Impossibile “occidentalizzare” l'Esercito iracheno

Imporre all’Esercito iracheno i modelli e l’organizzazione delle forze armate occidentali è uno sforzo inutile e metodologicamente errato, scrive sul “Wall Street Journal” (ripreso dall’Agenzia Nova )  Robert H. Scales, generale in congedo che sino al 2000 ha servito come comandante dell’Army War College. Secondo Scales, gli arabi combattono meglio in formazioni organizzate attorno a solidi legami familistici e comunitari, più che anonimamente irregimentati sotto una bandiera nazionale.

A dimostrarlo è il successo e la preponderanza sul campo delle milizie tribali, in Iraq come negli altri scenari di crisi mediorientali e nordafricani. Secondo Scales, gli Stati Uniti avrebbero dovuto apprendere questa lezione già nel 1991, quando invasero l’Iraq sconfiggendo in appena 100 giorni il quarto esercito nazionale per dimensioni al mondo.

Quella vittoria schiacciante, generalmente spiegata in termini di superiorità tecnologica e organizzativa, andrebbe interpretata secondo l’ufficiale prima di tutto in termini socio-culturali. Scalses ricorda che un suo generale ed amico, all’indomani della prima operazione Desert Storm, fu l’unico a valutare l’esito del conflitto secondo parametri differenti:

“Gli eserciti arabi non si adattano molto bene a questo tipo di guerre – spiegò il generale a Scales – Gli Stati Uniti non hanno combattuto soltanto contro forze armate arabe, ma anche al loro fianco, e sauditi e siriani non si sono dimostrati molto migliori della Guardia repubblicana di Saddam Hussein”.

A un quarto di secolo di distanza, la valutazione per certi versi politicamente scorretta di quel generale trova nuove e schiaccianti conferme in tutti i principali scenari di crisi regionale, scrive l’autore dell’articolo. I limiti delle forze armate regolari arabe sono evidenti nel conflitto civili siriano, sono stati ancor più evidenti in Libia e si stanno palesando in Yemen, dove la soverchiante e ben finanziata macchia da guerra saudita fatica ad avere la meglio delle milizie sciite Houti.

Gli arabi, sostiene Scales, “si trovano a loro agio in formazioni articolate organicamente attorno a gruppi familiari che condividono ben più della stessa bandiera”. Queste unità, afferma il generale, “si trovano a loro agio soprattutto quando operano sulla difensiva. Conoscere personalmente il soldato al tuo fianco rafforza morale e determinazione, ma aiuta assai meno nel caos di un’avanzata offensiva”.

Queste ed altre considerazioni espresse da Scales sul suo editoriale portano a una serie di considerazioni: anzitutto, in Iraq e altrove gli Stati Uniti dovrebbero adottare un approccio “che costituisce un anatema rispetto alla convinzione radicata che la commistione etnica e culturale faccia la forza. La storia recente suggerisce che le società mediorientali hanno convinzioni opposte”.

Secondo, gli eserciti regolari arabi non sono adatti alle guerre d’attrito, come sta imparando a sue spese il presidente siriano Bashar al Assad. Per questa ragione, l’imminente offensiva irachena contro lo Stato islamico nella provincia di al Anbar “funzionerà soltanto se sarà fulminea, metodica e accompagnata da un supporto aereo statunitense assolutamente soverchiante”, con “centinaia di sortite al giorno”, e con l’obiettivo “non tanto di riconquistare il territorio, ma di spezzare la morale dei combattenti dell’Isis”.

Foto: Esercito iracheno

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