Marò, strategia italiana ribaltata
di Danilo Taino da il Corriere della Sera del 31 dicembre 2014
Nella lunga vicenda dei due marò, siamo tornati alla casella di partenza, al febbraio 2012: tutto è nelle mani della benevolenza dell’India politica e giudiziaria. Si può sperare che questa volta vada meglio: il governo indiano in carica, guidato da Narendra Modi, è più disposto di quello di allora a trovare una soluzion e condivisa.
Il dato di fatto, però, è che a dare le carte continua a essere solo Delhi: la strategia per strapparle l’iniziativa, o almeno per condividerla, era stata impostata da Emma Bonino quando era ministro degli Esteri del governo Letta ed era stata portata avanti da Federica Mogherini, prima di trasferirsi a Bruxelles, e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti. Fino a poco più di tre mesi fa: poi, la questione è stata presa in mano dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, la strategia è stata abbandonata e tutto è stato riportato su un piano esclusivamente politico tra i governi dei due Paesi; un rapporto nel quale l’India è in posizione di forza e detta modi e tempi.
Con risultati pessimi per Salvatore Girone, per Massimiliano Latorre e per la reputazione internazionale dell’Italia, come si è visto nei giorni scorsi.Ora si può fare il punto su ciò che sta avvenendo in questi giorni. Anche perché la vicenda ha assunto una valenza sempre più rilevante nella politica italiana dopo che Matteo Renzi ha criticato gli «inutili show» di alcuni «ministri dei governi precedenti», riferendosi all’ex titolare degli Esteri Giulio Terzi e forse a Emma Bonino; e ha detto che il governo di Delhi «nelle ultime ore ha aperto un canale di confronto diretto», con ciò di fatto smentendo i suoi ministri Pinotti e Paolo Gentiloni (Esteri) che avevano mostrato forte irritazione con l’India.
Fin dall’estate, sul tavolo delle autorità indiane c’è una proposta di Roma per arrivare a una soluzione condivisa. Al tempo, aveva una sua logica e rispondeva a una strategia: ingaggiare in un confronto politico il nuovo governo di Delhi e in parallelo preparare il ricorso all’arbitrato internazionale.
Due iniziative che si rafforzavano a vicenda: l’arbitrato avrebbe fatto pressione sull’India affinché accettasse un compromesso e la proposta di accordo bilaterale sarebbe stata, se respinta, un’argomentazione in più per ricorrere all’arbitrato. Questa costruzione è stata inspiegabilmente abbandonata.La decisione di azzerarla è avvenuta in contemporanea alla scelta di Renzi di prendere direttamente in carico la questione.
Il che ha significato mettere ai margini i ministeri degli Esteri e della Difesa, fino ad allora alla guida del caso, e puntare tutto sulla ricerca di un rapporto diretto con Modi, in particolare con Ajit Doval, consigliere per la Sicurezza nazionale, una delle superspie più famose d’Asia.
E ha comportato il congelamento del team giuridico di avvocati internazionali, guidato dall’inglese Sir Daniel Bethlehem, che nei mesi precedenti aveva preparato la soluzione italiana per arrivare a un compromesso con l’India o all’arbitrato internazionale unilaterale. A quel punto, la gestione del caso si è trasformata nell’esclusiva ricerca di una disponibilità della parte indiana a risolverlo.Il 16 dicembre scorso, è arrivato il risultato della svolta impressa da Renzi.
Gli avvocati dell’Italia hanno presentato due mozioni alla Corte Suprema di Delhi con le quali chiedevano un prolungamento della licenza di Latorre e un permesso natalizio di tre mesi per Girone. Evidentemente incoraggiati dai colloqui con Doval. In realtà, l’avvocato dello Stato indiano si opponeva alle mozioni.
E il presidente della Corte Suprema si mostrava irritatissimo dalla mossa italiana, letta come il tentativo di parte politica di imporre una soluzione violando l’autonomia della Corte: consigliava agli avvocati italiani di non presentare nemmeno le mozioni; consiglio umiliante ma perentorio.
Tradotto: il governo Modi – come ha poi ribadito pubblicamente – vorrebbe «una soluzione diplomatica condivisa» con Roma ma deve rispettare l’indipendenza della sua magistratura, la quale lo ha fatto sapere con chiarezza.
Un Paese europeo che non consideri l’India pienamente uno Stato di diritto è destinato a sollevarne gli automatici riflessi anticolonialisti.Alla fine, insomma, il nodo mai sciolto della vicen da è venuto al pettine: la confusione tra aspetto diplomatico del caso e aspetto giudiziario.
Il nuovo pasticcio creato con la svolta degli ultimi mesi ha fatto tornare alla casella di partenza questo triste gioco dell’oca. Perché ora, tra l’altro, l’Italia si sta alienando la possibilità di dare inizio a un arbitrato internazionale unilaterale, impossibile da chiedere se con il governo di Delhi ci sono ancora aperte trattative, come hanno confermato gli indiani e lo stesso Renzi due giorni fa.
Solo quando una trattativa è, dopo più tentativi, fallita, il ricorso all’arbitrato unilaterale ha chance di successo, no n prima: quella era la strategia portata avanti fino ad alcuni mesi fa e poi abbandonata dal governo di Roma. Ora, resta solo la possibilità che Narendra Modi accetti un accordo, magari per un arbitrato su dove tenere (in Italia o in un Paese terzo) il processo a Girone e Latorre. Siamo in attesa della bontà sua
Foto Ansa e Lapresse,
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