONU (posizione ribadita ieri dal Ministro degli esteri, Paolo Gentiloni) e ora nega addirittura l’intervento “umanitario” degli aerei antiincendio per proteggere un petrolio che è anche “nostro” considerato che viene esportato per lo più in Italia ed estratto in gran parte dall’ENI le cui azioni hanno sofferto nei giorni scorsi anche a causa della situazione in Libia.
Il sospetto è che il “tradimento” di Roma nei confronti della lotta agli islamisti condotta dal legittimo governo libico dipenda in realtà dalle spregiudicate pressioni del Qatar, che non ha mai esitato a far valere il peso dei suoi investimenti miliardari in Italia e in Europa fin dalla guerra contro Gheddafi nel 2011.
Impossibile infatti non notare che nessun Paese Occidentale sta aiutando il governo legittimo di Tobruk, sostenuto da egiziani, russi, sauditi ed emiratini.
Secondo quanto ha reso noto la compagnia petrolifera statale libica National Oil Company (Noc), l’incendio ha mandato in fumo finora un milione e 200 mila barili di petrolio, pari a quasi 4 giorni dell’attuale produzione pari a circa 300 mila barili contro 1,6 milioni prodotti giornalmente durante il regime di Muammar Gheddafi.
Di fronte ai dinieghi di Roma il governo libico ha affidato a una società statunitense non meglio precisata un contratto da 6 milioni di dollari che prevede lo spegnimento dell’incendio entro 5 giorni dall’intervento delle squadre di tecnici specializzati. Società americane furono protagoniste nel 1991 degli interventi che permisero di spegnere i numerosi pozzi kuwaitiani incendiati dalle truppe irachene in ritirata.
Foto Reuters e APYV
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.