Le forze algerine contro i jihadisti

L’Algeria è sotto il fuoco incrociato di minacce e colpi di coda del jihadismo. Prima l’Isis, con la solita propaganda tutta ferro e fuoco. Poi Aqmi (al-Qaeda nel Maghreb Islamico) che è passata ai fatti, per riconquistarsi un palcoscenico obnubilato dalle capacità mediatiche del Califfato. Il Paese è scosso, colpito venerdì 17 in uno dei simboli principali, le forze armate.

Da inizio giugno, l’esercito stava conducendo missioni di rastrellamento fra Ain Defla e Medea, nelle zone montagnose del centro-nord, fittamente coperte da vegetazione.

L’intelligence e la polizia avevano segnalato la presenza di una ventina di terroristi, i famigerati maquis dei comuni di Ain Jendel, el-Hachania e Amruna, un tempo feudo dei gruppi armati islamisti dei terribili anni ’90. Nella notte di giovedì scorso, i parà della 17a divisione sono entrati in azione.

Hanno intercettato alcuni terroristi aprendo il fuoco. Tre soldati algerini sono rimasti a terra in una zona impervia del monte Ellouh, non lontano da Ras Tifrane, a 150 chilometri da Algeri. Dodici anni fa, vi erano già caduti altri 9 soldati, vittime di un’imboscata qaedista. Stavolta, è andata peggio.

Mentre i superstiti riparavano nelle retrovie, i corpi dei compagni erano ancora lì, alla mercé dei nuovi barbari. Bisognava assolutamente recuperarli. Ne venne incaricato il tenente Houssem Maalem, che si è mosso con 10 uomini. Non tutto è andato per il verso giusto. E i dettagli tattici, quando trascurati, tendono a vendicarsi. I dieci erano male equipaggiati, senza blindati, né supporto aereo. Inevitabile l’imboscata, secondo una modalità tipica dei jiadhisti algerini.

La tattica qaedista

Secondo gli analisti di Jane’s, in ambiente montano, la formazione standard di AQMI comprende 3-4 gruppi di fuoco e 1-2 posti di osservazione. Le vedette occupano i siti con la visuale migliore su tutte le vie di accesso.

Hanno per compito di individuare un convoglio o una colonna di soldati in avvicinamento, garantendo così ai gruppi di assalto e ai nuclei di sicurezza il tempo occorrente a predisporre l’imboscata. Posti parallelamente alle strade, in posizione baricentrica rispetto alla “kill zone”, i gruppi di assalto occupano posizioni mimetizzate, cavità naturali e grotte, spesso frutto di lavori di adeguamento. Postazioni profonde fra i 150 e i 300 metri.

Mitragliatrici, cecchini e razzi a carica cava rafforzano il dispositivo. Di norma sono previsti anche nuclei aventi compiti di sicurezza, nelle vicinanze dell’area, per impedire eventuali reazioni o contro-imboscate ed eliminare mezzi di scorta o di supporto alla colonna. Ovviamente, gli obiettivi principali sono i fanti, i mezzi logistici di supporto, i convogli scarsamente protetti e i veicoli isolati. Solitamente le imboscate sono brevi, seguite da un rapido ripiegamento.

Talvolta si traducono in semplici azioni di disturbo, ordite da unità leggerissime. Compiuto l’attacco, i terroristi abbandonano immediatamente l’area e si dirigono verso il punto d’incontro con gli altri elementi cooperanti a non più di 3-5 chilometri dal luogo di attacco. Stavolta l’azione è avvenuta all’altezza di Keruche, sulle colline circostanti Ain Jendel, 50 chilometri più a nord del capoluogo regionale di Ain Defla.

Della sezione di Houssem Maalem vengono colpiti a morte nove uomini, mentre muoiono solo 3 jihadisti. Poco più di un anno fa c’era stata un’imboscata simile in Cabilia, regione montuosa a est di Algeri. Restarono sul terreno 15 militari ma l’assalto più mortale fu quello contro le istituzioni militari, nell’estate di 4 anni fa. Ricordate il massacro di Cherchell, all’Accademia Interforze? E quello contro la Scuola superiore di gendarmeria a Issers? Vi morirono 66 militari, con la solita tecnica degli attentatori-kamikaze e delle moto-bomba. L’Algeria è molto attenta ai segnali premonitori di qualsiasi escalation terrorista.

25 anni di guerra ai jihadisti

Sfiorata marginalmente dai tumulti della Primavera araba, ha accelerato il processo di riforme politiche, economiche e sociali già avviato dal presidente Bouteflika, che interessa anche le forze di sicurezza.

Il Presidente Bouteflika  (foto a sinistra) ha abrogato lo stato di emergenza, in vigore dal 1992, e indetto elezioni legislative, che hanno portato alla formazione di un nuovo governo.

Poco ha fatto invece per migliorare i fondamentali dell’economia, che rimangono fragili e dipendenti dalla volatilità dei prezzi del petrolio e del gas. Nel 2014, il settore degli idrocarburi ha continuato a rappresentare il 33% circa del PIL (Prodotto Interno Lordo), contro il 5% dell’industria.

Il potere d’acquisto è stato eroso da un’inflazione superiore al 5% che, nel settore militare, ha sfiorato l’8-9%. Le prospettive di crescita positiva hanno tuttavia permesso investimenti importanti nel settore della difesa. Le poste di bilancio militari nell’esercizio finanziario in corso ammontano a oltre 10 miliardi di dollari, vale a dire più del 5% del Pil, una delle percentuali più alte al mondo, prima in Africa.

L’Algeria vuole mantenere integro lo status di potenza regionale, nonostante i sempiterni problemi: terrorismo islamista e autonomismo berbero. Il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, ribattezzato nel 2007 Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), è un prodotto algerino, molto attivo in Cabilia e nel nord del Paese, ma ormai diffuso nell’intero Sahel. Poi ci sono i confini turbolenti con la Tunisia, la Libia, il Marocco e il Mali.

Le forze di Algeri

Ecco perché servono ad Algeri forze armate efficienti e copiose. Oggi gli effettivi sono all’incirca 140.000, gran parte dei quali coscritti. Oltre centomila sono in forza all’Esercito, 14.000 all’Aeronautica e 6.000 alla Marina. Le forze paramilitari sono copiose, con 130.000 uomini inquadrati nella Gendarmeria e 2.000 nella Guardia Repubblicana.

Il bacino dei riservisti è enorme, sebbene scarsamente mobilitabile per mancanza di addestramento periodico. L’organizzazione gerarchica è ancora classista più che meritocratica. La macchina bellica difetta di unità e flessibilità. I reparti convenzionali dell’Esercito non sono addestrati ad operare veramente come forze contro-insurrezionali ma il governo ha tentato di impiegarli nel ruolo di controguerriglia come forze di reazione rapida.

Nella nuova dottrina militare ampio spazio è dato ai concetti di flessibilità, mobilità e rapidità di proiezione, fondamentali per le operazioni di controterrorismo. Sei sono le regioni militari in cui si articolano le Forze Armate, eredità del periodo coloniale. Ma una 7a entità dovrebbe coprire il confine libico e sahariano, con quartier generale a Illizi, a 100 chilometri dalla frontiera.

Trentamila uomini sono stati già rischierati lungo le frontiere ovest e sud, mentre sono in fase di approntamento installazioni e basi per le forze di sicurezza, che dovranno presidiare i campi petroliferi e gasieri della provincia di Uargla (Hassi Messaud), Tabankort e Adrar.

Le tre regioni settentrionali, 1a, 2a e 5a, coprono la parte più popolosa del Paese. La 1a è anche la principale: ha comando a Blida e comprende la capitale, Algeri, assorbendo i 2/5 dell’Esercito. Per capirci è in questa regione il teatro dell’ultima imboscata. Siamo alle porte della Cabilia, regione turbolenta per l’indipendentismo berbero e le trame qaediste. La 2a regione è imperniata invece su Orano, sede portuale di prim’ordine, e sul nord-ovest del Paese, mentre la 5a ha comando a Costantina e responsabilità sullo scacchiere orientale.

Delle tre regioni meridionali merita di esser segnalata la 4a, incentrata su Uargla, e responsabile per l’Algeria sudorientale: un’area strategica, cuore pulsante dell’industria petrolifera nazionale, da cui dipende anche il famigerato sito di Tiguentourine (in Amenas), attaccato dai terroristi nel gennaio 2013 la cui vigilanza è stata rafforzata. Non meno importante è la 3a regione, con quartier generale a Bechar e competenza sul sudovest del Paese, al confine problematico con il Marocco, il Sahara Occidentale e la Mauritania.

La rivalità col Marocco

Vi è schierata la 40a Divisione Meccanizzata di fanteria, che presta alcune unità anche alla regione di Algeri per operazioni contro-insurrezionali. I rapporti fra Algeria e Marocco sono tesi, nonostante i tentativi di dialogo sull’annosa questione del Sahara Occidentale.

L’Algeria ha concesso al popolo saharawi 5 campi profughi nei pressi di Tindouf oltre all’amministrazione di parte del deserto dell’Hammada. Finanzia ambasciate e rappresentanze estere della RASD (Repubblica Araba Saharawi Democratica), centinaia di siti web poliglotti che promuovono le posizioni del POLISARIO (Frente Popular para la Liberacion de Saguia El-Hamra y Rio de Oro) e i viaggi della sua leadership, cui concede documenti e passaporti diplomatici.

L’Esercito di Liberazione Popolare Saharawi (ELPS), branca armata del POLISARIO, ha a Rabouni, in Algeria, il comando generale e la principale base logistica dei reparti operativi. Rabouni è il cuore del parco corazzato dell’ELPS, forte di due battaglioni di T-55. Ospita gran parte delle difese antiaeree (SA-6, SA-8 e SA-9) e dell’artiglieria pesante saharawi, essendo sede del governo della RASD e dei vari ministeri. L’Algeria ha il suo tornaconto: da un Sahara Occidentale indipendente e vassallo otterrebbe accesso diretto all’Atlantico e un’indiscutibile supremazia regionale. Algeri pensa di contenere gli aneliti marocchini, ma fomenta una gara a due, che si declina in una corsa agli armamenti, annosa e senza uguali in Africa, e legittima il ruolo preponderante delle Forze Armate nella società algerina, dell’Esercito in particolare.

I mezzi

Delle tre componenti di Forza Armata, l’Armée Nationale Populaire è la più importante non solo dell’Algeria, ma dell’intero Maghreb: i suoi 110.000 uomini sono secondi solo agli effettivi egiziani e possono contare su 150.000 riservisti.

I coscritti sono 75.000, che servono per un periodo di un anno e mezzo. Scarsamente preparati, sono però impiegati in compiti statici e lasciano ai 40.000 professionisti il nerbo delle attività operative.

Le unità organiche maggiori sono due divisioni corazzate, su tre brigate corazzate ed una meccanizzata, cui si sommano tre divisioni di fanteria meccanizzata, ognuna formata da tre reggimenti meccanizzati, un reggimento carri, quattro brigate meccanizzate o motorizzate, e una brigata indipendente.

Accanto alle grandi unità, operano 20 battaglioni di fanteria indipendenti e due di artiglieria. L’equipaggiamento delle unità corazzate include 185 carri T-90S acquistati dalla Russia, cui se ne sommeranno altri 120. I T-90S algerini sono equipaggiati con i più avanzati sistemi di controllo del fuoco, camere termiche Catherine (Thales) e corazze reattive Kontakt-5.

Nella corsa agli armamenti con il Marocco, Rabat non è rimasta a guardare ed ha ordinato 200 carri Abrams M1A1SA con ottime capacità offensive grazie a una torretta elettroottica allo stato dell’arte e al TIS FLIR di 2a generazione, capace di individuare bersagli a 8 chilometri di distanza.

I proiettili M833 all’uranio impoverito sono in grado di penetrare qualsiasi blindatura nemica e in particolare le mattonelle reattive Kontakt-5 che proteggono i T-90S. I nuovi MBT (Main Battle Tank) algerini si sono aggiunti ai 500 T-72 già in servizio, la metà dei quali in fase di upgrade allo standard T-72M1 dall’azienda russa Uralavagonzavod nell’ambito di un contratto da 200 milioni di dollari.

Oltre ai T-90 e ai T-72, le unità corazzate possono contare anche su 275 vecchi T-54/55 e su 150 T-62. In fase di progressivo svecchiamento è il parco dei veicoli corazzati da trasporto truppe APC (Armoured Personnel Carrier), fondamentali per le manovre rapide in assetto anti-jihad.

L’Esercito allinea 110 BTR-50/OT-62, 550 BTR-60, 200 BTR-80 e 150 OT-64. Ma le novità più rilevanti si chiamano Nimr e Fuchs-2. Il veicolo blindato Nimr è un successo della joint venture fra le aziende emiratine Tawazun (60%) e Bin Jabr Group (40%). Acquistato in 500 esemplari dagli Emirati, è stato comprato anche dalle Forze Armate di Libia, Libano e Giordania.

La joint venture fra Tawazun e la Direzione delle Produzioni Militari algerine permetterà all’industria locale di produrre 2.500 Nimr, nella duplice versione 4×4 e 6×6, con torretta remotizzata e lanciarazzi, e una capacità di trasportare fino a 8 uomini.

Stesso discorso per i veicoli blindati Fuchs-2: l’Algeria ne ha ordinati 1.200 all’azienda tedesca Rheinmetall. Dei 980 assemblabili localmente, 247 sono già pronti. Anche il settore degli IFV (Infantry Fighting Vehicle) è stato ammodernato.

Ai 685 BMP-1, si affiancano oggi 160 BMP-2 allo standard 2M, dotati di un nuovo sistema di puntamento e di quattro lanciatori per missili controcarro Kornet-E. Non confermata è invece l’acquisizione di 100 BMP-3.

Molto più adatte alla controguerriglia sono le unità speciali dell’Esercito che hanno una scuola ad hoc a Skikda, là dove passano anche i commando paracadutisti della 17a divisione e gli specialisti del 25° reggimento da ricognizione. I primi hanno compiuto un’azione durissima nella vicenda di Tiguentourine, l’impianto di estrazione del gas assaltato dai qaedisti della Katiba al Moulathamin nel gennaio 2013. I para-commandos algerini sono entrati in azione dopo quattro giorni di assedio e di negoziati inutili. Hanno una formazione cosmopolita, con stage in Corea del Sud, Cina, Sudafrica, Regno Unito, Stati Uniti, Italia, Germania e Francia.

Sono la colonna vertebrale del CLAS, il Centro di condotta e coordinamento delle Operazioni di Lotta Anti-Sovversiva, che riunisce anche elementi del Dipartimento per l’Intelligence e la Sicurezza (DRS), come il Groupe d’Intervention Spécial (GIS), intervenuto anch’esso a Tiguentourine con due gruppi aviotrasportati da velivoli C-130 e C-295.

Forte di 300 uomini, il GIS è un’unità d’elite per missioni speciali, che si addestra alle operazioni antiterroristiche con le migliori unità occidentali e russe (gruppo Alpha). I team d’assalto del GIS e della 17a Divisione sono stati appoggiati nell’operazione di Tiguentourine da due elicotteri Mi-24 Super Hind, che hanno aperto il fuoco contro una colonna di 4×4 che tentava la fuga, e da un centinaio circa di blindati e corazzati dell’Esercito. C’erano anche gli uomini del Détachement Spécial d’Intervention (DSI) della Gendarmeria Nazionale, con le uniformi nere e i passamontagna, adusi alla lotta antiterroristica in ambiente urbano.

Guerra senza quartiere

Tiguentourine è stato un punto di svolta, che ha galvanizzato gli sforzi antiterroristici algerini, tanto in patria, quanto nel sud della Libia e in Tunisia. Un anno fa, il think tank britannico The Henry Jackson Society, segnalava già la presenza di forze speciali franco-algerine nel Fezzan, per eliminare i santuari qaedisti, distruggerne le infrastrutture e spazzarne via i campi di addestramento.

Fonti militari algerine, rimaste anonime nel confidarsi al quotidiano el-Wataan, hanno quantificato il contingente nazionale in 3.500 para-commando, gli stessi dell’operazione Scorpione Veloce a in Amenas. L’intelligence algerina aveva un conto in sospeso con il guercio, Mokhtar Belmokhtar (nella foto a fianco), localizzato a Tripoli poche settimane prima del dramma di Tiguentourine.

Ovviamente gli incursori algerini, se l’informazione fosse confermata, starebbero puntando tutto sulla rapidità di movimento e sulla sorpresa. Avrebbero a disposizione materiali leggeri, come i 4×4 armati con le classiche mitragliatrici da 12,7 mm e, pare, qualche blindo ruotata BTR. Un quid pluris di potere di fuoco sarebbe garantito dal supporto aereo ravvicinato, imperniato sugli elicotteri d’attacco Mi-24. L’aviazione algerina ne ha tre reggimenti, se si includono anche gli Mi-35 Hind, pensati appositamente per la cooperazione con le forze terrestri, e i commando antiterroristi in particolare.

Non meno preoccupante per Algeri è la dinamica jihadista in Tunisia. Il Bardo e Sousse lo confermano. Anche Tunisi sta correndo ai ripari perché si è scoperta estremamente vulnerabile. Se i terroristi filo-Daech hanno potuto colpire quasi indisturbati uno dei tre siti più protetti del paese, significa che molteplici sono le falle da tamponare.

Manca un vero coordinamento d’intelligence, una cabina di regia e forze adeguate, eccezion fatta per gli ottimi corpi speciali della Guardia nazionale e della Polizia, purtroppo numericamente esigui. Da un punto di vista militare, il nuovo regime non ha margine di manovra: 23 anni di dittatura hanno inciso come una mannaia sulle capacità delle forze armate, penalizzate rispetto alla polizia, tanto pletorica quanto invisa alla gente.

Caduto il regime di Ben Ali, una sorta di nemesi storica ha fatto strame degli apparti di sicurezza tunisini, travolti dalla sete di rivalsa dei nuovi dirigenti.

La destrutturazione degli effettivi è coincisa con un deficit nella capacità di anticipare le situazioni, leggere i fenomeni e raccogliere informazioni adeguate sul terreno. Per ricostruire uno strumento militare degno di questo nome occorrono generalmente lustri e molti aiuti, perché l’insorgenza jihadista ha allignato nel buco nero che corre fra la frontiera libica, il Sahel e il monte Chaambi, a pochi passi dall’Algeria.

Oggi, sono i commando paracadutisti dell’ANP algerina a braccare i terroristi nei santuari montuosi. Elementi del genio aprono la via, mentre i cacciabombardieri Su-24 colpiscono dall’alto .

I tunisini mancano di tutto, di velivoli da ricognizione tout court e di assetti da bombardamento, che possano appoggiare le squadre speciali a terra.

I blindati non sono protetti a sufficienza contro gli ordigni artigianali. Solo alcuni reparti d’elite dispongono di mezzi più o meno decenti, forniti poco tempo fa dai turchi, molto dinamici ma ancora deficitiari tecnologicamente. L’aiuto algerino è pertanto una manna dal cielo. Lo scenario si sta deteriorando e l’Algeria vi si adatta con vigore. Difficile possa essere destabilizzata nel breve termine

Foto: Reuters, al-Jazira, Press Tv, APS, Tv Algerie, TVC

Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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