Mani curde sul petrolio conteso di Kirkuk
dall’inviato Lorenzo Trombetta – ANSA – Kirkuk
Il tricolore curdo col sole giallo al centro sventola su quel che resta dell’antica rocca di Kirkuk, città irachena al centro di una regione ricca di petrolio, da mezzo secolo formalmente contesa tra arabi e curdi e da un anno sotto il pieno controllo dei Peshmerga del governo autonomo di Erbil.
Le postazioni dello Stato islamico (Isis) sono a circa 30 chilometri da Kirkuk, ma dall’estate 2014 di fronte alla minaccia jihadista le milizie curde si sono impadronite dei quartieri meridionali della città, da decenni abitati in prevalenza da arabi.
“Il governo di Baghdad ci ha chiesto di intervenire per difendere Kirkuk e noi lo abbiamo fatto”, dice all’ANSA il generale Azad Barkent, mentre srotola sul tavolo la carta della regione petrolifera.
In appena due settimane i militari curdi hanno risolto a loro favore una contesa che andava avanti dal 1991, da quando la sollevazione curda aveva gettato le basi per la creazione della zona autonoma a nord. Kirkuk era rimasta però contesa e divisa e persino la Costituzione dell’epoca post-Saddam Hussein non avevamesso fine alla questione. La strada che collega Erbil a Kirkuk è presidiata da alcuni posti di blocco dei Peshmerga.
A ridosso delle prime case si intravedono i pozzi di petrolio. Il campo più esteso è quello di Baba Gurgur, situato a nord di Kirkuk e che prende il nome dall’antico nome leggendario della città. “Il petrolio è la nostra ricchezza ma anche la nostra rovina”, afferma padre Qays del vescovado caldeo di Kirkuk. I caldei sono la comunità cristiana maggioritaria nella città nota per esser stata una dei simboli della convivenza etnica tra arabi, curdi e turcomanni, e convivenza religiosa tra sunniti, sciiti e cristiani.
“I Peshmerga proteggono tutte le comunità. Alcuni cristiani fuggiti dall’avanzata dell’Isis si sono rifugiati a Kirkuk e i curdi non li hanno cacciati”, racconta padre Qays. In città però si respira aria di tensione. Ai visitatori stranieri si sconsiglia avventurarsi per le vie del centro senza essere accompagnati.
“Ci sono bande locali che sequestrano e vendono gli ostaggi a milizie armate”, afferma un fotoreporter di Erbil. L’anno scorso un suo collega curdo è stato ferito da un colpo di un cecchino dell’Isis nella zona a sud ed è stato catturato dai jihadisti. Accanto a una chiesa siriana-cattolica un poliziotto si ripara dal sole mentre monta la guardia.
Parla in arabo, non in curdo, e indossa una divisa con le insegne del governo centrale di Baghdad, di fatto inesistente dall’estate scorsa. “Solo formalmente dipende da Baghdad. Prende gli ordini dal governatorato di Kirkuk, in mano curda”, afferma il fotoreporter di Erbil.
Secondo il generale Peshmerga “il destino di Kirkuk potrà essere deciso solo da un referendum popolare. La gente della città dovrà dire se preferisce stare sotto l’autorità del Kurdistan o sotto quella di Baghdad. Intanto – afferma – noi proteggiamo tutta la città. La minaccia jihadista incombe su tutti noi”.
foto: AP
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