Miliziani libici dietro il racket degli sbarchi

di Lara Sirignano ANSA

Possono contare su milioni di dollari, un flusso ininterrotto di denaro, spesso sporco del sangue dei migranti morti durante la traversata del Canale di Sicilia, che andrebbe a finire nelle casse dei gruppi armati che si contendono il dominio della Libia. Lo sospettano i magistrati
della dda di Palermo che da mesi indagano sulla tratta di esseri umani che dalle coste nordafricane affrontano il mare per raggiungere l’Italia. A conferma che dietro i viaggi della speranza potrebbero esserci milizie libiche, forse anche l’Isis, ci sono diverse intercettazioni.

Come quella tra uno dei personaggi indagati per il traffico di uomini e un miliziano. “Abbiamo guadagnato un milione di dollari”, dice il “soldato” al suo interlocutore. Una conversazione ritenuta interessante dagli inquirenti che hanno anche scoperto che, il 15 febbraio scorso, a sparare contro la Guardia Costiera italiana, impegnata nel salvataggio di centinaia di migranti in acque libiche, è stato lo stesso gruppo di combattenti coinvolto nell’organizzazione dei viaggi.

La Capitaneria non rispose al fuoco per tutelare gli extracomunitari, ma dovette lasciare ai nordafricani il barcone usato per la traversata. I pm di Palermo – l’inchiesta è coordinata dall’aggiunto Maurizio Scalia e dal pm Gery Ferrara – stanno cercando di arrivare, dunque, all’organizzazione che gestisce il traffico.

Un passo in più rispetto all’identificazione dei cosiddetti scafisti, unici personaggi finora finiti sotto inchiesta. Proprio oggi peraltro la Procura di Agrigento ha chiesto 20 anni di carcere per il tunisino Khaled Bensalem, 36 anni, accusato di disastro ed omicidio colposo plurimo: sarebbe stato alla guida del barcone che il 3 ottobre del 2013 si ribaltò a qualche centinaio di metri dalla costa di Lampedusa, provocando 366 morti.  Mirare a chi gestisce il traffico, però, non è facile: tre dei capi dell’organizzazione sono stati identificati. Solo ora,

la Procura è riuscita ad ottenere a loro carico un mandato di cattura internazionale. Si tratta di Ermias Germay, etiope che risiederebbe in Libia, John Mharay, sudanese che, secondo le informazioni dei Servizi si troverebbe in Sudan, a Khartoum, e Shamshedin Abkadt, eritreo. I loro nomi compaiono ora nella “lista rossa” dell’Interpol. Ermias lo descrivono “basso e robusto”: in tanti lo hanno visto impartire ordini nella ‘mezrea’, la fattoria nelle campagne di Tripoli dove i migranti attendono di salire sui barconi diretti in Italia. John invece considerato “affidabile”, a differenza di quelli che costringono uomini, donne e bambini a partire contro la loro volontà.

Ma nel mirino degli inquirenti non ci sono solo le bande che operano nel Canale di Sicilia. Oggi Europol, col supporto di Eurojust e circa 400 unità delle forze di polizia di sette Paesi, ha smantellato un network di trafficanti di esseri umani,dal Kosovo all’Europa.

Sono 77 le persone arrestate (in due operazioni) con l’accusa di far parte di un’organizzazione che gestiva un fenomeno su vasta scala. Gli arresti sono avvenuti tra Austria, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Kosovo e Slovacchia. I membri del network erano di nazionalità kosovara, bosniaca, serba, macedone, slovacca e ceca. Il costo del viaggio a persona era di 2800 euro, 7mila a famiglia. Tra le modalità di pagamento anche Western Union e MoneyGram.

Foto: Marina Militare

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