La dottrina Obama e l'Iran: un rischio calcolato?
La maratona negoziale che ha riunito in Svizzera l’Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, più la Germania (P5+1) e che questa volta ha visto la partecipazione dell’attuale Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, rappresenta un passaggio diplomatico di straordinaria rilevanza nelle trattative ultra decennali sul programma nucleare iraniano.
L’accordo annunciato il 2 aprile impegna i contraenti per un periodo compreso fra i dieci e i quindici anni e prevede limitazioni allo sviluppo del programma nucleare iraniano da perseguirsi attraverso una serie di parametri e un meccanismo stringente d’ispezioni, tuttora da definirsi, che dovrebbe consentire all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) di verificare la natura esclusivamente pacifica del programma nucleare iraniano.
Una volta accertata da parte dell’AIEA l’ottemperanza iraniana all’accordo, gli Stati Uniti e l’Unione Europea revocheranno le sanzioni imposte all’Iran limitatamente al programma nucleare. €
Tale revoca non riguarda, pertanto, le sanzioni imposte dagli Stati Uniti per il sostegno dell’Iran a gruppi terroristici o quelle relative alla violazione dei diritti umani.
Le trattative di Losanna si sono, tuttavia, limitate al raggiungimento di un accordo-quadro i cui dettagli dovranno essere definiti in protocolli tecnici che le parti si sono impegnate a concordare entro il 30 giugno.
Le criticità
L’accordo alimenta speranze ma, anche in ragione della indeterminatezza della sua formulazione, legittima diverse riserve e cautele sugli esiti del processo negoziale e le sue conseguenze sulle dinamiche geopolitiche della regione mediorientale e non solo.
In effetti, un’attenta analisi dei parametri indicati nell’accordo-quadro permette di rilevare diverse criticità, e di sollevare dubbi e quesiti circa l’efficacia delle limitazioni al programma nucleare iraniano.
□ Indeterminatezza. Il comunicato ufficiale diramato congiuntamente dal Ministro degli estri iraniano, Mohammad Javad Zarif e dell’Alto Rappresentante UE, Federica Mogherini, conta 291 parole. Vi è chi ha notato come questo differisca significativamente da quello contestualmente diramato dal Segretario di Stato John Kerry, che ha impiegato 1.318 parole. Il testo ufficiale iraniano è di 512 parole mentre quello francese si riduce a 231.
□ Arricchimento dell’uranio. L’attuale quantitativo di 10 tonnellate di uranio a basso arricchimento verrà ridotto a 300 chilogrammi, ma non lascerà il paese. Per un periodo di quindici anni all’Iran non sarà concesso di arricchire l’uranio oltre il 3,67%, percentuale sufficiente per un reattore nucleare ma non prossima alla soglia del 90%, necessaria per sviluppo di ordigni nucleari. Va osservato, tuttavia, come anche la produzione di uranio a basso arricchimento rappresenti un serio rischio di proliferazione in quanto costituisce di per sé già il 70% dello sforzo per la produzione dell’uranio per scopi militari.
□ Centrifughe. Per la durata di dieci anni, l’Iran dovrà ridurre il numero delle centrifughe di due terzi, mantenendo operative solamente quelle meno tecnologicamente avanzate. Tuttavia, le centrifughe in eccesso non verranno distrutte ma semplicemente poste sotto vigilanza dell’AIEA limitatamente al periodo previsto dall’accordo per poi ritornare in pieno possesso dell’Iran.
□ Natantz. Tutte le centrifughe operative saranno concentrate nel sito di Natantz che rimarrà l’unico che potrà processare arricchimenti di uranio. Le attività del sito di Fordo, ricavato nel cuore di una montagna e invulnerabile agli attacchi aerei, saranno limitate per quindici anni alla ricerca e sviluppo in campo nucleare per applicazioni civili e mediche. La mancata distruzione delle centrifughe e le possibilità di continuare a svolgere a Fordo attività di ricerca e sviluppo potrebbero permettere fra quindici anni una rapida riconversione del sito per scopi militari.
□ Arak. L’Iran si è impegnato a convertire il reattore ad “acqua pesante” di Arak al fine di eliminare ogni possibilità di produzione di plutonio a scopi bellici. Tuttavia, le modalità della riconversione del reattore di Arak e la destinazione del combustibile nucleare esaurito sono tuttora da definirsi.
□ Ispezioni. L’Iran dovrà essere sottoposto ad un rigido meccanismo di verifiche, ancora da approvarsi, che vada oltre il Protocollo aggiuntivo che regola le ispezioni sui programmi di armamento illeciti. Peraltro, l’Iran aveva già sottoscritto nel 2003 il Protocollo aggiuntivo, ma ciò non sembra averne rallentato negli anni le velleità nucleari.
□ Clausole e scadenze temporali. I parametri prevedono una dozzina di clausole con scadenza temporale limitata a dieci o quindici anni. Considerando che l’Iran ha condotto segretamente programmi nucleari per oltre vent’anni, tale finestra temporale appare inadeguata.
□ Sanzioni. Immediatamente dopo l’annuncio dell’accordo-quadro, l’Iran e gli Stati Uniti hanno dato interpretazioni profondamente diverse circa i tempi necessari per la revoca e/o la sospensione delle sanzioni. Per gli Stati Uniti la sospensione delle sanzioni avverrebbe solo dopo che l’AIEA abbia verificato l’adozione da parte dell’Iran di tutte le azioni fondamentali previste dall’accordo. Per l’Iran, invece, la revoca delle sanzioni dovrebbe avvenire già nel corso dell’adempimento degli impegni assunti con l’accordo. Il meccanismo delle sanzioni è, inoltre, suscettibile di essere ripristinato in caso di non ottemperamento da parte iraniana alle condizioni previste dall’accordo. Tuttavia, una volta revocate, appare difficile che il Consiglio di Sicurezza ripristini le sanzioni, soprattutto se diversi paesi avranno ripreso le rispettive attività di cooperazione economica.
□ Proliferazione missilistica. La decisione di escludere la proliferazione dei missili balistici da un accordo che si vorrebbe globale, appare inopportuna, quando si consideri che le capacità missilistiche e lo sviluppo di vettori in grado di trasportare testate nucleari sono parte integrante del programma d’armamento iraniano. Sarà, comunque, difficile tracciare una linea che distingua nettamente le sanzioni applicabili esclusivamente al programma nucleare da quelle relative alla proliferazione dei vettori missilistici.
□ Esperimenti nucleari. Pur avendo sottoscritto il Comprehensive Test Ban Treaty (CTBT) che proibisce gli esperimenti nucleari l’Iran (analogamente a Israele) non lo ha mai ratificato. L’accordo-quadro avrebbe potuto prevedere un impegno dell’Iran alla ratifica anche in vista della Conferenza di Riesame del Trattato di non proliferazione nucleare prevista a maggio a New York.
□ Terrorismo e diritti umani. Le sanzioni statunitensi relative al sostegno dell’Iran ai gruppi terroristici, alla violazione dei diritti umani e alla proliferazione missilistica, non rientrano nell’accordo. Va rilevato, tuttavia, che una rigida applicazione di tali sanzioni, auspicata da parte del Congresso statunitense, non renderanno agevole la creazione di quelle misure di fiducia reciproca fondamentali nei negoziati sul disarmo e necessarie per il successo dell’accordo-quadro.
La Dottrina Obama
Il raggiungimento dell’accordo con l’Iran costituisce un indubbia affermazione della leadership del Presidente Obama. Dopo gli anni in cui gli Stati Uniti hanno manifestato la propria “riluttanza” ad agire se non “from behind”, Obama sembra aver intrapreso un diverso approccio volto a incidere significativamente sugli equilibri regionali in Medio Oriente e non solo.
La Dottrina Obama si inserisce, peraltro, in quell’Agenda per un mondo libero da armi nucleari annunciata nel 2009 a Praga e che è annoverata fra le priorità della nuova Strategia di sicurezza nazionale che il Presidente degli Stati Uniti ha rilasciato lo scorso febbraio.
Il perseguimento della strategia avviata da Obama si rivela, tuttavia, non priva di rischi in quanto dovrà saper far fronte a diversi fattori avversi, di natura interna piuttosto che internazionale.
Nonostante l’accordo sia di carattere tecnico e non preveda alcuna formale normalizzazione delle relazioni fra i rispettivi paesi, Obama come il Presidente iraniano Rohani, sono chiamati a confrontarsi in patria con una diffusa opposizione e fortissime resistenze.
Negli Stati Uniti, quarantasette senatori repubblicani hanno inviato una lettera aperta alla Guida Suprema Ali Khamenei per invitarlo a non stringere accordi con gli Stati Uniti che non fossero approvati dal Congresso, testimoniando con ciò la spaccatura creatasi sulla questione tra il potere esecutivo e quello legislativo, e il conseguente rischio di una politica estera statunitense multipolare e indebolita.
Al fine di comunicare meglio i contenuti dell’accordo ad una stampa statunitense che ne ha accolto con scetticismo l’annuncio, il 5 aprile Obama ha rilasciato una importante intervista al New York Times. In essa il Presidente ribadisce che “non c’è alcuna formula, alcuna opzione per impedire che l’Iran ottenga un arma nucleare che sia più efficace dell’iniziativa diplomatica e dell’accordo quadro”.
L’ipotesi di un attacco militare se da un lato fermerebbe temporaneamente il programma nucleare, dall’altro spingerebbe l’Iran a un suo rilancio segreto. Inoltre, il permanere del solo regime di sanzioni non accompagnato da altra azione, non farebbe altro che favorire il perseguimento del programma secondo le modalità attuate dall’Iran sino ad oggi. Secondo il Presidente Obama, solo l’iniziativa diplomatica, corroborata da una stringente attività ispettiva, permetterebbe se non di bloccare, di rallentare per almeno dieci anni il programma nucleare iraniano e, soprattutto, di monitorarne l’intera “catena”. Nel caso si verificasse una violazione degli accordi da parte dell’Iran, il breakout time, ovvero il periodo di tempo necessario per produrre il materiale per un ordigno, risulterebbe con l’accordo comunque triplicato, ovvero si allungherebbe dagli attuali due o tre mesi a un anno. Periodo sufficiente per imbastire un’adeguata risposta.
Le reazioni
Le insidie che Obama deve affrontare nel Congresso sono, inoltre, connesse con la posizione fortemente critica di Israele. Il Premier Benjamin Netanyahu ha apertamente osteggiato l’accordo di fronte al Congresso e ha attaccato l’Amministrazione Obama perché non avrebbe fatto ricorso a tutte le leve negoziali con l’Iran.
Israele interpreta l’accordo come un riconoscimento del crescente ruolo regionale di Teheran e del suo diritto di mantenere un programma nucleare, seppur civile. Ciò viene a minare l’esclusiva sul nucleare che Israele vanta nella regione e la sua posizione d’interlocutore privilegiato degli Stati Uniti. Inoltre, Israele teme che la revoca del regime delle sanzioni possa favorire una ripresa da parte dell’Iran del finanziamento di movimenti terroristici in Libano, a Gaza e nella regione.
L’accordo sul programma nucleare civile iraniano da parte dei P5+1 rischia di spingere l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Turchia, a dotarsi di capacità simili. In tal caso, sarà difficile impedire a questi paesi ciò che è stato permesso all’Iran. L’Arabia Saudita, in particolare, è pronta a ricorrere “a qualsiasi misura necessaria”, inclusa la possibile costruzione di armi nucleari, per garantire la propria sicurezza nei confronti dell’Iran, ha dichiarato l’ambasciatore saudita a New York.
Riyadh avrebbe a suo tempo finanziato lo sviluppo del programma nucleare pakistano sulla base di un accordo che prevedrebbe da parte di Islamabad la cessione di testate in caso di necessità. In tale quadro, personale pakistano opererebbe da tempo presso la base missilistica di al-Watan, a sud della capitale, dove presto giungeranno i moderni vettori cinesi DF-21 in grado di ospitare testate convenzionali e nucleari.
Vi è, inoltre chi nel mondo arabo ritiene che l’accordo di Losanna, riconoscendo di fatto l’Iran quale potenza nucleare, renda necessaria la costituzione di una “NATO sunnita”, a difesa e garanzia dello status nucleare del Pakistan quale alleato nei confronti della “minaccia iraniana e israeliana” nella regione.
Il rischio che l’accordo fra gli Stati Uniti e l’Iran possa alimentare processi di riarmo nel delicato quadrante mediorientale può essere affrontato, per il Presidente Obama, con una più intensa cooperazione che rassicuri i paesi arabi sunniti e le monarchie del Golfo e ne rafforzi le rispettive capacità di difesa, anche missilistica.
La “scommessa”
Tuttavia, è sulle potenzialità legate ad un ritorno dell’Iran nell’economia mondiale, attraverso la revoca delle sanzioni e lo sfruttamento non di materiali fissili ma delle straordinarie capacità imprenditoriali della popolazione iraniana e delle sue giovani generazioni, che si gioca la “scommessa” del Presidente Obama.
Un “test” che non prevede appello ma che il Presidente Obama ritiene oggi vada intentato. “L’America, grazie alla sua potenza schiacciante, deve avere maggiore fiducia in se’ e deve essere consapevole di poter assumere qualche rischio calcolato per cogliere importanti nuove opportunità, come appunto il forgiare un accordo diplomatico con l’Iran.”
n “rischio calcolato” che andrà attentamente ponderato, tenendo in considerazione non solo gli effetti immediati e di breve periodo che l’accordo esplicherà per gli Stati Uniti e l’Iran ma, soprattutto, l’impatto che questo potrà avere sulle dinamiche geopolitiche in atto nella regione mediorientale. Rischi e valutazioni che richiedono da parte della comunità internazionale una strategia coerente ed una visione globale dello scenario di sicurezza di medio e lungo periodo che, così come per l’accordo di Losanna, rimangono ancora da definirsi.
Foto: AP, Reuters, FARS, AFP
Fabrizio W. LuciolliVedi tutti gli articoli
Presidente del Comitato Atlantico Italiano e Presidente dell’Atlantic Treaty Association, è Docente di Organizzazioni Internazionali per la Sicurezza presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Svolge attività di formazione in varie istituzioni nazionali ed internazionali, militari ed accademiche. Già coordinatore di Corsi di alta formazione per ufficiali e diplomatici dei Balcani occidentali e del Medio Oriente, è Direttore e promotore di progetti di cooperazione NATO ed UE in Europa centrale ed orientale.