La crescente intesa tra russi e sauditi…nonostante la Siria

L’offensiva dei ribelli siriani dell’Esercito della Conquista punta al cuore della regione della costiera abitata dagli alawiti, la componente sciita che esprime il regime di Bashar Assad.

Le battaglie in corso da giorni nella pianura di al-Ghab, a pochi chilometri dalle città costiere di Latakya e Tartus (quest’ultima ospita una base militare russa) evidenziano la nuova strategia messa a punto da Arabia Saudita, Qatar e Turchia, gli sponsor dell’armata ribelle più potente dopo quella dello Stato Islamico.

L’Esercito della Conquista, le cui roccaforti sono a ridosso del confine turco nella zona di Idlib, raccoglie infatti le milizie salafite, dei Fratelli Musulmani e soprattutto i qaedisti del Fronte al-Nusra, ufficialmente “sdoganati” da turchi e arabi come forza legittima da sostenere contro il governo di Damasco nel silenzio-assenso di Stati Uniti e Occidente.

Paradossale che Washington e gli europei non abbiano nulla da eccepire sull’appoggio fornito da Paesi alleati nella Coalizione anti-ISIS a milizie dichiaratamente jihadiste di cui fa parte la componente siriana di al-Qaeda.

Eppure meno di un anno or sono i jet statunitensi che diede il via ai raid contro l’ISIS in Siria colpirono anche le milizie di al-Nusra e due settimane or sono furono proprio i qaedisti a sopraffare e poi assimilare il primo reparto di ribelli “moderati” addestrato e armato dai consiglieri militari statunitensi in Turchia.

L’offensiva dell’Esercito della Conquista, che conferma ancora una volta che l’unica alternativa ad Assad è un regime islamico gestito da qaedisti e Stato Islamico, è concentrata sulla regione costiera, caposaldo del regime di Bashar Assad difeso da milizie filogovernative e dai  pasdaran iraniani.

L’attacco cade in un momento difficile per le forze siriane costrette dalle perdite subite (circa 90 mila uomini dall’inizio della guerra, nel 2011, secondo stime dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong con sede a Londra ma vicina ai ribelli) e dalle difficoltà ad arruolare nuove reclute a ritirarsi da diversi settori per concentrare le truppe in alcune aree ritenute strategiche.

Nei giorni scorsi l’Arabia Saudita aveva ammonito la Russia, che insieme all’Iran sostiene Damasco, annunciando che “non c’è spazio” per Assad nel futuro della Siria. Il ministro degli Esteri saudita, Adel Al-Jubeyr, dopo un incontro a Mosca con il suo omologo russo, Serghiei Lavrov (nella foto sotto) , aveva precisato che la posizione di Riad nella crisi siriana “non è cambiata” sottolineando che con Mosca “ci sono dei disaccordi su alcuni temi” e auspicando un “riavvicinamento nel corso delle prossime consultazioni”.

L’aspetto nuove nello scenario strategico mediorientale è rappresentato dall’intesa cordiale tra Mosca e Riad che ha posto fine ad anni di tensioni determinate proprio dalle differenti posizioni sulla crisi siriana. Nonostante gli investimenti per decine di miliardi di dollari effettuati dai fondi sovrani sauditi in Russia, Mosca non sembra disposta a cedere sul fronte siriano.

“Diversi nostri partner pensano di doversi mettere d’accordo in anticipo perché Assad lasci il suo posto dopo un periodo di transizione. La Russia  non accetta questa posizione” ha detto Lavrov dopo un incontro con il suo omologo iraniano Javad Zarif.

In realtà il riavvicinamento tra sauditi e russi sta avvenendo nonostante i disaccordi sul futuro di Damasco.

Benché i russi siano tra i migliori alleati dell’Iran, ai quali Mosca sta per vendere il sistema di difesa aerea e antimissile S-300, i sauditi cercano relazioni strategiche alternative a quelle “storiche” con gli Stati Uniti dopo il “tradimento” perpetrato da Barack Obama con l’accordo sul nucleare iraniano considerato da molti (sauditi e israeliani in testa) un passo preliminare per consentire a Teheran di possedere armi nucleari.

Per questo il riavvicinamento tra Mosca e Riad sembra destinato ad avere ripercussioni anche sul delicato fronte delle forniture militari.

Innanzitutto Riad sta pagando il conto del pesante programma di riarmo varato dall’Egitto, baluardo contro l’ISIS e soprattutto contro i Fratelli Musulmani, dove  Abdel Fattah al-Sisi  (foto a lato) ha scalzato il presidente Mohamed Morsi esponente di spicco della “fratellanza”), ritenuti in Arabia Saudita la principale minaccia alla stabilità e agli interessi del regno

Il conto dei 24 cacciabombardieri Rafale e delle 5 navi da guerra francesi destinati al Cairo (oltre 6 miliardi di euro) è stato saldato da sauditi ed Emirati Arabi Uniti che pagheranno almeno 5 miliardi di dollari per i 48 Mig 29 e le navi che al-Sisi ha ordinato a Mosca.

In più le forze strategiche saudite, che già dispongono di missili balistici a medio raggio cinesi, potrebbero presto dotarsi di missili balistici a corti raggio Iskander-E che costituirebbero il primo sistema d’arma “made in Russia” a venire adottato nel regno arabo che occupa da quest’anno il quarto posto nella classifica dei Paesi che più spendono per la Difesa con 60 miliardi di dollari, dietro solo a USA, Cina e Russia.

La diffidenza nei confronti dell’ambigua politica statunitense ha indotto quindi Riad (e il Cairo) a diversificare le fonti di approvvigionamento militare.  “L’Arabia Saudita intende intensificare le relazioni con la Russia in tutti gli ambiti, anche nel campo militare” ha detto al-Jubeir al termine dell’incontro con Lavrov, confermando che sono in corso “intensi contatti fra delegazioni militari e specialisti di entrambe i paesi che stanno discutendo di una vasta gamma di tipi di armamenti russi, compresi i sistemi missilistici Iskander”.

Come previsto da molti osservatori, l’accordo sul nucleare iraniano sta determinando un’ulteriore escalation nella corsa al riarmo già da anni in corso in Medo Oriente. Se l’intesa tra Mosca e Riad per ora sembra potersi sviluppare nonostante i dissidi sulla Siria, questo non significa che Bashar Assad possa dormire sonni tranquilli.

Se il peso dei rapporti con  Riad dovesse assumere proporzioni ancora più rilevanti, in Russia qualcuno potrebbe valutare come “sacrificabile” l’alleanza con Damasco. Riad del resto può offrire molto a Mosca soprattutto in termini di controllo del prezzo del greggio, le cui quotazioni limitano oggi in modo drastico i guadagni dell’export  russo come di quello saudita.

Già nel 2013 i sauditi proposero un accordo bilaterale basato sul mantenimento di quotazioni del greggio intorno ai 100 dollari al barile in cambio della rinuncia russa a sostenere Assad. Mosca rifiutò per fedeltà all’alleanza e coerenza nella lotta al terrorismo islamico che colpisce anche il Caucaso russo ma forse anche per conservare le sue posizioni nelle forniture di gas all’Europa.

Vale la pena ricordare che la guerra civile siriana esplose (forse non a caso) pochi mesi dopo il rifiuto di Damasco di consentire il passaggio sul suo territorio di un gasdotto che avrebbe portato il gas del Qatar (oggi esportato per lo più in Asia) sulle sponde del Mediterraneo.

Un’ opera che si sarebbe posta, e si porrebbe ora, come diretto concorrente del gas russo sul mercato europeo specie oggi che Mosca pianifica di rifornire con  nuovi gasdotti Turchia e Balcani prima che entrino sul mercato i ricchi giacimenti rinvenuti nel Mediterraneo Orientale tra Cipro, Israele, Libano e Turchia. Quel rifiuto di cinque anni or sono dimostrò la fedeltà di Damasco all’alleato russo ma è costato caro a Bashar Assad. Un gesto che evidentemente a Mosca non è stato dimenticato.

da Nuova Bussola Quotidiana

Foto AFP, ak-Ahram, AP, Alberto Scafella

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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