Erdogan va alla guerra per restare al potere

La svolta era attesa, specie dopo la strage nella città curda di Suruc, a pochi chilometri da Kobane, dove un attentato suicida attribuito all’ISIS  ha provocato il 21 luglio 32 morti e decine di feriti e dopo le pressioni di Washington. L’intervento militare turco contro lo Stato Islamico in Siria è scattata il 24 luglio con un’operazione complessa e a tratti ambigua.

Nella prima notte di incursioni gli F-16 di Ankara ha “completamente distrutto” quattro postazioni dell’Isis nell’area cdi Kilis, in Siria, uccidendo 35 jihadisti ma colpito anche postazioni del PKK (Partito Curdo dei Lavoratori) nell’Iraq settentrionale.

Anzi, in 48 ore sono state effettuate 22 incursioni aeree in Iraq, contro la roccaforte del PKK di Qadili, e 9 contro l’ISIS in Siria mentre l’artiglieria turca dal confine ha colpito le postazioni di entrambi i movimenti.

Nelle stesse ore le forze di sicurezza turche hanno compiuto retate in 16 province turche, arrestando 590 individui (37 stranieri) sospettati di appartenere a varie organizzazioni terroristiche, tra cui molti curdi del PKK e Halis Bayancuk, noto anche come  Abu Hanzala, importante leader dello Stato Islamico in Turchia.

A Istanbul in un blitz è stata uccisa una militante del gruppo marxista Dhkp-C. I raid contro l’ISIS costituiscono anche una rappresaglia per l’uccisione di un soldato turco ai confini siriani.

Un episodio che sintetizza il cambiamento degli equilibri militari nella regione se si considera che durante la battaglia di Kobane venivano diffuse foto dei militari turchi che ai confini siriani scherzavano amichevolmente con militanti dello Stato Islamico, organizzazione che ha potuto ampliare le aree sotto il suo controllo  lungo il confine turco grazie al supporto di Ankara che pur di rovesciare Bashar Adssad non ha mai fatto mancare il suo appoggio anche a gruppi jihadisti come i qaedisti del Fronte al-Nusra e i miliziani del Califfato che in molti casi hanno fatto curare i loro feriti in battaglia in ospedali turchi.

Le operazioni turche hanno avuto ampie ripercussioni interne. Cinquemila agenti di polizia, con elicotteri e forze speciali, hanno effettuato irruzioni in 26 quartieri di Istanbul, in oltre 100 edifici sospettati di ospitare jihadisti dell’Isis e dei miliziani curdi del PKK, il Partito curdo dei lavoratori stretto alleato dei curdi siriani del PYD ( Partito democratico Curdo di Siria) e nemico giurato dello Stato Islamico.

Gli attacchi degli F-16 contro l’ISIS e il PKK rappresentano “un passo diverso” che Ankara ha dovuto intraprendere a causa dei “cambiamenti nel nord della Siria”, ha spiegato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan che ha finalmente accettato che la base aerea statunitense di Incirlik venga impiegata dalla Coalizione “a certe condizioni”.

La possibilità di utilizzare Incirlik, base costruita dagli americani nel 1951 e che ospita forze turche, USA e britanniche, rappresenta potenzialmente un vantaggio perché è molto più vicina alla Siria e a Raqqa (capitale dello Stato Islamico) rispetto alle basi impiegate dalla Coalizione in Giordania e nel Golfo.

Per Ankara la campagna militare contro L’ISIS è politicamente utile a rispondere a chi accusa Erdogan di complicità con i jihadisti  ma in realtà l’intervento militare potrebbe nascondere obiettivi ben diversi dalla guerra al Califfato.

La Turchia ha infatti confermato che istituirà una No fly zone lunga 90 chilometri e profonda una cinquantina in un’area di confine del nord della Siria, ufficialmente per favorire i raid della Coalizione.
In realtà la no fly-zone tra Marea e Jarabulus consentirà forse di cacciare l’ISIS dal confine turco ma impedirà anche ulteriori avanzate dei miliziani curdi siriani dell’YPG (forze di difesa popolari, braccio armato del Partito Democratico curdo di Siria), alleati del PKK.

Meglio precisare che l’imposizione di una no fly zone, senza un via libera dell’ONU, è un atto del tutto illecito che mina la sovranità della Siria. Le no fly zone imposte dagli alleati (USA, UK e Francia) nel sud e nel nord dell’Iraq negli anni ’90 vennero autorizzate dall’ONU per proteggere curdi e sciiti dalle rappresaglie di Saddam Hussein.

Probabile (come sostiene il quotidiano turco Hurryet)  che Washington abbia barattato il via libera all’utilizzo di Incirlik (e delle basi di Batman, Dyarbakir e Malatya in caso di necessità) con il sostegno all’istituzione della no fly-zone  anche se l’appoggio degli Stati Uniti non può sostituire l’avvallo di una risoluzione dell’ONU né legittimare la violazione del diritto internazionale. L’accesso all’area coperta dalla no fly-zone sarà infatti precluso ai velivoli di Bashar Assad (che se vi entreranno diverranno bersagli) e nel territorio, gestito di fatto dai turchi “per conto” della Coalizione, verranno schierati reparti militari di Ankara incluse unità di artiglieria.

“L’offensiva antiterrorismo durerà 3-4 mesi”  ha anticipato Erdogan che ha precisato come i raid condotti dagli F-16 decollati dalla base di Diyarbakir (nel Kurdistan turco)  “sono solo il primo passo e le operazioni continueranno nei prossimi giorni”.

Il presidente ha anche ribadito che i militanti del PKK (che nelle ultime settimane hanno ripreso le azioni contro militari e poliziotti turchi)  devono deporre le armi, ammettendo che quella in cui è entrata la Turchia “è una lotta molto diversa da quelle precedenti”.

Tali esternazioni lasciano intendere che i terroristi da combattere non sono solamente quelli dello Stato islamico, come dimostrerebbero i bombardamenti indiscriminati avvenuti ieri sia contro postazioni dell’IS sia contro aree sotto il controllo delle milizie curde del PKK in Iraq.

L’impressione è che Erdogan voglia impedire che la guerra all’ISIS consenta ai curdi di mantenere il controllo della basta porzione di territorio che oggi si estende dall’Iraq alla Siria del nord, contesto geopolitico ideale per proclamare in futuro l’indipendenza dello Stato curdo.

La decisione di Erdogan di attaccare tutti i nemici esterni e di confine (Stato Islamico, curdi, insurrezionalisti marxisti) potrebbe anche costituire uno stratagemma per alterare il quadro politico che ha visto il partito del presidente (AKP) uscire fortemente indebolito dalle elezioni del 7 giugno.

Il clima di emergenza nazionale giustifica il pugno di ferro di polizia e militari, ormai sotto il ferreo controllo dell’AKP, e la rinnovata campagna contro i curdi (accusati di aver condotto 2.099 atti di violenza dall’inizio dell’anno, secondo quanto riferito dall’agenzia di Stato Anadolu) indebolirebbe le opposizioni democratiche e il Partito democratico dei popoli (Hdp), filo curdo, che aveva avuto una buona affermazione alle ultime elezioni e che (guarda caso) ha visto alcuni suoi esponenti arrestati nelle ultime ore.

La guerra di Erdogan potrebbe quindi rivelarsi non tanto mirata a distruggere lo Stato Islamico ma a consolidare il suo traballante potere interno con un prolungato stato di emergenza nazionale utile a  impedire ai curdi di consolidarsi in Siria e a dare una spallata ulteriore al regime di Bashar Assad, fino al 2012 grande amico di Erdogan (foto a sinistra) .

Dopo aver appoggiato i peggiori jihadisti e terroristi islamici che combattevano Damasco, oggi Ankara vuole proteggersi dai suoi ex alleati costruendo un muro da aggiungersi  ai 235 chilometri già protetti da barriere difensive.

Completo di telecamere a infrarossi e sensori il muro sarà realizzato con moduli prefabbricati e filo spinato abbinati a 365 chilometri di fossati anticarro per impedire il passaggio di veicoli.

Foto: Anadolu, Reuters, AP, Aeronautica turca, US DoD, TRR

TWITTER @GianandreaGaian

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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