IL DOCUMENTO PROGRAMMATICO PLURIENNALE PER LA DIFESA 2015-2017

L’appuntamento di quest’anno con il Documento Programmatico Pluriennale (DPP) per la Difesa ha finito con il rivelarsi particolarmente importante.
E ciò in virtù non solo della sua rilevanza ai fini della conoscenza degli effettivi dati di bilancio per il Dicastero della Difesa stesso, giacché (ormai da diversi anni) la tradizionale sessione di bilancio in Parlamento risulta completamente svuotata di ogni significato nonché di ogni utilità per l’esatta definizione di tali dati; la differenza rispetto al passato è che il Documento in questione ha anche finito con il legarsi al dibattito apertosi con la recente pubblicazione del Libro Bianco.

In questo senso, occorre dire fin da subito che le contraddizioni tra questi due passaggi superano di gran lunga gli elementi di chiarezza e che le ombre sono di gran lunga maggiori delle luci.

Un DPP di transizione?
Dal punto di vista dei dati di bilancio, nessuna novità di rilievo rispetto alle informazioni già fornite in precedenza; ciò che invece il DPP approfondisce è, da un lato l’evoluzione (nei prossimi 2 anni) degli stanziamenti previsionali per la Funzione Difesa e, dall’altro, la definizione delle risorse stanziate dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) a favore di alcuni importanti programmi d’investimento.

Ed è proprio rispetto al primo elemento che nascono alcuni degli aspetti di maggior preoccupazione e, al tempo stesso, di maggior contrasto con gli spunti offerti dal Libro Bianco. Procedendo con ordine, la partenza del ragionamento non può che essere rappresentata da una (sia pur rapida) ricapitolazione delle cifre relative al bilancio della Funzione Difesa per il 2015.

Sommando infatti i 9.663,7 milioni di euro destinati al Personale (Militare e civile) ai 1.149,7 milioni destinati all’Esercizio e ai 2.372,7 milioni devoluti all’Investimento, ne risulta che la Funzione Difesa stessa riceverà come noto risorse pari a 13.186,1 milioni di euro.

Sebbene già sottolineato in una precedente occasione, nulla vieta di ricordare come questo bilancio sarà ricordato per una lunghissima serie di record negativi; in termini reali e in termini di rapporto percentuale con il PIL si sta infatti parlando dei livelli più bassi nella storia dell’Italia repubblicana.
Poco altro da dire sul fronte della ripartizione fra i vari capitoli di spesa; anche in questo caso, con il 73,3% del totale di fondi disponibili dedicato al Personale si supera ogni precedente primato (sempre negativo). Un dato che si scontra drammaticamente con il 18% destinati all’Investimento e un ridicolo 8,7% dedicato all’Esercizio.

L’unica nota, per così dire, positiva viene dall’esatta definizione delle risorse messe a disposizione dal MISE; in questo caso, la cifra cresce rispetto alle prime indicazioni fino a raggiungere il valore di 2.508,7 milioni di euro.

Precisato che si tratta di un dato per certi versi puramente contabile, nel senso che per la natura diversa di finanziamenti in questione non è detto che tale somma di denaro sia poi completamente erogata alla Difesa, resta il fatto che ci troviamo di fronte a un dato tanto importante quanto (per certi versi) bizzarro. Una bizzarria efficacemente testimoniata dal sorpasso operato dal MISE; quest’ultimo dicastero mette infatti a disposizione più fondi per l’Investimento che non la Difesa stessa!

Un segnale evidente, come detto, di un sistema profondamente “malato”.
E a proposito di passaggi parimenti grotteschi, come non segnalare i grafici e le dotte spiegazioni proposte dal DPP e incentrate su quanto la Difesa abbia contribuito al risanamento dei conti pubblici (quest’ultimo, peraltro, più teorico che reale).

Da troppo tempo ormai ci viene illustrato il “massacro” sul capitolo di spesa dei consumi intermedi del Ministero della Difesa (con i suoi, pesanti, riflessi sull’Esercizio), laddove la medesima voce, per tutti gli altri Dicasteri, ha continuato a crescere comunque. Così come, sempre da troppo tempo, ci viene ricordato il “saccheggio” sempre più profondo sul capitolo dell’Investimento. Se a ogni lamentela è corrisposto un taglio sempre più pesante, magari si potrebbe provare a interrompere questa pantomima; quanto meno, se ne potrebbe guadagnare in dignità.

Esaurita, anche se solo per il momento, questa rapida disamina sull’anno in corso, l’importanza del DPP cresce nel momento in cui passa a illustrare i dati relativi ai prossimi 2 anni; così come da Legge di Bilancio 2015÷’17. E anche in questo caso, sebbene tutt’altro che inaspettati, il vederli esplicitati “nero su bianco” finisce con il determinare un certo impatto su chi li legge.

Chi pensava infatti che il 2015 potesse rappresentare una sorta di “annus horribilis” destinato però a non ripetersi (così come accaduto in un recente passato), ha sicuramente sbagliato i propri conti.
Si comincia dal 2016, quando la Funzione Difesa abbatterà la soglia dei 13 miliardi di euro per assestarsi sui 12.375 milioni circa. Di questi, quasi 9.630 milioni saranno impiegati per il Personale, 1.158 per l’Esercizio e, infine, 1.947 per l’Investimento; con quest’ultimo che sarebbe dunque destinato a pagare quasi per intero il nuovo sacrificio, così come avviene da diverso tempo a questa parte.

A fronte dunque di una (teorica) stabilizzazione delle spese per il Personale, il solo fatto che la Funzione Difesa sia falcidiata nel suo complesso con un’altra “sforbiciata” pari a poco più di 450 milioni di euro, farà sì che proprio queste ultime continueranno comunque a pesare sempre di più; quasi il 76% del totale, con l’Esercizio che risalirà poco sopra il 9% mentre l’Investimento crollerà al 15% circa.

Va bene, qualcuno potrà pensare, questa volta invece di un solo anno disgraziato sarà la volta di un paio. Ovviamente no!

Anche il 2017, sia pure a un ritmo meno sostenuto, è pronto a regalarci nuovi record negativi assoluti. La Funzione Difesa scenderà a 12.710 milioni di euro circa, con i 3 capitoli di spesa che limano ancora leggermente i propri valori; il Personale passerà cioè a 9.621 milioni, l’Esercizio a 1.158 milioni scarsi, e l’Investimento a 1.931 milioni. In questo contesto, saranno così ulteriormente amplificati gli squilibri fra questi stessi capitoli, anche se in termini percentuali non ci si discosterà di molto dai dati del 2016.

A dir poco inquietanti sono poi i dati illustrati dallo stesso DPP e relativi al rapporto percentuale con il PIL e all’evoluzione della Funzione Difesa a valori; entrambi, testimoni efficaci di una caduta senza fine e senza freni. Per ciò che riguarda il rapporto percentuale tra la Funzione Difesa e il PIL si scenderebbe dapprima allo 0,76% scarso e poi, nel 2017, allo 0,74% (ancora più scarso):
L’evoluzione (anzi, l’involuzione) del bilancio, a valori costanti del 2010, porterà quest’ultimo a sprofondare sotto gli 11,6 miliardi di euro nel 2016 e sotto gli 11,4 nell’anno successivo; il risultato finale sarebbe un (ulteriore) – 20% nel giro di 7 anni. Considerato poi che il punto da cui si era partiti non era esattamente tra i più alti…

E il Libro Bianco?
Ma come si lega questa lunga sequenza di numeri con la questione Libro Bianco? La risposta è semplice, visto che al punto 146 di quest’ultimo si legge:
«La Difesa, pertanto, agirà lungo due direttrici d’azione:
–    la prima tesa almeno al ripristino del livello minimo di risorse necessario per garantire l’operatività dello strumento militare, alla sua stabilizzazione e alla sua migliore amministrazione, per poi tendere a un incremento che sia in linea con l’andamento della situazione economica e con gli standard europei… ».
Concetto che si ritrova anche nel DPP (fatta salva la “strana” omissione della parte nella quale si indica l’obiettivo di un incremento delle risorse) e che è stato ribadito, sia pur con toni ben più sfumati, nel corso dell’audizione di fronte alle Commissioni riunite e congiunte (3ª e 4ª Senato, III e IV Camera) il 14 maggio scorso:
«Il quadro economico complessivo del Paese è ben noto, così come sono note le esigenze di riequilibrio dei conti pubblici. Il Libro bianco parte da questo dato di fatto, prendendone atto. Non si propone uno scostamento significativo dal tracciato già segnato nei Documenti di Economia e Finanza. Si auspica, però, un futuro allineamento della spesa verso i parametri europei non appena le condizioni macroeconomiche lo renderanno possibile, anche in considerazione degli impegni di principio assunti a livello internazionale.».
A voler essere ottimisti, si potrebbe pensare (o sperare) che la mancanza di un impegno chiaro, preciso e diretto su questo fronte sia dovuta ai soliti equilibrismi politici; con un Parlamento e un’opinione pubblica così poco ben disposti anche solo ad affrontare un simile argomento, è possibile che sia preferito seguire la strada di un basso profilo e che dunque, alla prova dei fatti, si riuscirà davvero ad assistere (in prima battuta) a una stabilizzazione delle risorse e (in seconda) a un loro graduale incremento.

L’esperienza maturata in passato (sia prossimo, sia remoto) e l’operato di questo stesso Governo fanno tuttavia propendere per una visione completamente opposta.

Del resto, e senza troppi di giri di parole, solo per stabilizzare davvero le risorse ai livelli attuali e annullare così i tagli già indicati nella Legge di Bilancio si ricorda che occorrono diverse centinaia di milioni di euro. E se già questo potrebbe sembrare a qualche lettore uno scenario all’insegna del “fantasy”, vale la pena di ricordare che lungo questo percorso di ricostituzione di un livello accettabile di risorse troviamo altri due ostacoli non da poco.

Il primo è legato a un provvedimento inserito nella Legge di Stabilità 2015 e che fa riferimento alla vendita del patrimonio immobiliare del Ministero della Difesa; qualora non si raggiungessero gli obiettivi indicati (220 milioni di euro di incasso per quest’anno e 100 milioni per ciascuno dei prossimi 2 anni), la Difesa stessa dovrà versare la differenza attraverso un (nuovo) taglio di risorse a valere sul (solito) Investimento. Non occorre certo essere degli esperti del mercato immobiliare o aver particolari conoscenze in campo economico per capire come, per tutta una serie di fattori, tali obiettivi debbano considerarsi poco realistici con l’attuale congiuntura.

Il secondo fa invece riferimento alla questione della ripartizione delle spese all’interno del bilancio della Funzione Difesa; come noto infatti, dal 2010 è in vigore un blocco contrattuale e stipendiale del pubblico impiego. Ora, sia che si arrivi a una libera scelta del Governo sia che quest’ultimo venga “obbligato” dalla Corte Costituzionale (che si esprimerà a breve sulla questione), tutto lascia supporre che il 2016 possa essere contrassegnato come minimo da un’attenuazione di tale blocco; se non una sua completa rimozione.

Facile a questo punto immaginare quali potrebbero essere gli sviluppi; il mix tra l’applicazione di quella sorta di clausola di salvaguardia della finanza pubblica sulla vendita del patrimonio immobiliare (fino a 320 milioni nell’arco tra questo e il prossimo anno), nuovi tagli (altri 450 milioni per il 2016) e, infine, l’attenuazione/rimozione del blocco contrattuale non potrebbe che determinare un vero e proprio sconquasso a uno strumento militare incapace di assorbire altri shock.

Fermo restando che, sebbene non fosse certo difficile capire tra le righe del medesimo Libro Bianco quanto fosse stato forte il vincolo finanziario posto alla base della sua scrittura, sentire un Ministro della Difesa che si esprime nei termini sopra ricordati, fa comunque una certa impressione. Ovviamente, si potrà obiettare che prendere atto di tali aspetti rappresenti in definitiva uno sforzo di realismo, utile a evitare qualsiasi sogno velleitario rivolto a uno strumento militare che il Paese non potrebbe (o vorrebbe) sostenere.

Sennonché, non possono mancare certo le obiezioni. La prima fa riferimento proprio a quanto denunciato dallo stesso DPP rispetto al fatto che la Difesa ha pagato, e continua a pagare, un prezzo più elevato rispetto ad altri settori della spesa pubblica; un dato di fatto che si lega fortemente a un altro aspetto ugualmente rilevante e cioè, così come illustrato proprio dai DEF di tutti gli ultimi anni, quando quella stessa spesa pubblica continua a crescere in termini monetari e in termini d’incidenza sul PIL laddove invece il percorso delle spese per la Difesa percorre una traiettoria completamente opposta, appare evidente che certe decisioni (al netto di innegabili esigenze economico-finanziarie) rispondono più a precise scelte politiche che non altro.

Ovviamente legittime ma altrimenti discutibili.
E non è tutto; legare in maniera così forte il destino della Difesa a sia pur importanti riflessioni sullo stato della finanza pubblica non può che pericolosamente esporre la prima alle frequenti “convulsioni” che interessano la seconda.

Che dire poi della prospettiva di un progressivo allineamento a certi parametri europei, in un periodo tanto lungo quanto indefinito?
Come minimo, poco credibile, soprattutto quando la stretta attualità ci restituisce un Paese che si muove oramai in solitaria controtendenza rispetto a un generalizzato aumento delle spese per la Difesa in Europa. Del resto, anche in passato non sono mancate le solenni (o quasi) dichiarazioni d’impegno sul fronte delle risorse da assegnare al comparto; tutte progressivamente meno ambiziose e tutte regolarmente disattese.

Sperare che il solo fatto di averlo scritto (in maniera neanche troppo chiara) in un Libro Bianco sia di per sé una garanzia sufficiente è lecito; quello che appare (ben) più difficile è trasformare quella speranza in una concreta realtà.

Specie se chi assume certi impegni può essere considerato in qualche modo “recidivo” nella misura in cui, a fronte di dichiarazioni di un certo tenore, ha invece precipitato la Difesa su livelli di spesa che, sia sul fronte della quantità sia della qualità, hanno raggiunto livelli negativi mai visti in precedenza.

A questo punto, non resta che attendere il prossimo autunno quando, in pressoché perfetta simbiosi, giungerà a compimento la Revisione Strategica della Difesa indicata dal Libro Bianco medesimo (che, a valle  della rivisitazione del nostro strumento militare, dovrà indicare anche il livello di risorse necessarie per sostenerlo) e, al tempo stesso, prenderà forma la Legge di Stabilità 2016.
Quello sarà il, più che probabile, momento della verità.

Un’analisi per capitoli di spesa: il Personale
L’intreccio tra Libro Bianco e DPP prosegue poi in un’altra delle sfide lanciate dal primo, il Personale. La fotografia della situazione attuale, in questo senso, è puntuale; al pari di quella che sarà l’evoluzione futura.

Premesso che lo stesso Libro Bianco sembra quasi dare per (misteriosamente) scontata la soluzione alle difficoltà che si stanno incontrando sul fronte della riduzione del Personale prevista dalla Legge 244/2012, esso si concentra quindi sui due “mali profondi” di questo capitolo: età media sempre più elevata e numero abnorme di personale in servizio permanente rispetto a quello in ferma prefissata.
Due fenomeni che, peraltro, sono indissolubilmente legati l’uno all’altro.

E il perché ce lo spiega proprio il DPP; per effetto dei successivi tagli apportati al modello professionale (463 milioni nel 2015, 490 a partire dal 2016) si è infatti proseguito nel processo di riduzione del Personale ma, al tempo stesso, lo si è fatto nella maniera più sbagliata possibile e cioè limitando l’arruolamento di nuovi volontari.
Tanto che se è vero che nel 2015 si assiste a una riduzione di Personale pari a 1.382 unità, con una consistenza previsionale di 174.518 unità, accompagnata dalla previsione di ulteriori limature nel 2016 (nel sostanziale rispetto delle indicazioni provenienti dal DL 95/2012) e nell’anno successivo, quello che non torna è la ripartizione tra le varie categorie.

La discesa degli Ufficiali e, soprattutto, dei Marescialli prosegue a ritmi lenti (rispettivamente, -157 e meno 2.040 unità); allo stesso tempo, nonostante la graduale crescita dei Sergenti (+517 unità), completamente sbagliato appare il movimento legato all’aumento dei Volontari in Servizio Permanente (+1.170 militari) con la contemporanea diminuzione dei Volontari in Ferma Prefissata (-938 militari, un dato amplificato dal netto calo dei VFP 4 e dall’aumento dei sempre meno comprensibili VFP1).
Considerato poi che queste nefaste tendenze (discesa sempre più lenta del numero dei Marescialli e continuo aumento dei VSP, a sua volta accompagnato dall’ulteriore diminuzione dei VFP) sono confermate dal DPP anche per gli anni 2016 e 2017, logica vorrebbe che si cambiasse decisamente, e per davvero, rotta.

Ancora una volta dunque ecco ripresentarsi il collegamento con quel Libro Bianco che preannuncia svolte epocali su questo fronte; senza tuttavia convincere più di tanto, visto che non più tardi di qualche mese fa, proprio questo Esecutivo ha varato una Legge di Stabilità che prevede un nuovo taglio a quei già citati fondi per la professionalizzazione delle Forze Armate.

Svolte che, tanto più saranno rapide ed efficaci, quanto più saranno costose (anche da un punto di vista “politico”) e dolorose (per le conseguenze che potrebbe esserci per tanti che oggi vestono una divisa). Altrimenti detto, uno stillicidio in termini di riduzione/riequilibrio come quello previsto dalla Legge 244/2012, corre davvero rischio di rivelarsi del tutto inutile per i tempi biblici all’interno dei quali è previsto che si dipani.

In questo quadro così disastrato, e sempre in tema di intrecci tra il DDP e il Libro Bianco, diventa anche difficile immaginare l’istituzione di una Riserva così come preannunziata dal secondo. Non che l’idea non debba essere valutata con attenzione; al contrario.
Solo che nel contesto attuale diventa perfino scontato chiedersi:  se non si riesce a tenere in piedi neanche i reparti “regolari” delle Forze Armate, come si può pensare di far funzionare una cosa estremamente delicata e complessa come la Riserva?

Il disastro dell’Esercizio
Ma il vero disastro, si consuma come noto sul fronte dell’Esercizio; un problema già grave che, oltretutto, rischia davvero di assumere proporzioni colossali.

Da un lato ci sono le spese per il Personale che (al netto di tutti i tentativi fin qui portati avanti) non si riescono a comprimere (al contrario!), con il conseguente risultato di vanificare ogni sforzo volto a recuperare risorse da questo capitolo di spesa per destinarle proprio al funzionamento dello strumento militare.

Dall’altro, il continuo e sempre più pesante “saccheggio” a danni dell’Investimento si trasforma in un evidente ostacolo al processo di ammodernamento/rinnovamento delle Forze Armate, mettendo ancora più in crisi l’Esercizio stesso.

Escludendo, per un elementare principio di prudenza, improvvise iniezioni di fondi aggiuntivi, le ultime speranze sono affidate all’ennesimo progetto di revisione della struttura organizzativa dello strumento militare e della “governance”, così come abbozzato dal Libro Bianco; una revisione che sarà ispirata dai dettami della Legge 25/1997, all’insegna di una più spinta integrazione interforze ed eliminando ogni possibile forma di duplicazione/ridondanza.

Il punto è che se si vuole sempre tendere all’obiettivo di recuperare risorse a favore dei settori in sofferenza, la teorica riduzione dei costi del Personale (ammesso che, per l’appunto, si concretizzi) potrebbe richiedere come detto molto tempo, mentre la revisione complessiva della struttura delle Forze Armate, anche qualora producesse i propri effetti in tempi più rapidi, non appare comunque in grado di generare risparmi sufficienti; gli ordini di grandezza che passano tra ciò che sarebbe necessario e ciò che si potrà eventualmente recuperare sono troppo diversi.
Non che non sia doveroso intervenire per eliminare sprechi, inefficienze e sovrapposizioni; basta che con ciò non ci si illuda di risolvere tutti i problemi.

Perché il punto è proprio questo; quando alle Forze Armate vengono assegnati fondi per “Formazione addestramento” pari a neanche 42 milioni di euro, con la prospettiva di nuove discese intorno ai 35 milioni per i prossimi 2 anni, diventa veramente difficile parlare seriamente della situazione.

Non che “Manutenzione e Supporto” se la passi meglio visti i 315 milioni circa per quest’anno e ancora meno per quelli successivi; da questa debacle si salvano solo le voci di spesa relative a “Funzionamento Comandi/Reparti operativi/Enti” (che riuscirà a difendere, con fatica, la soglia dei 550 milioni di euro) e quella delle “Esigenze interforze” (poco sotto i 200 milioni).

Dopo questa “alluvione” di cifre, pare perfino superfluo ricordare quanto scritto dal DPP allorquando, ancora una volta, si sottolinea come le risorse disponibili consentano ormai solo la formazione di base del Personale militare (con crescenti difficoltà, peraltro, a completare perfino l’addestramento basico) mentre anche gli oneri cosiddetti ineludibili (pagamento dei canoni di acqua, luce e gas, della TARSU e il pagamento della copertura assicurativa RCA) non possono essere coperti per intero.

Ancora una volta dunque, a garantire un minimo di operatività provvedono i fondi per le missioni all’estero stanziati dal MEF; fondi a proposito dei quali il DPP stesso ricorda, correttamente, la loro natura non strutturale nonché i forti ritardi con i quali vengono messi a disposizione. Il tutto con l’ulteriore aggravante costituita dal fatto che essi finiscono con il sostenere le attività di addestramento preparatorie solo per quei reparti/unità destinati all’impiego in missioni all’estero e senza poter garantire alcun beneficio per la (non meno cruciale) voce di spesa relativa alla manutenzione di mezzi e sistemi d’arma.

Si reitera così da un lato la richiesta di ulteriori interventi, da porre in essere già nel corrente anno per non compromettere lo svolgimento degli stessi compiti istituzionali, e dall’altro, la necessità di disporre di un: «flusso di risorse congruo, certo e costante nel tempo».

In pratica, nulla di particolarmente originale o innovativo; se non fosse che, in quello che si potrebbe definire un incrocio tra un’opinione e un auspicio del tutto personali, ancora una volta sembrerebbe come profilarsi un nuovo collegamento tra il DPP e il Libro Bianco, laddove quest’ultimo introduce sia la proposta di una nuova tripartizione delle spese del Dicastero della Difesa sia l’altrettanto innovativa iniziativa mirata al varo di una legge sessennale per l’Investimento. Ma su questo argomento ci sarà modo di tornare più avanti.

Tra l’altro, lo stesso DPP finisce con il rivelare l’ennesima contraddizione. Proprio nella sezione dedicata all’analisi dell’Esercizio infatti, viene segnalato il problema connesso alle riassegnazioni; per essere ancora più chiari, il Dicastero della Difesa di recuperare per intero quanto sostenuto per lo svolgimento di attività a favore di terzi.

Ricordata quindi la necessità di modificare il quadro normativo vigente affinché per tali attività sia prevista la totale rassegnazione delle risorse impegnate, si segnala, a titolo di esempio, il paradosso di un Esecutivo che, dopo aver disegnato uno scenario nel quale per l’Operazione “Strade sicure” si prospettava un drastico ridimensionamento, in un secondo momento ha invece fatto a un clamoroso dietro-front.
Ora, al netto di tutte le polemiche sull’utilità di tale Operazione, non si può non ricordare che parte dei costi di questa siano (ancora) a carico della stessa Difesa. Appunto!

Sempre più problemi anche sull’Investimento
L’analisi del DPP si conclude, limitatamente alla parte di specifico interesse del presente articolo, con la disamina del capitolo dell’Investimento.
Un capitolo che, come già evidenziato in precedenza, vive la situazione paradossale di un flusso di finanziamenti proveniente dal bilancio ordinario ormai di importo inferiore rispetto a quello generato da altri dicasteri; nello specifico, il MISE.

Paradosso nel paradosso, è il DPP stesso a evidenziare un’altra situazione a dir poco singolare; con il bilancio ordinario non è più possibile avviare alcun nuovo programma di acquisizione. Si è venuta cioè a creare una profonda dicotomia; da una parte i fondi della Difesa sono completamente assorbiti dalla componente “Ammodernamento” (ciò anche per effetto delle sempre più scarse risorse destinate alla manutenzione/supporto di mezzi e sistemi d’arma non più giovanissimi) mentre tutto ciò che riguarda il “Rinnovamento” dello strumento militare (inteso come acquisizione di nuovi mezzi e sistemi d’arma) può essere soddisfatto solo con i fondi MISE.

Ciò premesso, è ancora una volta la dura realtà dei numeri a spiegare quanto sta succedendo; per il 2015, sommando i 2.372,7 milioni di euro stanziati dal Ministero della Difesa con i 2.508,7 indicativamente messi a disposizione dal MISE si ottiene un totale di 4.881,4 milioni. Una cifra lontana dal livello medio di 5,5 miliardi circa degli ultimi anni; fatti salvi alcuni picchi negativi, di carattere però eccezionale. Una situazione dunque pesante, resa ancora più preoccupante da altri 2 fattori.

Il primo è costituito dalla considerazione che questi tagli si susseguono con ritmo e peso crescenti. In spregio a qualsiasi criterio di sana “spending review”, si è continuata a perseguire una politica fatta di tagli lineari che ha finito con l’interessare (dopo aver prosciugato l’Esercizio) l’ultimo capitolo di spesa facilmente saccheggiabile. Il punto è che tali continui interventi comportano una altrettanto continua opera di riprogrammazione (spesso profonda) che finisce con il rendere molto meno efficiente nel suo complesso la spesa per questo capitolo.

Il secondo è rappresentato dall’evoluzione delle risorse, così come rappresentata dal DPP; anche ipotizzando (con una certa dose di ottimismo) che i fondi del MISE rimangano quanto meno stabili nel prossimo biennio, la contestuale riduzione di quelli messi a disposizione dalla Difesa determinerà un nuovo taglio di almeno 450 milioni di euro, con lo sfondamento al ribasso del livello di 4,5 miliardi totali.
Ora, anche volendo fissare a soli 5 miliardi di euro la soglia di risorse necessarie per garantire un ammodernamento e un rinnovamento adeguati dello strumento militare, è evidente che questo deficit di risorse (una volta protratto, se non amplificato, nel corso del tempo) non potrà che produrre altri danni.

Del resto, per capire quanto sia complessa l’attuale situazione sia a dir poco complessa, è sufficiente scorrere il lungo elenco dei “Progetti in riserva di programmazione”; quei programmi cioè che, per quanto già avviati/individuati, non possono essere finanziati per mancanza di risorse.
Per non parlare dell’evidente contraddizione a proposito dei tratti essenziali che governano le scelte sull’Investimento.

«Rimane anzitutto fondamentale, anche a seguito delle valutazioni geostrategiche, di occorrenza degli scenari e delle necessarie considerazioni generali ricomprese nel “Libro Bianco”, la prosecuzione delle acquisizioni già decise, con specifico riferimento alla sostituzione – nel pieno rispetto, tra l’altro, delle espressioni parlamentari – delle linee aerotattiche di A.M. e M.M. e del rinnovamento della componente d’altura della Marina militare.

Per la componente terrestre è poi necessario perseguire il completamento della capacità “media” dell’esercito, programma che ha recentemente ricevuto il positivo riscontro del Parlamento, l’ammodernamento della capacità di esplorazione e scorta ad ala rotante – essenziale per garantire un’aderente e tempestiva protezione delle forze sul terreno – e una immediata iniziativa per assicurare l’operatività delle forze “pesanti”, ovvero gli assetti maggiormente idonei a contrastare efficacemente la minaccia convenzionale classica.

Parallelamente, andrà assicurato il sostegno logistico integrato alle componenti terrestri, navali ed aeree, oltre al completamento della capacità di ricerca e soccorso nazionale. Né potrà essere distolta l’attenzione dal settore satellitare della difesa, intrinsecamente connesso a vitali interessi della società civile, veicolo di pregiata superiorità tecnologica e informativa nazionale.».

Il ragionamento, accompagnato dagli evidenti riferimenti a programmi simbolici come l’F35, le nuove unità della Marina Militare ricomprese nel cosiddetto «Programma navale» e il VBM Freccia, sconta un clamoroso “black-out” logico sul fronte dell’operatività delle forze pesanti; nel DPP non vi è infatti traccia di alcun finanziamento per questa componente (inserita invece nella categoria dei “Progetti in riserva di programmazione”).

Non che manchino anche i dubbi sulla capacità di assicurare un sostegno logistico integrato alle componenti terrestri, navali e aeree; a giudicare dalle informazioni provenienti sempre dal DPP, soprattutto nei prossimi 2 anni è previsto un vero e proprio crollo della voce “Sostenibilità logistica e supporto generale”.

Le (ultime) speranze sono dunque affidate alla novità anticipata dal Libro Bianco e confermata dal DPP: la “Legge sessennale per gli investimenti militari”, all’interno della quale far confluire le spese per i maggiori investimenti, oggi frazionate e assegnate senza un orizzonte temporale coerente. Tale Legge sarà poi sottoposta all’approvazione del Parlamento, con aggiornamenti previsti ogni 3 anni.
Una iniziativa che peraltro sarà strettamente collegata con quella “Revisione Strategica della Difesa” (RSD), anch’essa annunciata dal Libro Bianco, e che secondo lo stesso DPP dovrà impostare:

…una nuova edizione della Pianificazione di Lungo Termine finalizzata alla corretta individuazione delle più idonee soluzioni tecnico-operative per l’evoluzione dello strumento militare del futuro in termini di mezzi, sistemi d’arma e struttura delle forze. Questa revisione valorizzerà quanto ad oggi realizzato al fine di non disperdere gli investimenti effettuati e le capacità e competenze acquisite. Sebbene la RSD porterà in futuro alla riduzione o al ripensamento di alcune capacità, le scelte rappresenteranno un adattamento progressivo di quelle fino ad oggi compiute.».
Tutto sicuramente apprezzabile, al punto che (nel caso fosse effettivamente implementato per intero il percorso disegnato) ci troveremmo di fronte a un qualcosa di molto simile a una rivoluzione per il comparto; ovviamente, in termini positivi.

Tuttavia, prima di lasciarsi andare a facili entusiasmi, sarà necessario verificare come questa Legge sarà articolata e, in particolare, quali meccanismi sarà in grado di mettere in campo per offrire una reale protezione a questo capitolo di spesa. Perché se “l’assalto alla diligenza” non si svolgerà più a cadenza annuale (se non inferiore) come accade oggi ma sarà solo rinviato al momento dell’aggiornamento su base triennale, il conto finale potrebbe non essere molto diverso.

Di più, riprendendo un tema poco sopra accennato (e precisato ancora una volta che si tratta più di un auspicio a livello personale che non altro), a parere di chi scrive sarebbe per  l’appunto auspicabile che la nuova Legge sessennale trovasse il modo di garantire una copertura finanziaria non solo all’investimento in senso stretto quanto, laddove fosse possibile, anche ad altre voci comunque collegate.

Una considerazione che prende spunto anche dal proposito di riconfigurare l’attuale tradizionale tripartizione delle spese per la Difesa (Personale, Esercizio e Investimento) in una nuova così scomposta: Personale (ovviamente immutato), Operatività dello strumento militare (funzionamento, addestramento, adeguamento capacitivo e sviluppi tecnologici) e, infine Operazioni (missioni nazionali e internazionali, cooperazione).

Ebbene, sulla base di una tendenza già oggi piuttosto diffusa (proprio come nel recentissimo caso dei primi contratti relativi al “Programma navale” i quali prevedono già un “In Service Support” per 10 anni sia per i PPA che per la LSS), proprio le voci legate al supporto logistico integrato/manutenzione potrebbero trovare un’agevole collocazione nella stessa Legge sessennale, garantendo così anche a esse una maggiore protezione nonché stabilità nel corso del tempo.

A costo infine di apparire (eccessivamente?) pignoli, qualche preoccupazione la desta anche l’espressione: «maggiori investimenti» quale perimetro di interesse del futuro provvedimento di Legge. Non necessariamente infatti, programmi di minore impatto economico sono meno importanti; quello che dunque potrebbe profilarsi è il rischio che questi ultimi, privati della necessaria copertura, diventino le classiche “vittime sacrificali”.

Gli F-35
Questo DPP si distingue infine per il notevole spazio dedicato al “kattivissimo” programma F35; una questione che ormai da anni agita il sonno della politica e dell’opinione pubblica del Paese.

Ebbene, i tratti salienti delle scelte esplicitate nel Documento possono essere così riassunte; fino al 2020, l’acquisto di nuovi velivoli sarà limitato al numero di 38 (rispetto ai 101 previsti quando, peraltro, ancora si prevedeva di acquisirne 131 in totale) Dopo quella data, in occasione della successiva Legge sessennale 2020-2026, la formula proposta è quella di una rimodulazione della pianificazione relativa all’intero programma, al fine di conseguire un’ulteriore efficientamento della spesa.

Una formula volutamente ambigua, dettata dalla necessità di destreggiarsi (solo per restare alle ultime, e non proprio esemplari, vicende parlamentari) tra le 4 diverse mozioni presentate alla Camera dei Deputati il 24 settembre scorso.

Tradotto tuttavia in italiano (per così dire) a tutti comprensibile, appare sufficientemente chiaro che il tutto si risolverà nella conferma dei 90 aerei.

Non che non manchino le perplessità sul velivolo in quanto tale e sui costi (soprattutto rispetto agli attuali livelli di bilancio); la mancanza però di serie alternative, l’ormai consistente coinvolgimento del nostro Paese e i primi segnali positivi sul versante dei ritorni industriali (rappresentati dalla scelta dell’Olanda di assemblare nella FACO di Cameri parte dei velivoli ordinati e la scelta di questo steso impianto come polo di manutenzione/supporto in Europa) costituiscono ormai una sorta di vincolo alla prosecuzione del programma, nei numeri previsti.
Certo, se magari poi si potesse evitare l’assurdità dei velivoli in versione B per l’Aeronautica, rimpinguando parzialmente la dotazione per la Marina, anche confermando il requisito di 90 F35 complessivi si otterrebbe comunque un ulteriore risparmio.

Conclusioni
Potrà anche sembrare bizzarro ma, per completare il ragionamento fin qui svolto, diventa in qualche modo necessario tornare ad affrontare la cruda realtà dei numeri.

Grazie al DPP è infatti possibile delineare un quadro aggiornato (ma non completo) delle risorse disponibili per il comparto Difesa; elementi comunque preziosi per ricostruire quello che potremmo definire lo “stato dell’arte” in termini di risorse disponibili.

Più semplicemente, ai 13.186,1 milioni di euro stanziati dal Ministero della Difesa si aggiungono, come detto, i 2.508,7 erogati dal MISE; per quanto riguarda invece quelli di competenza del MEF e destinati al fondo per le missioni all’estero, non è ovviamente possibile allo stato attuale delle cose stabilirne l’esatta entità. Fatte salve eventuali contingenze che potrebbero modificare (anche radicalmente) qualsiasi ragionamento, sulla base della consistenza di tale fondo e dei dati relativi agli anni passati, una stima di 800 milioni di euro circa appare tutto sommato congrua.

Ne risulterebbe dunque un dato finale per il 2015 pari a 16,5 miliardi di euro circa, con taglio netto di 700 milioni di euro rispetto allo stesso aggregato dell’anno passato e oltre 1 miliardo in meno rispetto al 2013.
In termini di rapporto percentuale con il PIL, si riuscirebbe così a difendere per un soffio la soglia dell’1% del PIL.

Numeri che, almeno a legislazione vigente e in assenza di significative variazioni, sono destinati a scendere ancora; con l’ulteriore aggravante rappresentata da una qualità di spesa che, a dispetto della conferma come da Libro Bianco della validità della Legge 244/2012 quale modello di riferimento, continua a divergere sempre di più da quanto previsto da quel percorso di revisione dello strumento militare.
In un simile contesto, non si può che tornare a ribadire il concetto espresso in precedenza; a costo di apparire eccessivamente enfatico, i prossimi 6 mesi saranno decisivi per il futuro delle Forze Armate del nostro Paese.

Dapprima, e in tempi più stretti, dovrà prendere corpo la revisione della “governance” della Difesa (intesa come attuazione delle disposizioni di legge in tema di attribuzioni del Ministro).

Un primo appuntamento importante che dovrà comunque essere integrato dalla già citata Revisione Strategica della Difesa (attraverso la quale saranno definiti la struttura delle forze, la preparazione e la prontezza dello Strumento Militare, con la conseguente indicazione delle necessarie risorse umane, materiali e finanziarie). A tutto ciò si sommerà la predisposizione della ormai nota Legge pluriennale di investimento e le iniziative in materia personale.

Quando questo, fondamentale, lavoro di definizione della Difesa italiana del futuro dovrebbe essere ormai volto al termine, sarà giunto il momento della presentazione della Legge di Stabilità 2016 e della Legge di Bilancio 2016-2018. A questo punto, pare perfino superfluo aggiungere altre considerazioni; il quadro delineato, così denso di appuntamenti importanti, parla da solo. Altrimenti detto, non manca molto al momento della verità. Non resta dunque che attendere, con l’auspicio che lo scenario disegnato da questo DPP sia cancellato e che la “rivoluzione” promessa dal Libro Bianco, per ora solo a parole, trovi conferma nei f

Foto: Difesa.it, ISAF, Alberto Scarpitta, MBDA, Lockheed Martin

Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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