Libia: 15 errori da non ripetere

Il tumultuoso avvicinamento delle milizie dell’Isis a poche miglia dalla nostra penisola ha avuto l’effetto di elevare lo stato d’allerta e l’attenzione delle istituzioni nazionali e internazionali sulla reale pericolosità della minaccia proveniente da Sud.

Secondo un protocollo altrettanto tumultuoso, dapprima il ministro degli esteri, quindi il presidente del consiglio, e infine il ministro della difesa, hanno annunciato che “l’Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell’area, europei e dell’Africa del Nord per fermare l’avanzata del Califfato che è arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste”. Dichiarazioni, peraltro, effettuate agli organi di stampa senza passare il vaglio “preventivo” del Parlamento ma non quello della radio ufficiale del Califfato – l’emittente al-Bayan che trasmette via internet da Mosul – che ha prontamente risposto minacciando l’Italia “crociata”.

La crisi libica è giunta all’attuale livello di criticità per cause e responsabilità che vanno ricercate per lo più nella nostra sponda del Mediterraneo.

L’interventismo militare della Francia, le costanti divisioni dell’Unione Europea, la riluttanza degli Stati Uniti a svolgere il proprio ruolo nella regione, la cronica debolezza dei governi italiani, non hanno permesso di inquadrare l’intervento del 2011 in Libia in una prospettiva strategica di medio-lungo termine e di far seguire alle operazioni della NATO a protezione dei civili un robusto piano di stabilizzazione e ricostruzione necessario per rilanciare lo sviluppo democratico, economico e sociale del paese.

Oggi l’Italia e la comunità euro-atlantica, sono chiamate ad affrontare in Libia una drammatica prova d’appello ed una minaccia che destabilizza non solo la regione ma mina la sicurezza internazionale e prefigura la distruzione degli stessi valori fondanti delle nostre società, libere e democratiche. A differenza del passato, affinché la risposta sia credibile ed efficace occorrerà definire e combinare 15 elementi fondamentali.

1.    Prospettiva regionale. La rilevanza strategica di un intervento in Libia va ben oltre i permeabili confini geografici del paese e dovrà essere considerato con una prospettiva regionale. Attualmente, la Libia costituisce la chiave per la sicurezza del Mediterraneo e qualora dominata dal Califfato, minerebbe la stabilità dei governi dei paesi vicini, quali la Tunisia, l’Algeria, il Mali, così come dello stesso Egitto e degli Emirati Arabi Uniti, che sostengono la lotta ai movimenti legati ai Fratelli Musulmani. Le milizie dell’Isis in Iraq e Siria acquisterebbero maggiore spazio, andando a delineare un arco di crisi che dal Mediterraneo si salderebbe pericolosamente con le instabilità del Caucaso, dell’Afghanistan e dell’Ucraina.

2.    Partner. Un intervento in Libia non può prescindere da un rinnovato e solido rapporto di partenariato con alcuni paesi della regione: quali l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, la Tunisia e altri. Sotto questo profilo, l’avanzata delle milizie dell’Isis hanno compattato gli interessi di diversi paesi della regione rendendone più agevole una loro cooperazione.
Fra i paesi occidentali che prenderebbero parte alla coalizione figurano, oltre all’Italia, la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Spagna, Malta. Gli Stati Uniti, saranno coinvolti nella strategia ed è verosimile ritenere che forniranno gli assetti essenziali per la conduzione delle operazioni (enablers).

3.    Interessi nazionali. L’Italia, ancor prima della formazione di una coalizione, dovrà aver ben chiari quali interessi nazionali perseguire. Oltre alla stabilità della Libia e della regione, l’Italia dovrà aver definito quali interessi vitali, strategici o contingenti andranno salvaguardati o conseguiti. Tale compito difficilmente avviene in Italia in maniera coerente per l’assenza di una Strategia di sicurezza nazionale e di un relativo processo che affini costantemente le strategie volte al perseguimento degli interessi nazionali. La decisione del ministro della Difesa Pinotti di redigere un Libro Bianco sulla sicurezza internazionale e la difesa, per quanto vada nella giusta direzione, appare tuttavia episodica e non in grado di soddisfare definitivamente questa esigenza.

4.    Energia. Gli interessi energetici dell’Italia in una certa area del paese non devono, come in passato, andare a scapito di una visione strategica più ampia. L’Italia è il primo importatore di greggio libico. Fra gli interessi strategici figura certamente l’approvvigionamento energetico che, a causa dei frequenti blocchi dei terminali petroliferi, nel 2014 ha subito un calo del 64% per ciò che riguarda il greggio. A seguito del danneggiamento dell’impianto di liquefazione di Marsa- al-Brega, il gasdotto Greenstream che collega Mellitah a Gela è rimasto l’unico canale di fornitura in funzione, sebbene a intermittenza, rendendo l’Italia il solo destinatario del gas libico.

5.    Nazioni Unite. L’Italia, oltre a sostenere il processo politico intentato in Libia dall’Inviato Speciale dell’ONU, Bernardino Leon, dovrà adoperarsi per ottenere dalle Nazioni Unite una risoluzione con un mandato particolarmente robusto e Regole d’ingaggio chiare. A tal fine, vanno ricordate le recenti Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza n. 2098 (2013) e 2147 (2014) relative alla missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo e che hanno per la prima volta autorizzato la costituzione di una Brigata d’Intervento con compiti “offensivi” per la protezione dei civili e “impedire l’espansione di tutti i gruppi armati, neutralizzando e disarmando questi gruppi, al fine di contribuire a ridurre la minaccia rappresentata dai gruppi armati nei confronti dell’autorità statale e alla sicurezza dei civili … e fare spazio alle attività di stabilizzazione”. Attualmente, l’Italia figura al sesto posto in termini di contributi al bilancio delle Nazioni Unite.

6.    Truppe. L’eventuale missione dovrà essere dotata di uno strumento credibile e robusto, ancorché flessibile. Per quanto le caratteristiche del paese consentano, in determinati casi, un agevole controllo del territorio, va ricordato che in Bosnia ed Erzegovina, la cui superficie è pari a un terzo di quella libica,  la NATO entrò nel 1995 con 60.000 uomini. Trascorsi venti anni, 600 uomini permangono tuttora nell’ambito della missione Althea dell’Unione Europea.

7.    NATO. L’Italia dovrebbe, richiedere con urgenza la convocazione del Consiglio Atlantico per consultazioni sullo scenario di sicurezza e la possibile adozione di provvedimenti quali il dispiegamento di batterie di missili Patriot a difesa delle coste italiane da eventuali lanci di missili Scud. Tale procedura trova fondamento nell’art. 4 del Trattato Atlantico ed ha ricevuto applicazione per due volte in Turchia.

Invece, nel caso di un attacco diretto contro l’Italia, scatterebbe automaticamente il meccanismo di solidarietà collettiva previsto dall’art. 5 del Trattato Atlantico.
8.    Mediterraneo. L’Operazione Active Endeavour di pattugliamento del Mediterraneo andrebbe rafforzata. Questa operazione marittima della NATO, varata all’indomani dell’11 settembre,  dovrebbe continuare a rimanere inquadrata nell’ambito dell’art. 5 (difesa collettiva) e non andrebbe declassata a semplice operazione di sicurezza collettiva, come attualmente in discussione.
9.    DDR (Disarmament, Demobilization, Reintegration). Fra i compiti prioritari di un’eventuale missione dovrà figurare quello di Disarmo, Smobilitazione e Reintegrazione di tutti i gruppi armati, affiancato da un programma auspicabilmente guidato dai Carabinieri sul modello della NATO Training Mission in Afghanistan volto a ricostituire su base unitaria e democratica le Forze armate e di sicurezza del paese.

10.    Ricostruzione. Affinché il processo di stabilizzazione divenga auto-sostenibile nel tempo occorre che questo sia accompagnato da un robusto piano di ricostruzione e sviluppo che in Libia è reso più agevole dalle ingenti risorse energetiche e finanziarie presenti in Libia. Si calcola che la Libia disponga attualmente di riserve in valuta straniera per 119 miliardi di dollari, mentre ulteriori 50 miliardi costituiscono il fondo sovrano.

11.    Peacebuilding Commission. L’Italia dovrebbe considerare l’opportunità dell’assistenza della Peacebuilding Commission, organo consultivo intergovernativo delle Nazioni Unite che sostiene gli sforzi di pace in paesi che escono da un conflitto.

12.    Cooperazione. La crisi libica offre, peraltro, l’opportunità di ripensare al sistema dei partenariati delle istituzioni euro-atlantiche su basi nuove. Lo scenario di crisi che circonda l’Europa a Est e a Sud, ha certificato, difatti, il fallimento delle diverse politiche di partenariato e di “vicinato” condotte dall’Unione Europea all’indomani dei processi d’allargamento voluti dalla Commissione Prodi. Oltre 15 milioni di euro sono stati spesi in questi anni in programmi di cooperazione dall’Unione Europea che dovranno in futuro essere indirizzati con logiche effettivamente cooperative e più settoriali.

13.    Immigrazione. Una missione in Libia dovrà, altresì, avere come compito quello di arginare il fenomeno della immigrazione clandestina incontrollata attraverso lo svolgimento di attività di monitoraggio e di eventuali procedure d’asilo in loco.

14.    Comprehensive Approach. Gli elementi sopra indicati andranno coniugati efficacemente secondo la decantata dottrina dell’Unione Europea e della NATO dell’Approccio Globale, che intende combinare gli strumenti civili e militari per dare risposte coerenti alle diverse dimensioni delle moderne sfide alla sicurezza.

15.    NATO-UE. La crisi libica potrebbe costituire una straordinaria opportunità di cooperazione tra la NATO e l’Unione Europea, che condividono 22 su 28 paesi ma non sono mai riuscite a trovare un terreno per una piena intesa. In tale prospettiva, l’Italia e l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza possono svolgere un ruolo determinante.

La crisi libica costituisce una minaccia imminente alla sicurezza nazionale e internazionale. Essa, peraltro, presenta numerosi fattori che se colti e efficacemente combinati, offrono un’opportunità unica per rinnovare i partenariati e il ruolo delle istituzioni euro-atlantiche nella regione mediterranea.

Fabrizio W. LuciolliVedi tutti gli articoli

Presidente del Comitato Atlantico Italiano e Presidente dell’Atlantic Treaty Association, è Docente di Organizzazioni Internazionali per la Sicurezza presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Svolge attività di formazione in varie istituzioni nazionali ed internazionali, militari ed accademiche. Già coordinatore di Corsi di alta formazione per ufficiali e diplomatici dei Balcani occidentali e del Medio Oriente, è Direttore e promotore di progetti di cooperazione NATO ed UE in Europa centrale ed orientale.

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