Escalation controllata sul fronte ucraino

Come tutti gli incendi che si rispettino, la guerra in Ucraina divampa soprattutto in estate, anche se probabilmente si tratta di un fuoco di paglia, solo più esteso del solito.

Nelle ultime settimane si sono intensificati i bombardamenti nell’est del Paese, su tutta la linea del fronte e in particolare nella zona che divide Donetsk e Mariupol (più precisamente da nord di Gorlivka a sud di Mariupol), il porto che costituirebbe il prossimo obiettivo dei ribelli, data la sua importanza strategica per gettare le basi di un eventuale collegamento tra il Donbass occupato e la Crimea, annessa alla Russia dopo il referendum del marzo 2014.

Almeno 58 le violazioni dell’inesistente tregua negli ultimi 6 giorni, centinaia e centinaia nelle ultime settimane. Oltre ai colpi di artiglieria pesante, aumentano anche il numero dei morti e dei feriti da ambo le parti, e le accuse reciproche.

Le posizioni però rimangono quelle ormai consolidate da mesi, e a rimetterci di più sembrano essere gli osservatori dell’OSCE che registrano un numero di molestie “senza precedenti”, attacchi diretti  volti a sabotare la missione di monitoraggio che vanno dall’incendio di veicoli agli attacchi veri e propri anche con armi di grosso calibro. “Gli incidenti sono avvenuti da entrambe le parti della linea di contatto, ma in particolare sul lato dei ribelli” ha detto il capo della missione.

La Nato continua a lanciare vaghi moniti ai separatisti: “Ogni tentativo da parte dei ribelli sostenuti dalla Russia di conquistare più territorio in Ucraina sarà inaccettabile per la comunità internazionale” si legge in una nota diffusa al termine di una riunione del comitato politico che riunisce i rappresentanti dei 28 membri dell’Alleanza Atlantica.

Questi moniti spaventano solo gli ucraini sul campo di battaglia, che lamentano di non poter contrattaccare efficacemente per mancanza di attrezzature necessarie; i soldati infatti di aiuti concreti non ne ricevono, non hanno ancora ottenuto nemmeno il promesso radar mobile che consentirebbe loro di monitorare i veicoli e l’artiglieria oltre la linea dell’orizzonte.

Secondo il Wall Street Journal, il Pentagono è pronto a fornire all’Ucraina queste armi, ma la Casa Bianca sta bloccando le consegne, presumibilmente per evitare d’irritare il governo russo che dovrebbe collaborare in altri settori di importanza geostrategica, in Iran e in Siria.

Il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier definisce la situazione “esplosiva” e aggiunge: “Se le due parti in conflitto non tornano al processo di pace, una nuova escalation militare potrebbe innescarsi in qualsiasi momento”.

È ormai quasi un anno che si attende un’espansione del conflitto a tutta l’Europa orientale, come un incubo che sembrerebbe concretizzarsi da un momento a un altro, ma che nei fatti risulta più un ossessione che una previsione.

Secondo il generale Borys Kremenetsky, capo del Centro Comune per il Controllo e il Coordinamento della Tregua e della Stabilizzazione della linea del fuoco in Donbass, l’escalation a cui i separatisti hanno dato avvio negli ultimi giorni non è volta a ottenere un avanzamento delle posizioni, ma a creare discredito da parte della popolazione nei confronti dell’esercito ucraino e delle autorità locali; lo confermerebbe il fatto che gli obiettivi militari non vengono quasi mai centrati e che, il più delle volte, sono i civili ad essere coinvolti ed estenuati.

Sembrerebbero confermarlo anche le recenti pressioni del presidente russo Vladimir Putin sui responsabili della costruzione del ponte sullo stretto di Kerch (che unirà direttamente la Crimea alla Russia): “è ovvio che i porti marittimi della Crimea non saranno pienamente operativi finché il ponte sullo stretto di Kerch non sarà costruito. Io mi aspetto assolutamente che i tempi di costruzione siano rispettati.

Questo asset strategico deve essere completato entro la fine del 2018”, ha affermato in una riunione a Novorossjisk.

Putin, dunque, non sarebbe interessato alla conquista di Mariupol da parte dei separatisti, sia perché per creare un collegamento via terra tra Donbass e Crimea la presa del porto non sarebbe sufficiente (bisognerebbe accaparrarsi anche buona parte della regione di Kherson), sia perché questo vorrebbe dire farsi carico delle regioni dell’Ucraina orientale che economicamente per il Cremlino costituirebbero solo un peso, oltre che una bega politica con conseguente ulteriore incrinatura dei rapporti con la comunità internazionale.

Una svolta poco auspicabile per il presidente russo dunque, ma una situazione che così com’è gli garantisce il consenso più alto di sempre: secondo il centro sondaggi Levada, infatti, dopo il calo di popolarità registrato nel 2012 (60%), Putin è risalito nelle grazie di 9 russi su 10 (87%), proprio grazie all’annessione della Crimea e alla gestione della crisi in Ucraina.

Se il conflitto terminasse il governo ucraino  dovrebbe rendere conto alla popolazione dei precari bilanci statali, del fallimento delle politiche sociali, della corruzione che continua a dilagare, oltre che affrontare problemi come lo scioglimento dei gruppi armati politicamente scomodi finora trattenuti in prima linea dal conflitto.

La guerra ha distolto i rivoluzionari ucraini dal rinnovamento della classe politica e dirigente.

Fonti governative confermano che il conflitto si protrarrà a lungo e i militari sul campo affermano di non ricevere ordini che gli consentano di riconquistare territorio.

In uno scenario di questo tipo, l’apparente incoscienza europea di fronte a un conflitto alle sue porte, si trasformerebbe in consapevole accettazione nei confronti di una guerra che fatica a congelarsi.

 

Foto AFP, AP, Reuters, Cremlino, TMNews

Valentina CominettiVedi tutti gli articoli

Nata a Roma nel 1989, si laurea con Lode in Scienze Politiche e della Comunicazione alla Luiss Guido Carli. Ha frequentato diversi master di giornalismo e collaborato con diverse testate e con Radio Vaticana. Si occupa di sicurezza e geopolitica, ha seguito sul campo il conflitto ucraino e ha realizzato reportage nell'area balcanica. Attualmente vive in Israele dove è ricercatrice presso l'International Institute for Counterterrorism.

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