Quante perplessità sulla morte del mullah Omar
Il Mullah Omar è morto, e già questa è una notizia, anche se negli ultimi 14 anni sono circolate più volte voci circa la scomparsa del leader dei talebani afghani che (secondo la leggenda) riuscì a sfuggire alla caccia degli americani nel novembre 2001 scappando da Kandahar in sella a una moto fuoristrada con cui raggiunse i confini col Pakistan.
Per questo la notizia diffusa martedì da un funzionario del governo afghano all’emittente 1TvNews ha suscitato non poche perplessità. Secondo il funzionario il leader talebano, che ha guidato la shura di Quetta, organizzazione che con la Rete Haqqani del Waziristan ha incarnato 14 anni di lotta contro Kabul e gli alleati , sarebbe stato ucciso.
Il governo afgano aveva però ammesso in una conferenza stampa che era in corso l’esame delle notizie e un portavoce aveva precisato di non poter “confermare né smentire” le notizie che danno per morto il leader dei talebani.
Nel pomeriggio di mercoledì Abdul Hassib Seddiqi, portavoce del Dipartimento nazionale per la sicurezza (l’NDS, cioè i servizi segreti di Kabul) ha riferito di nuovi elementi probanti che farebbero ritenere credibile l’ipotesi della sua scomparsa. “Omar -ha spiegato – è morto in ospedale nel 2013 a seguito di una grave malattia”. Lo stesso giorno le notizie della morte del mullah Omar sono state definite “credibili” anche dal portavoce della casa Bianca Eric Schultz, aggiungendo che l’intelligence continua comunque le sue verifiche.
Infine ieri pomeriggio il sito internet dell’Emirato islamico dell’Afghanistan ha pubblicato un messaggio in pashto in cui il fratello (mullah Abdul Manan) e il figlio (Mohammad Yaqub) del mullah Omar hanno confermato la morte del leader talebano.
Dopo aver assicurato che “nonostante la presenza di una coalizione guidata dagli Usa il mullah Omar non ha mai abbandonato negli ultimi 14 anni l’Afghanistan neppure per un solo giorno”, i familiari hanno ammesso che “qualche tempo fa è stato colto da una malattia che lo ha condotto alla morte”.
Quanto tempo fa non è stato specificato ma il comunicato riferisce che le sue condizioni di salute erano peggiorate “nelle ultime due settimane” aggiungendo che la shura di Quetta riunita d’urgenza ha nominato “all’unanimità” quale successore al vertice dell’organizzazione Akhtar Mansour, da almeno tre anni comandante operativo dei talebani e compagno di lungo corso del mullah Omar dal momento che nel governo degli “studenti coranici” che dominò l’Afghanistan dal 1996 al 2001 ricopriva la carica di ministro dell’Aviazione.
Secondo gli analisti è su di lui che il governo del Pakistan ha puntato per sostenere il dialogo tra insorti e governo di Kabul. La shura ha nominato anche due vice di Mansour: Sirajuddin Haqqani, figlio del fondatore della Rete Haqqani e suo comandante militare, e il Maulavi Haibatullah, già’ presidente della Corte Suprema dei talebani e capo del loro Consiglio religioso degli Ulema.
La nomina di Sirajuddin Haqqani, considerato vicino ad al-Qaeda e su cui gli Usa hanno posto una taglia di 10 milioni di dollari, potrebbe significare che il Pakistan è riuscito ad amalgamare le “due anime” del movimento talebano nel nome della riconciliazione afghana, o che almeno ci sta provando.
Le prime reazioni alla notizia della morte del mullah Omar non sembrano certo positive per i colloqui di pace. Il Pakistan ha dovuto annunciare il rinvio del secondo round di colloqui previsto per oggi a Murree, località turistica nei pressi di Islamabad. Il ministero degli Esteri pachistano ha precisato che la sospensione dell’incontro è stata chiesta dai talebani “alla luce dell’incertezza creata dalla notizia della morte del Mullah Omar”.
Lo stop ai colloqui sembra quindi dovuto alle forti spaccature in seno al movimento islamista: secondo alcuni analisti i favorevoli al dialogo sono i talebani residenti in Pakistan guidati da Mansour contrapposti a coloro che combattono in Afghanistan capeggiati dal figlio ventiseienne di Omar, Mohammad Yaqub, al cui fianco vi sarebbero, secondo fonti della BBC, importanti esponenti quali il comandante militare mullah Qaum Zakir, il capo dell’ufficio politico talebano in Qatar, Tayeb Agha, e il mullah Habibullah, membro della shura di Quetta.
Un comunicato dell’Emirato islamico dell’Afghanistan di poco precedente a quello che confermava la morte del mullah Omar aveva infatti escluso che “in un prossimo futuro” si possano tenere colloqui di pace con “il regime di Kabul” aggiungendo che l’ ‘ufficio politico plenipotenziario talebano “non è a conoscenza dell’esistenza di alcun processo di pace”. Eppure due settimane or sono un comunicato dello stesso mullah Omar aveva espresso il sostegno a tale negoziato.
Difficile credere che il leader talebano sia scomparso 26 mesi or sono senza che nessuno della sue organizzazione facesse trapelare la notizia, senza che la shura di Quetta nominasse subito un successore e senza che i servizi d’intelligence statunitensi, britannici, pakistani e afghani ne sapessero nulla. Più probabile quindi che la sua morte risalga a pochi giorni or sono.
Va però rilevato che voci sulla morte di Omar si erano moltiplicate negli ultimi mesi anche se il sito web dell’Emirato islamico dell’Afghanistan ha continuato a pubblicare suoi messaggi e nell’aprile scorso ha diffuso una lunga e particolareggiata biografia del leader in occasione del 19/o anniversario della sua nomina a comandante supremo, forse con il preciso intento di smentire le voci della sua morte.
Fonti talebane, riprese martedì dal quotidiano pachistano The Express Tribune, riferirono che il mullah Omar era morto oltre due anni fa per tubercolosi ed il cadavere era stato seppellito sul versante afghano del confine.
Che sia stata la “fuga di notizie” sulla morte di Omar a congelare i negoziati? Il capo dei talebani è stato ucciso recentemente dall’ala oltranzista dei talebani che rifiutano il dialogo con Kabul?
Ipotesi e speculazioni non meno incredibili della morte in ospedale di Omar rimasta segreta per oltre due anni. Secondo una fonte della sicurezza pachistana la morte del Mullah Omar sarebbe una fandonia diffusa come “speculazione” per ostacolare i prossimi colloqui tra talebani e Kabul che il governo di Islamabad (ma forse non tutti i centri di potere pachistani) sperano sia “più concreto e con più sostanza” di quello del 7 aprile.
Nelle trattative di pace il governo pakistano si gioca la faccia specie dopo che il presidente afghano Ashraf Ghani ha sospeso il massiccio programma di cooperazione militare stipulato da Hamd Karzai con l’India con l’evidente obiettivo di non irritare Islamabad.
I talebani invece possono continuare a prendere tempo in attesa del ritiro totale delle ultime truppe alleate, alla fine di quest’anno e forti dei successi conseguiti contro le truppe governative e i miliziani rivali dello Stato Islamico.
Le notizie degli ultimi giorni riferiscono che i talebani hanno cacciato le milizie dell’ISIS (composte per lo più da arabi, ceceni, pachistani e uzbeki) dal distretto di Khokhi della provincia centrale di Logar mentre nel nord hanno espugnato la base di Qala, nella provincia di Badakhshan, catturando 125 soldati e uccidendone o ferendone altri 25 proseguendo la campagna di rafforzamento nel nord del Paese che prese il via in primavera nella provincia di Kunduz.
Profilo aquilino, barba nera e il viso deturpato dalla perdita dell’occhio destro, che egli stesso si strappò – così vuole la “mitologia” talebana – dopo essere stato colpito da una scheggia di granata, il Mullah Omar è sempre stato un personaggio misterioso che nessun giornalista occidentale ha mai incontrato e sulla cui testa pendeva una taglia di 25 milioni di dollari posta dagli Stati Uniti.
Venerato dai miliziani pare fosse nato nel villaggio di Nodeh, vicino a Kandahar, nel 1959 da una povera famiglia pashtun. Fondatore di una scuola islamica combatté i sovietici nella fazione dei mujaheddin Harakat-i Inqilab-Islami dove venne ferito e conobbe Osama Bin Laden. Il sodalizio tra i due continuò fino all’ospitalità concessa in Afghanistan alle milizie di al-Qaeda e pare sia stato rafforzato quando Omar sposò la figlia ,maggiore di bin Laden e il capo di al-Qaeda prese in sposa una delle figlie del mullah.
Astuto capopopolo, quando nel 1996 i talebani presero Kabul si fece acclamare come “il comandante dei fedeli” e mostrò alla folla un mantello chiuso in un baule, indicandolo come quello appartenuto al profeta Maometto. Da capo del governo talebano impose la più ferrea sharia nel Paese ordinando l’abbattimento delle statue di Buddha scavate nella valle di Bamyan.
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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.