Dalla Libia un nuovo allarme per le armi chimiche

Il tema si ripresenta ormai con cadenza ciclica e ogni volta che Libia diventa teatro di intensi scontri bellici che minacciano di coinvolgere anche l’Occidente. L’attuale crisi con la penetrazione dello Stato Islamico nella nostra ex colonia non fa eccezione.  L’autorevole quotidiano panarabo Asharq Al-Awsat, basato a Londra, ha citato anonime “fonti militari libiche” che denunciano la presenza di armi chimiche trafugate presso arsenali di province centrali e meridionali della Libia negli arsenali delle milizie islamiste.

A meno che non si tratti di siti segreti sfuggiti alla distruzione delle armi chimiche libiche completata l’anno scorso – la cui esistenza non è del tutto esclusa dagli esperti – l’allarme non sembra riguardare armamenti pronti all’uso: si tratterebbe ‘solo’ di un’imprecisata quantità di “precursori”, ovvero sostanze necessarie a produrre “armi chimiche” di cui in settembre venne segnalata la disponibilità in Libia di 850 tonnellate.

Il rischio sottolineato dalle fonti è che queste potenziali armi possano “cadere nelle mani dello Stato islamico”. Le sostanze si trovano “in luoghi noti alle milizie, le quali ne hanno preso grandi quantitativi per usarle nella loro guerra contro l’esercito”, ha detto una fonte, sostenendo che arsenali segreti in Libia contengono ancora armi chimiche come “l’iprite e il gas nervino Sarin”.

Fino ad ulteriore prova contraria, vale però l’annuncio che “la Libia è divenuta totalmente priva di armi chimiche” il 4 febbraio dell’anno scorso, al termine di un processo di smantellamento iniziato nel 2004 quando il paese – all’epoca sotto il regime di Muammar Gheddafi – aderì alla Convenzione sulle armi chimiche (Cac). In quell’anno la Libia possedeva 24,7 tonnellate di iprite e più di 3.500 bombe chimiche.

  Eppure ci sono fonti “locali” accreditate dal giornale di proprietà di un membro della famiglia reale saudita, che sostengono che un gruppo armato di guardia ad una fabbrica chimica situata nel distretto di Jufra, circa 600 chilometri a sud-est di Tripoli, abbia trasferito sconosciute quantità di “iprite” a Misurata, bastione delle milizie del fronte islamico “Alba della Libia” guidato dai Fratelli Musulmani che appoggiano il Parlamento rivoluzionario di Tripoli (Gnc) in antitesi a quello legittimo costretto a riunirsi a Tobruk.

Un video, aggiunge il quotidiano, “sembra mostrare miliziani che conducono test con armi chimiche in una regione montagnosa vicino alla città di Mizda, circa 160 chilometri a sud di Tripoli. Si vede sparare un proiettile, che sprigiona fiamme seguite da una nube di denso fumo bianco che copre un’ampia area”.

Già lo scorso settembre l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), quella che per l’Onu ha monitorato la distruzione delle armi chimiche siriane, fece sapere che la Libia deve ancora smantellare il 60% dei suoi “precursori”, le sostanze che possono essere trasformati in armi chimiche.

La richiesta di trasferire all’estero le sostanze era stata motivata col rischio che cadessero in mani sbagliate soprattutto perché l’esistenza di arsenali segreti emerse con evidenza quando le autorità libiche  dopo la rivoluzione che spodestò Gheddafi sorpresero gli ispettori internazionali quando comunicarono di aver scoperto alla fine del 2011 e all’inizio del 2012 due depositi non dichiarati, per un totale di quasi due tonnellate di materiale letale, in gran parte caricato su proiettili di artiglieria.

Questa residua riserva di armi, ha rivelato il New York Times, venne distrutta tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 grazie a un accordo segreto tra Stati Uniti e Libia. Restano però da trasferire i precursori, ma l’attuale situazione di instabilità rende complessa e difficile una missione di recupero e imbarco del materiale chimico simile a quella attuata in Siria.

(con fonte Ansa)

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