SULLO YEMEN UNA "TEMPESTA DECISIVA"

(aggiornato il 28 marzo ore 14,00)

Forze militari saudite, egiziane, degli emirati che compongono il Gulf Cooperation Council  (GCC)  ma anche di Marocco e Sudan sono in azione da giovedì notte in Yemen per contrastare l’avanzata delle milizie sciite Houthi (sostenute e secondo fonti arabe  armate dall’Iran) che hanno preso recentemente il controllo della capitale Sana’a, delle coste del Mar Rosso, di alcune importanti basi militari e di gran parte degli arsenali dell’esercito yemenita ormai allo sbando o in parte passato con gli insorti.

Il tracollo definitivo dello Yemen è stato sancito dalla fuga del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, rifugiatosi ad Aden nel febbraio scorso dopo essere fuggito dagli arresti domiciliari imposti dai ribelli sciiti. Hadi ha raggiunto il 27 marzo Riad e poi l’Egitto per il summit della Lega Araba idi Sharm el-Sheikh.

L’intervento arabo ha avuto la “benedizione” della Lega Araba che accusa i ribelli sciiti Houthi di aver rigettato una proposta del GCC che li invitava a sedere al tavolo negoziale per raggiungere una soluzione politica alla crisi e giunge al termine di una lunga fase di destabilizzazione progressiva del Paese dopo che tutti i tentativi di mediare una soluzione erano falliti.

Anzi, la rapida offensiva dei miliziani sciiti, che aveva costretto anche le truppe statunitensi presenti a evacuare in fretta e furia la base utilizzata da droni e forze speciali nei pressi di Aden utilizzata per le operazioni contro al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), ha confermato secondo fonti arabe il pesante supporto militare iraniano fornito agli Houthi rendendo inevitabile l’intervento guidato militare dall’Arabia Saudita.

Secondo Anwar Garghash, ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, la natura militare del movimento Houthi rende automaticamente “fuori questione” una soluzione politica alla crisi e non sarebbe stato possibile tollerare “cambiamenti strategici” a favore dell’Iran, che sostiene i ribelli sciiti.

L’operazione ‘Tempesta Decisiva’ proseguirà finché i ribelli houthi  “non si arrenderanno” ha detto il presidente Hadi mentre il presidente egiziano Abdel Fattah al Sissi ha ribadito la necessità della creazione di una forza militare araba congiunta di fronte a una minaccia “senza precedenti

Le forze arabe
Il contingente multinazionale di “Decisive Storm”  è fornito dall’Arabia Saudita che schiera 100 aerei da combattimento e fino a 150.00 truppe di terra: numero quest’ultimo forse esagerato se si tiene conto che l’intero esercito saudita conta 150 mila militari integrati da 125 mila unità della Guardia Nazionale con compiti di controllo dei confini e che di questi ultimi almeno 30 mila sono schierati lungo la frontiera con la provincia occidentale irachena di al-Anbar controllata in gran parte dallo Stato Islamico.

“Tempesta Decisiva” è in ogni caso la più ampia e importante operazione militare che Riad abbia guidato, un segnale del nuovo interventismo saudita supportato dall’esperienza delle forze egiziane, a quanto sembra vero bastione dell’operazione in Yemen con diversi cacciabombardieri F-16, almeno 4 unità navali e forze di terra pronte all’impiego. Il Cairo del resto riesce a gestire le sue imponenti forze armate e a sostenere l’acquisizione di nuovi equipaggiamenti grazie ai miliardi donati da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Questi ultimi contribuiscono alla coalizione con 30 aerei da combattimento, il Bahrein ed il Kuwait con 15, il Qatar con 10. Si tratta di Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo tra i quali solo l’Oman, confinante ad ovest con lo Yemen, ha preferito non farsi coinvolgere nel conflitto.  Della Coalizione fanno parte anche Marocco e Giordania con 6 jet F-16 ciascuno ma della Coalizione fanno parte anche Pakistan e Sudan.

Il primo (sunnita ma non arabo) è caratterizzato da forti relazioni militari con Riad che impiega istruttori e tecnici pachistani nel suo esercito ma soprattutto che conta sulle armi nucleari di Islamabad (il cui programma atomico è stato finanziato dai petrodollari di Riad) per bilanciare il programma atomico iraniano. Il Pakistan potrebbe fornire aerei e navi.

Il portavoce della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, Ahmed Assiri, ha evidenziato il contributo dato dagli Emirati ai raid aerei contro obiettivi dei ribelli houthi (sciiti) in Yemen. Nel corso di una conferenza stampa a Riad, Assiri ha spiegato che “tutti i membri della coalizione contribuiscono allo sforzo bellico, ma la forza aerea degli Emirati ha partecipato intensamente”.

L’adesione del Sudan alla coalizione sembrerebbe indicare un riposizionamento del Paese africano, da tempo alleato dell’Iran, forse determinato anche dai consistenti investimenti sauditi assicurati anche nei giorni scorsi durante la visita a Riad del presidente sudanese Omar Bashir.

Sul campo di battaglia i primi attacchi aerei avrebbero causato perdite elevate ai miliziani sciiti all’aeroporto di Sana’a e distrutto il grosso delle difese aeree nella base di al-Dalaimi dove sono stati colpiti 4 velivoli e tutte le batterie missilistiche.

Ovviamente questo riferiscono le fonti saudite mentre gli Houthi sottolineano le tante vittime civili provocate dai bombardamenti e hanno annunciato l’abbattimento di 3 cacciabombardieri stranieri forse colpiti anche in duelli tra jet considerato che alcuni caccia yemeniti si sarebbero levati in  volo dalla base aerea di Al Anad per contrastare i raid.

Le milizie sciite minacciano inoltre di rispondere con missili balistici Scud B, con raggio di 300 chilometri, conquistati nella base di al-Dalaimi per rispondere ai raid aerei. Sul mare le navi egiziane schierate a controllo delle coste meridionali del Mar Rosso avrebbero messo in fuga  una nave militare di Teheran dopo che nel porto di  al-Saleef, il secondo dello Yemen, erano state scaricate 180 tonnellate di armi iraniane.

Gli obiettivi dei raid

Se i primi raid hanno puntato a neutralizzare forze aeree e difese terra-aria a partire da sabato le incursioni hanno preso di mira depositi e caserme nei pressi di Sana’a con l’obiettivo di ridurre il numero di armi pesanti in mano agli Houthi.

Tra i 14 bersagli colpiti secondo quanto reso noto dalla Coalizione il 28 marzo, la base aerea di al Dalaimi a Sana’a e il deposito di Raymat Humaid, nel quale la famiglia dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh aveva accumulato migliaia di armi appartenenti alla Guardia Repubblicana. Sott tiro anche il palazzo presidenziale, il quartier generale del Comando della sesta zona militare, un deposito di missili e due basi dell’esercito. Attaccati anche obiettivi nella provincia di Saadah, al confine con l’Arabia Saudita, storica roccaforte del movimento Houthi. il porto di Hodeida, sullo Stretto di Bab el Mandab, importante per i rifornimenti in arrivo dall’Iran al gruppo sciita.

La battaglia campale più importante è in atto ad Aden dove i raid della Coalizione appoggiano i comitati di difesa dei quartieri che cercano di respingere l’offensiva degli Houthi con un bilancio solo negli ultimi tre giorni di 54 morti e 187 feriti negli scontri. La precarietà della situazione in città ha indotto la Marina saudita a inviare navi per evacuare i diplomatici stranieri e sauditi (Operazione “Tornado”) mentre anche due navi indiane sono attese per evacuare gli indiani residenti ad Aden e portarli a Gibuti dove verranno rimpatriati in aereo.

Gli aerei della coalizione hanno poi colpito la base aerea di Tarek nella regione di Taiz, che era stata conquistata la scorsa settimana dai reparti militari legati all’ex presidente Saleh e a suo figlio Ahmed, ex comandante della Guardia repubblicana.

Infine, sono stati centrati due obiettivi nell’area di Aden, proclamata lo scorso mese capitale temporanea dal presidente Abd Rabbo Mansour Hadi: la base aerea di al Anad (abbandonata dalle forze statunitensi prima dell’arrivo degli insorti) e quelli a dell’esercito a Badr.

La difesa aerea degli Houthi avrebbe abbattuto almeno tre velivoli della Coalizione e un drone. I cannoni antiaerei degli Houthi, ha detto un funzionario del movimento ribelle sciita all’agenzia di stampa DPA, hanno abbattuto l’aereo nel nord della  capitale yemenita e catturato il pilota sudanese.

La dichiarazione arriva alcune ore dopo che l’Arabia saudita ha fatto sapere che un F-15 alleato si è schiantato ieri nel Mar Rosso a sud dello Yemen a causa di un problema tecnico.

Citando un funzionario del ministero della Difesa, l’agenzia di notizie saudita SPA ha precisato che i due piloti a bordo sono riusciti a lanciarsi dall’aereo e sono  stati tratti in salvo con l’aiuto di un elicottero statunitense basato a Gibuti.

Le milizie sciite minacciano inoltre di rispondere con missili balistici Scud B, con raggio di 300 chilometri, conquistati nella base di al-Dalaimi per rispondere ai raid aerei. Sul mare le navi egiziane schierate a controllo delle coste meridionali del Mar Rosso avrebbero messo in fuga una nave militare di Teheran dopo che nel porto di  al-Saleef, il secondo dello Yemen, erano state scaricate 180 tonnellate di armi iraniane.

Secondo fonti della BBC il generale iraniano Qassem Soleimani, capo della Forza al-Quds, il corpo di élite dei Guardiani della Rivoluzione, sarebbe partito alla volta dello Yemen per organizzare la resistenza dei ribelli houthi in vista anche di un possibile attacco terrestre della Coalizione.

Intanto si registrano diverse incursioni in territorio saudita da parte delle milizie sciite Houthi e delle brigate dell’esercito yemenita fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, raid che hanno avuto luogo negli ultimi due giorni dopo il lancio dell’operazione “Tempesta risolutiva” da parte di Riad.

Lo riferiscono fonti locali, secondo cui gli ultimi attacchi risalgono alla scorsa notte e hanno spinto le autorità saudite a chiudere le scuole per cinque giorni nei villaggi di frontiera. Le incursioni hanno avuto luogo in particolare nelle regioni sud-occidentali di Jizan, Asir e Najran.

Le prospettive
Gli sviluppi potrebbero quindi prevedere uno scontro campale tra le truppe arabe e  le milizie sunnite yemenite (tra cui quelle qaediste) per combattere insieme le forze Houthi affiancate da parte dell’esercito yemenita. Secondo fonti del Cairo, Egitto e l’Arabia Saudita si apprestano a guidare un’operazione di terra con l’obiettivo di sconfiggere i ribelli sciiti, alleati con unità dell’esercito fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh.

L’offensiva aerea, lanciata oggi, infatti sarebbe solo il primo passo di un’operazione complessa e avrebbe avuto come fine quello di indebolire i ranghi dei miliziani sciiti. In base ai piani stilati, la forza internazionale entrerebbe nello Yemen da due punti di accesso: uno via terra dall’Arabia Saudita e l’altro marittimo dal Mar Rosso e dal Mar Arabico, probabilmente utilizzando il grande porto di Aden . Il contingente sarebbe composto anche da militari di altri paesi dell’area.
Dopo nove mesi di confusa e ambigua guerra allo Stato Islamico, l’internazionalizzazione del conflitto yemenita allarga lo scontro tra sciiti e sunniti aprendo a rischi di escalation senza precedenti.

Teheran ha definito “pericoloso” l’intervento panarabo mentre il regime siriano (sciita) di Bashar Assad ha condannato l’aggressione saudita e il governo iracheno, dominato dagli sciiti “rifiuta” l’attacco militare saudita in Yemen. Elementi che non solo indicano la compattezza del fronte sciita ma potrebbero presupporre a uno sfaldamento del fronte che oggi combatte o duce di combattere lo Stato Islamico.
Nella Coalizione anti ISIS i Paesi sunniti del Golfo giocano da sempre un ruolo solo simbolico e oggi impiegano più aerei contro gli Houthi yemeniti di quanti non  ne schierino contro il Califfato.

Per l’Europa il rischio strategico di questa guerra è enorme. Già oggi il traffico navale nello Stretto di Bab el Mandeb potrebbe essere messo in pericolo. Se nei prossimi giorni la tensione militare dovesse estendersi al Golfo Persico creando i presupposti per un conflitto tra l’Iran le monarchie arabe  l’impatto sulla produzione e le forniture petrolifere in tutta la regione potrebbe essere potenzialmente devastante.

Sul fronte interno al mondo arabo-sunnita il conflitto contro gli Houthi incasserà probabilmente il consenso anche di gran parte dell’opinione pubblica saudita e degli altri Stati della Penisola Arabica che non hanno ancora digerito la campagna aerea contro i fratelli sunniti dello Stato Islamico. La campagna contro l’ISIS, finora mai condotta con la necessaria incisività, sta già subendo un forte indebolimento a causa del conflitto nello Yemen.

Due formazioni armate sciite legate al leader Moqtada al Sadr e schierate a Tikrit dove i miliziani del Califfato sono assediati, hanno annunciato lo stop alle operazioni dopo il coinvolgimento dei velivoli della coalizione internazionale a guida statunitense nell’offensiva.

Non sfugge che la decisione del movimento sciita iracheno più fedele all’Iran è stata resa nota poche ore dopo l’inizio delle operazioni arabe in Yemen. Difficile del resto ipotizzare che possa prolungarsi una forma di cooperazione militare contro il Califfato tra il fronte sciita (Iraq, Iran e Siria) e i Paesi arabi che finora hanno solo finto di combattere l’IS e hanno già ripreso ad addestrare insieme agli anglo-americani miliziani siriani “moderati” che dovrebbero combattere lo Stato Islamico ma che più probabilmente ingrosseranno le fila degli oppositori del regime di Bashar Assad.

Non mancano inoltre movimenti militari che inducono a prevedere un’offensiva sunnita anche in Siria  dove milizie salafite e quelle qaediste del Fronte al Nusra avanzano verso la città di Idlib, nel Nord-Ovest della Siria dove hanno preso il controllo di 17 checkpoint al termine di scontri con le forze del regime di Damasco che hanno causato almeno 68 morti nelle ultime 48 ore.

La provincia di Idlib, alla frontiera con la Turchia, è perlopiù sotto il controllo del Fronte al Nusra ma la città omonima è ancora in mano a Damasco.In prospettiva quindi la guerra in Yemen rischia di favorire e rafforzare i gruppi sunniti legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico.

Gli Stati Uniti, come ormai è tradizione dell’amministrazione Obama, restano a guardare o quasi. Dopo aver incassato le forti critiche di Riad per la sua politica di apertura all’Iran, Washington appoggia l’iniziativa militare araba  in Yemen offrendo sostegno logistico e d’intelligence.

Il Pentagono ha inviato nell’area due navi, pronte a intervenire “in caso di emergenza”: la portaelicotteri da assalto anfibio USS Iwo Jima (nella foto a sinistra)  e la nave per operazioni anfibie USS Fort McHenry sono state schierate nel Mar Rosso. Le due unità permettono la proiezione di 2.300 marines con equipaggiamento, mezzi,  elicotteri, velivoli Osprey e V-8B Harrier.

Foto: AP, Reuters, forze armate saudite, SPA, US Navy

Mappa: Debka

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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