Se anche la Libia ci manda i suoi clandestini
Venghino lorsignori, venghino. C’è posto per tutti. L’Italia spalanca le porte a chi fugge da guerra, miseria o regimi oppressivi, ma anche ai terroristi che cercano di infiltrarsi in Europa, ai disertori che dicono di non voler più combattere il jihad, agli ergastolani fuggiti di prigione. Tutti in Italia ovviamente, unico Stato al mondo e nella storia che non pretende neppure che si presentino documenti o si dichiarino le proprie generalità per superare il confine ed essere accolti. Unico Stato nel mondo e nella storia a mobilitare le forze armate per garantire l’accesso a tutti, anzi no, solo a chi può permettersi di pagare migliaia di euro ai criminali che trafficano esseri umani.
A seguire le cronache ci si accorge di come l’Italia sia davvero diventata un porto di mare, una terra di nessuno in cui chiunque può entrare, ma anche tentare di uscire liberamente (se non li fermano le guardie di frontiera francesi, svizzere e austriache) e dove chiunque verrà accolto, basta che si presenti su un barcone con il biglietto della premiata ditta “Schiavisti e scafisti”, una Spa il cui capitale azionario è detenuto anche da qaedisti Stato Islamico.
Nel 2011, quando al ministero degli Interni c’era il leghista Roberto Maroni, accogliemmo 24 mila tunisini che nulla avevano a che fare con la guerra in Libia pur sapendo che tra essi c’erano almeno 11 mila carcerati fuggiti dalle prigioni durante la “Primavera” di Tunisi. Oggi riusciamo a fare anche di meglio, complice il buonismo dei governi Letta e Renzi, che hanno incoraggiato il notevole incremento dei flussi migratori che in realtà assomigliano a un’operazione di evacuazione in grande stile dell’Africa.
I clandestini si imbarcano su piccoli natanti per essere raccolti in mare dalle flotte europee e trasferiti in Italia dove l’assistenza riservata loro arricchisce un ampio numero di associazioni, cooperative e organizzazioni strettamente legate a quasi tutti gli ambienti politici.
Se nel 2011, anno della guerra in Libia, sbarcarono in Italia in 40 mila, da un paio d’anni si fanno le cose in grande stile: 180 mila l’anno scorso e già più di 85 mila quest’anno.
Al Viminale sono soddisfatti perché il trend è di 170 mila arrivi quest’anno contro i 200 mila previsti! Meglio però aspettare a brindare per il “successo” poiché l’estate è ancora lunga e i flussi potrebbero avere un forte incremento specie in assenza di respingimenti e di interventi militari contro i trafficanti.
Di fronte a numeri così rilevanti ha poco senso lamentarsi dei partner Ue che hanno ridotto da 40 mila a 35 mila il numero di persone che sono disposti ad accogliere tra quelle che sono barcate in Italia e Grecia e hanno diritto allo status di rifugiato: in ogni caso si tratta di una percentuale irrisoria.
E poi sarebbe un vero peccato rovinare il fantastico business dell’accoglienza che fa incassare centinaia di milioni di euro a malavita e lobbies legate alle leadership politiche in Libia come in Italia.
Il conto lo saldiamo noi italiani costretti a pagare una flotta che aiuta i trafficanti ad arricchirsi e un’assistenza di prim’ordine a immigrati clandestini che a nessun titolo avrebbero il diritto di restare in Italia.
Gli scafisti incassano circa 3 mila euro a persona, lo Stato italiano ne paga 35 al giorno per ogni clandestino alle organizzazioni assistenziali che garantiscono vitto, alloggio, cure mediche, Tv in camera o in appartamento, telefonino, schede per telefonare e navigare on line e persino sigarette.
Il tutto ovviamente in un contesto che rispetti i precetti coranici perché in caso contrario i nostri graditi ospiti si arrabbiano e chiedono (e ottengono) di essere trasferiti in luoghi più rispettosi dei loro usi e costumi islamici.
L’operazione “svuota l’Africa” condotta dalle flotte italiana ed europee ha portato sulle nostre coste gente di ogni tipo, ma di cui non sappiamo nulla.
Non ci sono prove (così dice il governo italiano) che tra i clandestini si siano infiltrati terroristi dello Stato Islamico, ma almeno 5 miliziani di Jabhat al-Nusra, braccio di al-Qaeda in Siria, sono sbarcati in Italia e per fortuna intercettati da nostri servizi segreti.
La loro storia? Feriti in combattimento e ricoverati in ospedali turchi, i 5 hanno deciso di disertare raggiungendo il Sudan e poi la Libia con le famiglie. Giunti in Italia hanno ammesso di essere solo di passaggio, intendono raggiungere alcuni parenti in nord Europa.
Prego, si accomodino. Tra la moltitudine di africani che per pagarsi il viaggio sui barconi hanno venduto case, attività lavorative e beni di famiglia o che hanno dovuto lavorare un anno in Libia per racimolare la cifra necessaria a “comprare il biglietto” sembra ci sia qualche lavoratore straniero residente in Libia che non aveva nessuna intenzione di rischiare la vita in mare ma è stato costretto a imbarcarsi dai miliziani fedeli al governo islamista di Tripoli.
É il caso di un nigerino di 35 anni che lavorava in Libia come falegname la cui storia è stata raccontata da ll Giornale. «I militari libici mi hanno fermato per strada, mi hanno preso il braccio con la forza e mi hanno obbligato a salire sulla barca, senza pagare niente».
Una vicenda che meriterebbe approfondimenti, ma che sembra confermare gli stretti rapporti tra il governo islamista di Tripoli e i trafficanti e potrebbe indicare che i barconi costituiscono anche il metodo più sbrigativo con cui la Libia si libera di immigrati clandestini sempre più ingombranti.
Del resto, a proposito di paradossi, proprio le autorità di Tripoli hanno fermato nei giorni scorsi 110 migranti clandestini africani che si preparavano a salpare su una carretta del mare dalle spiagge di Sabrata. Sarebbero diverse migliaia i clandestini reclusi in Libia in attesa di essere rimpatriati e la scorsa settimana il governo laico di Tobruk ne aveva rimpatriati 27 confermando che persino i libici espellono gli immigrati illegali mentre solo l’Italia li accoglie tutti.
Certo Renzi aveva parlato di rimpatriare i migranti economici (che sono la grandissima parte dei clandestini), ma poi al ministero degli Interni hanno fatto sapere che senza accordi con i singoli Paesi di provenienza non si può mandare a casa nessuno.
In realtà basterebbe minacciare il blocco agli aiuti economici che la Ue e Roma forniscono agli Stati africani per “incoraggiarli” a riprendersi la loro gente.
Invece di costosi e difficili rimpatri, sarebbero molto più efficaci i respingimenti dei clandestini direttamente sulle coste libiche: quei “respingimenti assistiti” di cui molto abbiamo scritto. Oltre a elementari considerazioni di carattere politico, economico, sociale, sanitario e di sicurezza, a indurre il governo italiano a scoraggiare l’afflusso di centinaia di migliaia di persone, per lo più islamiche, dovrebbe contribuire anche l’ultimo rapporto della Banca d’Italia sui finanziamenti al terrorismo jihadista provenienti dall’Italia.
Moschee, onlus, associazioni e fondazioni hanno movimentato fiumi di denaro a favore dei terroristi islamici, con versamenti di contante e operazioni con l’estero che non rientrano nella «movimentazione ordinaria dei rapporti o con lo scopo dichiarato dall’associazione» effettuati da centri islamici e documentati nel maggio scorso dall’’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia ( il rapporto integrale-PDF) .
Nel primo trimestre del 2015 sono stati segnalati 74 casi di finanziamento al terrorismo”, «più del triplo» rispetto allo stesso periodo del 2014 si legge nel rapporto.
Dal 2011 sono state 822 le segnalazioni di cui solo il 30% è stato archiviato, ma il rapporto ammette che i casi rilevati sono la punta di un iceberg. «Il numero contenuto di segnalazioni», si legge, «discende dal fatto che il fenomeno è difficilmente identificabile». Evidentemente per il governo italiano vale comunque la pena spalancare le porte dell’accoglienza indiscriminata e costruire altre moschee, ovviamente tutto a spese nostre.
Fonte: Nuova Bussola Quotidiana
Foto. Askanews, AP, Marina Militare
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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.