Transnistria e Armenia: i prossimi focolai

In un precedente articolo di “Analisi Difesa” si è accennato alla delicata situazione che si sta venendo a creare nell’autoproclamata -ma non riconosciuta- “Repubblica Moldava di Prednestrovia” (PMR), più nota come Transnistria.Si tratta di un piccolo territorio di circa 4 mila chilometri quadrati, all’incirca delle dimensioni del Molise, a forma di striscia, e che si trova interamente racchiuso tra Moldavia ed Ucraina, con una popolazione di mezzo milione di abitanti proporzionalmente suddivisi pressoché in eguale misura tra moldavi, ucraini e russi.

La Transnistria ha proclamato la sua indipendenza alla fine del 1990 provocando un conflitto locale, conclusosi nel 1992 con un accordo tripartito tra la stessa PMR, la Moldavia e la Federazione Russa, garantito dallo schieramento di una forza di interposizione a leadership russa.

Successivamente, nel 1993, i negoziati sono ripresi con la partecipazione anche di OSCE ed Ucraina, quest’ultima in veste di garante assieme alla Russia, fino ad arrivare alla situazione attuale, sostanzialmente basata sul mantenimento del precario status quo originario.

Una soluzione definitiva non è stata raggiunta nonostante gli sforzi internazionali che, negli anni, hanno visto una partecipazione negoziale allargata anche a UE, USA e Romania, questi ultimi in appoggio alla posizione della Moldavia, che considera la Transnistria un proprio territorio cui eventualmente concedere una sorta di autonomia.

Lo status quo, come si è detto, include la presenza di una forza di interposizione russa attualmente di circa 1.300-1.500 uomini che vengono turnati ogni 6 mesi. Data la posizione geografica della Transnistria, il loro mantenimento e la loro rotazione avveniva, fino a poco tempo fa, con il transito attraverso i territori o gli spazi aerei di Moldavia o Ucraina. Ora non più.

Come riporta il sito “Eurasianet” , le autorità moldave hanno cominciato a frapporre ostacoli insormontabili. Attenendosi alla lettera degli accordi del 1992, ritengono che i militari russi effettivamente appartenenti alla forza d’interposizione (“Joint Control Commission”) siano meno di 400 e che gli altri 1.000, pur operando di supporto all’operazione, non godono di tale status e quindi non hanno titolo al transito.

Ma non solo. Anche per quelli appartenenti alla “Joint Control Commission” sono sorte difficoltà irrisolvibili in quanto la Moldavia pretende una notifica preventiva dei movimenti con almeno un mese di anticipo e l’indicazione di dati militari sensibili che i Russi non hanno però intenzione di fornire.

Sul versante ucraino la situazione si presenta ancora peggiore.

Con una legge promulgata lo scorso 8 giugno, il Presidente ucraino Petro Poroshenko ha formalmente annullato  cinque preesistenti accordi con la Russia ed in particolare quello relativo al transito dei militari della “Joint Control Commission”.

Inoltre ha autorizzato il dispiegamento di batterie di missili anti-aerei S-300 nella regione di Odessa, in grado di interdire ai russi la possibilità di collegare la Transnistria con ponte aereo.

Infine ha fatto la sua comparsa sulla scena l’ex Presidente della Georgia Mikhail Saakashvili (a sinistra) balzato alla ribalta mondiale nel 2008 quando, come qualcuno ricorderà, inviò truppe georgiane ad occupare l’autonoma regione dell’Ossezia del Sud provocando l’intervento militare di Mosca.

Divenuto Presidente nel 2004 dopo una “Rivoluzione delle Rose”, è rimasto in carica fino al 2013 per poi trasferirsi negli USA e giungere finalmente in Ucraina, dove è stato di recente nominato dal Presidente Poroshenko governatore della regione di Odessa (la città in cui nel 2014 è avvenuta la tristemente nota strage di civili filo-russi). Contestualmente ha ottenuto la cittadinanza ucraina, eludendo così la richiesta di estradizione spiccata nel frattempo contro di lui dalla Georgia per reati di abuso e malversazione. Saakashvili, figura certamente controversa, è comunque personalità di spicco, tant’è che è insignito della Legion d’Onore francese ed onorificenze di vari paesi (Serbia, Kazakistan, Moldavia, Polonia, Estonia).

La sua attuale nomina non poteva quindi passare inosservata tanto più che il Presidente Poroshenko ha esplicitamente ammesso, secondo quel che riporta “The Moscow Times”, che “Saakashvili torna utile per la sua esperienza in un contesto analogo, quello con l’Ossezia del Sud, nonché per la sua capacità nel rapportarsi con i media internazionali sia prima che durante l’attacco georgiano”.

Anche i Russi vedono un collegamento con la precedente situazione in Ossezia, e ritengono che Saakashvili sia stato scelto per svolgere azioni di qualche genere in Transnistria per provocare un loro intervento e, in corrispondenza ad esso, un coinvolgimento occidentale a fianco dell’Ucraina.

Nonostante la serietà della situazione, in quest’ultimo periodo il livello di guardia si è alzato ancora di più. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa russa “Sputnik” , l’Ucraina starebbe infatti trasferendo truppe e armamento pesante ai confini della Transnistria, ipotesi in qualche modo indirettamente confermata dal neo-Governatore Saakashvili, che ha parlato in termini riduttivi di pattugliamenti militari lungo i confini allo scopo di combattere il contrabbando.

Per ora Mosca ancora tace. Del resto la situazione in prossimità delle sue frontiere è decisamente in evoluzione come dimostra quel che accade attualmente nella “amica” Armenia con l’ennesima “rivoluzione colorata”, ( foto sotto) che segue quella “delle rose” di Saakashvili in Georgia, quella “arancione” di Julija Tymošenko in Ucraina e quella di Zoran Zaev in Macedonia,ed a cui si potrebbero aggiungere quelle altrettanto simili di “Piazza Taksim” ad Istanbul o quella “degli ombrelli” a Hong Kong.

Si tratta di manifestazioni anti-governative che hanno luogo nella capitale, in una particolare piazza che ne diviene simbolo, e che sfociano in sommosse permanenti fino all’occupazione del palazzo del governo. In modo molto sbrigativo vengono definite “rivoluzioni spontanee”, nonostante sia ben difficile che una partecipazione di massa possa svilupparsi senza una mobilitazione, un coordinamento ed una leadership di riferimento.

Nel caso dell’Armenia, mentre i commentatori occidentali vedono una protesta contro l’aumento delle bollette elettriche, da parte russa  si vede invece un tentativo esterno di provocare una rottura tra Armenia e Russia per “espellere” quest’ultima dal Caucaso”.

Il Primo Ministro armeno Ovik Abramyan (FOTO 6) parla apertamente di una piano per destabilizzare il paese, ed in modo ancora più esplicito Leonid Slutsky (presidente della commissione della Duma per la “Comunità degli Stati Indipendenti” associati alla Russia) riferisce addirittura della presenza di “istruttori stranieri”  allo scopo di provocare una situazione in stile Euro Maidàn. A suo avviso questo non si verificherà, grazie anche ai severi interventi delle forze dell’ordine, riguardo i quali è intervenuta l’Ambasciata degli Stati Uniti che, in una nota, ha espresso “preoccupazione per l’uso eccessivo della forza contro i dimostranti”.

Foto: RIA Novosti e AFP

Padovano, classe 1954, è Colonnello dell'Esercito in Ausiliaria. Ha iniziato la carriera come sottufficiale paracadutista. Congedatosi, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza ed è rientrato in servizio come Ufficiale del corpo di Commissariato svolgendo incarichi funzionali in varie sedi. Ha frequentato il corso di Logistic Officer presso l'US Army ed in ambito Nato ha partecipato nei Balcani alle missioni Joint Guarantor, Joint Forge e Joint Guardian.

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