Signature strike: i raid che Obama promise di vietare
Il raid che lo scorso gennaio ha ucciso il cooperante italiano Giovanni Lo Porto (sequestrato da al-Qaeda nel 2012) e lo statunitense Warren Weistein sul confine tra il Pakistan e l’Afghanistan rientra nella categoria di bombardamento di droni che l’intelligence community chiama “signature strike”.
Vale a dire raid che vengono attuati sulla base non di informazioni certe sull’identità dei bersagli da colpire ma sulla base del riscontro, attraverso
attività di ricognizione ed intercettazione, di “modelli di comportamento” che vengono considerati la ‘firma’ dell’organizzazione terroristica, in questo caso al Qaeda, da colpire.
Fonti dell’intelligence americana hanno confermato al New York Times che si trattò di un ‘signature strike’, sottolineando che si decise di agire solo quando la Cia ebbe “la massima sicurezza” che il compound nella valle di Shawal fosse usato da membri di al Qaeda.
In nessun momento delle lunghe attività di sorveglianza – Barack Obama ieri ha parlato di “ore e ore di intercettazioni” – si è mai riscontrato alcun segnale della possibilità che vi si trovassero gli ostaggi.
Il Pakistan è l’unico Paese dove la Casa Bianca ha permesso alla Cia di portare a termine raid senza conoscere le identità delle persone che si sta tentando di uccidere. E in questi anni i ‘signature strikes’ sono stati criticati e condannati come un modo per provocare un alto numero incontrollato di civili. In un discorso pronunciato nel 2013,
Obama aveva detto che la Cia non ne avrebbe più condotti dopo la fine del 2014 quando sarebbero dovute finire le operazioni di combattimento in Afghanistan. Diversi ufficiali americani hanno dichiarato al Times che la scadenza quindi non è stata rispettata per la fine di questo tipo di controversi raid.
La fallibilità della strategia statunitense è emersa ieri nell’incontro con la stampa del portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, che ha affrontato le domande sulla morte dei due ostaggi poco dopo la dichiarazione di Obama, senza peraltro aggiungere molte informazioni.
Ha detto, però, che l’autorizzazione al raid è stata data dopo “centinaia di ore di sorveglianza”, che avevano condotto a due conclusioni: il compound controllato era usato da militanti di al-Qaeda e ospitava, al momento dell’attacco, quattro militanti. La scoperta di sei cadaveri tra le macerie, però, ha posto domande inquietanti sui raid e sul protocollo, rispettato anche in quell’occasione, come affermato ieri da Obama. A sollevare dubbi è anche l’autorizzazione concessa alla Cia di colpire obiettivi terroristici, senza sapere l’identità esatta delle persone coinvolte.
Lo ha spiegato ieri Earnest: nel compound colpito si nascondevano membri di al-Qaeda ma un volto alle vittime è stato dato soltanto dopo. Secondo il Washington Post, la reazione di Obama “dietro le quinte” è stata comprensibilmente molto più dura di quella mostrata in pubblico, perché si è sentito tradito da chi gli aveva assicurato che errori così non sarebbero mai stati compiuti.
Weinstein e Lo Porto “non sono assolutamente i primi innocenti uccisi dai nostri droni, e in nessun altro caso gli Stati Uniti hanno chiesto scusa per i loro errori” ha detto Alka Pradhan, avvocato di Reprive U.S., organizzazione che rappresenta le vittime civili dei droni.
Obama ha annunciato un’inchiesta completa sul raid che ha provocato la morte dei due ostaggi occidentali; un episodio che ha “sollevato nuove domande su possibili aggiustamenti” delle linee guida, ha ammesso ieri il portavoce della Casa Bianca. Per molti, però, è difficile arrivare a un livello più alto di certezza nelle operazioni con i droni.
“La richiesta di uno standard più alto potrebbe mettere fine a questo tipo di operazioni” ha detto Adam Schiff, capogruppo democratico alla commissione d’Intelligence della Camera,ricordando che in questo caso non si è trattato di un drone che ha colpito “l’edificio sbagliato, una famiglia innocente. La tragedia è che vi fossero nascosti ostaggi innocenti.
(con fonte Adnkronos e Askanews)
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