Guerra in Yemen e tensioni interne saudite
di Afshin Shahi*
Asianews – Il conflitto in Yemen, che sta registrando in breve tempo un inquietante aumento delle vittime, è degno di nota a causa del ruolo di spicco giocato dall’Arabia Saudita. Vi è la potenza saudita dietro l’impressionante coalizione di Stati regionali che sostengono la campagna, considerata dai più come una copertura per un conflitto con l’Iran.
Ma se da una parte Riyadh non vuole compromettere la sua sfera d’influenza regionale, il conflitto in Yemen è usato anche per fini politici interni. L’Arabia Saudita irradia sicurezza, ma in realtà è una nazione non molto stabile. All’interno del regno la minaccia di disuguaglianze tribali, settarie e di classe è molto più seria della minaccia rappresentata dalla cosiddetta “mezzaluna sciita”.
La classe politica saudita sembra ignorare le sfide attuali e prova a controbilanciare i problemi interni con una risoluta politica estera. Da molto tempo nella regione è pratica comune usare la politica estera come uno strumento efficace per controllare le dinamiche interne – un “nemico esterno” può essere usato per far sorgere un nazionalismo unificante o per legittimare uno stato di sicurezza. Per i regimi autoritari si tratta di una tattica molto utile.
Per l’Arabia Saudita, le ramificazioni di questo conflitto vanno ben oltre le ambizioni regionali di Riyadh. La guerra in Yemen possiede significative implicazioni politiche interne per il nuovo re e il suo nuovo gruppo dirigente. Il Re Salman bin Abdulaziz Al Saud ha assunto l’incarico a gennaio 2015 e in meno di tre mesi ha intrapreso la più ambiziosa politica estera saudita degli ultimi anni. Anche se l’iniziale strategia politica di Salman suggerisce che la politica estera sarà la sua principale preoccupazione, ci sono diversi altri fattori che minacciano la stabilità interna del suo regno.
Una nazione divisa
Fin dal 1973 – quando la crisi petrolifera ha pesato sull’economia mondiale – l’Arabia Saudita è stata raffigurata come una centrale elettrica che è centro di ricchezza, prosperità e stabilità.
Ma questa immagine non riflette le condizioni reali sul campo. Anche se il regno possiede una delle più alte concentrazioni di super ricchi, più del 20% della sua popolazione vive in povertà. Il patrimonio netto della famiglia reale è di 1.400 miliardi di dollari e migliaia di principi si godono lo sfarzo e il fascino del loro essere membri della famiglia più ricca del Paese. Eppure molti, ai margini della società saudita, lottano per la sopravvivenza.
Più di due terzi dei cittadini sauditi hanno meno di 30 anni e tre quarti dei disoccupati hanno poco più di 20 anni. Molti di loro sono laureati e aspettano di ottenere un posto sicuro in ambito governativo – ma i posti di lavoro sono scarsi e le persone vicine ai centri di potere hanno sempre una migliore possibilità di assicurarseli.
Anche se il precedente governante, re Adbullah, ha attuato qualche misura positiva per affrontare i problemi economici interni, la povertà e la rabbia nei confronti della corruzione continuano ad aumentare. L’Arabia Saudita ha un costoso programma di assistenza sociale, anche se l’estremo divario tra i benestanti e gli indigenti sta diventando una bomba ad orologeria che potrebbe scoppiare in ogni momento e rivelare le tensioni nascoste nella società saudita. Non sorprende per nulla che una buona parte dei “foreign fighters” dello Stato islamico siano giovani sauditi.
Si stima che più di 2.500 cittadini sauditi si siano uniti nella guerra santa trans-nazionale e molti di essi ritengono lo Stato saudita corrotto dal punto di vista religioso e politico. Una così logica presenza nelle file dello Stato Islamico indica anche che esiste un’ampia fascia della popolazione che simpatizza per il Califfato islamico – e ciò potrebbe essere una reale minaccia per la sicurezza dello Stato. Fattori come la povertà, la corruzione e l’ingiustizia sociale continueranno a trasformare i simpatizzanti in esplosivo contro la sicurezza.
Tensioni settarie
Il settarismo minaccia la stabilità del regno. Circa il 15% della popolazione è sciita ed è oggetto di discriminazione sistematica fin dall’inizio del moderno regno nel 1932. Larga parte della popolazione sciita vive nella provincia orientale ricca di petrolio, ma la loro vita economica, sociale e religiosa subisce pesanti restrizioni da parte dello Stato, campione del wahabismo.
La Rivoluzione araba, che ha scatenato una nuova ondata di settarismo nella regione, ha pure alimentato le tensioni settarie in Arabia Saudita. I manifestanti sciiti, influenzati all’inizio dalla cosiddetta Primavera araba, ora si esprimono un tono settario molto più esplicito. Questa è in parte una reazione alle crescenti politiche settarie dello Stato saudita in tutta la regione, che ha innescato un chiaro contraccolpo negativo in patria.
Fin dall’inizio della campagna saudita in Yemen – che ha un evidente programma settario – in patria sono aumentate le tensioni. Sui social media sono aumentati gli attacchi verbali contro gli sciiti e molti esponenti religiosi continuano a insultare il credo sciita in modo aperto. Poco tempo fa, alcuni musulmani sciiti sauditi hanno condotto attacchi contro la polizia a Qatif. Questa crescente diffusione di atti di violenza rende sempre più instabile il Paese.
Lo scorso 8 aprile, dopo che un assalitore ha ucciso a Riyadh due poliziotti, Saud bin Nayyef bin Abdel Aziz, Governatore della Provincia orientale, ha dichiarato che “la sporcizia malvagia” vive nella comunità sciita del Paese. Questo tipo di retorica non fa che rendere ancora più ostile la comunità sciita, che a sua volta risponde con un maggior numero di attacchi contro lo Stato.
La pressione sullo Stato saudita cresce in modo rapido. Re Salman vorrebbe presentarsi come il poliziotto dell’Islam sunnita e colui che riporta l’ordine in Yemen, ma è ormai sempre più evidente che la “Casa di Saud” è costruita sulla sabbia e che le fondamenta tendono a vacillare.
Il nazionalismo saudita può essere stimolato nel confronto con l’Iran, usando la guerra in Yemen. Ma qualunque cosa accada in Yemen, il nazionalismo può solo mascherare i profondi problemi strutturali che stanno iniziando ad azzoppare lo Stato.
* Direttore del Centro di studi di politica islamica e Professore di Relazioni Internazionali e di Politica del Medio Oriente all’università di Bradford.
(Per gentile concessione della rivista The Conversation. Traduzione in italiano a cura di AsiaNews)
Foto: AFP, Reuters, AP, Alalam
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