Obama si conferma il miglior alleato dei jihadisti
Le pressioni di Washington su greci e bulgari hanno avuto successo e i velivoli cargo militari che da giorni stanno portando mezzi e consiglieri militari in Siria per rafforzare l’esercito di Bashar Assad non possono più sorvolare lo spazio aereo dei due Paesi europei ma raggiungono la Siria sorvolando Iran e Iraq.
Con il rafforzamento delle posizioni militari russe in Siria c’è il rischio di un “confronto” con le forze della coalizione internazionale guidata dagli Usa, ha detto con estremo sprezzo del ridicolo il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest.
“Gli Stati Uniti sono preoccupati per le notizie sul dispiegamento da parte della Russia di ulteriore personale militare e di aerei in Sira – ha affermato Earnest – queste azioni potrebbero far aumentare il numero dei morti, potrebbero far aumentare i flussi di rifugiati e il rischio di un confronto con la coalizione anti-Isis che sta operando in Siria”.
Se venisse intensificato il sostegno militare di Mosca al governo siriano, ha rincarato Earnest, “sarebbe destabilizzante e controproducente per gli interessi della comunità internazionale”.
Frasi che confermano come l’amministrazione Obama sia in stato confusionale oppure, come è più probabile, persegua un caos di cui stiamo già pagando il conto noi europei. Un caos non certo casuale ma perseguito dall’Amministrazione Obama fin dal ritiro affrettato dall’Iraq e dall’Afghanistan, con la guerra contro Gheddafi in Libia, il “golpe” del Maidan in Ucraina e con la blanda e inconcludente guerra della Coalizione contro l’ISIS.
Bashar Assad è in guerra con ribelli islamisti, qaedisti e Stato Islamico e ha finora consentito ai jet della Coalizione di sorvolare senza ostacoli il suo spazio aereo accettando una forte e umiliante limitazione alla sua sovranità. Se Washington teme che gli aiuti russi possano minacciare la Coalizione significa che gli alleati prevedono di attaccare Damasco e non l’ISIS che in un anno hanno colpito in modo così modesto da consentire ai jihadisti di conquistare intere province siriane.
Un dubbio più che lecito se si considera che a Washington, Londra e Parigi (i tre protagonisti della disastrosa campagna libica del 2011) non si perde occasione per dichiarare che la soluzione al conflitto siriano passa dalla sconfitta dell’ISIS e del regime di Bashar Assad.
Ostacolando le forniture di armi russe a Damasco, gli USA e l’Occidente finiscono ancora una volta per sostenere i jihadisti (un fatto sconcertante specie in concomitanza con il 14° anniversario degli attentati dell’ 11 settembre 2001) che Turchia e monarchie del Golfo vorrebbero vedere dominare la Siria.
Se così non fosse non si spiegherebbe perché Emirati Arabi, Arabia Saudita e Qatar hanno inviato 30 mila militari in Yemen a combattere i ribelli sciiti Houthi mentre contro i sunniti dell’ISIS hanno effettuato solo poche sporadiche azioni aeree per lo più senza l’impiego di armi.
Quanto ai riflessi sui flussi di immigrati diretti illegalmente in Europa, meglio ricordare che i siriani in fuga provengono per lo più dalle zone “liberate” da ISIS , qaedisti e salafiti e solo in minima parte (per lo più giovani che vogliono sottrarsi alla leva militare) dal quel 25 per cento circa di territorio controllato dal regime ma abitato da 12 milioni di siriani.
Su 18 milioni di abitanti della Siria di prima della guerra 4 milioni sono fuggiti all’estero e 7 milioni sono sfollati all’interno del Paese.
Se la Siria venisse “liberata” diventerebbe uno Stato islamico retto dalla sharia imposta da ISIS e al-Qaeda e i fuggitivi diretti in Europa supererebbero i 10 milioni facendo impallidire per dimensioni anche l’esodo dei sud vietnamiti che nella seconda metà degli anni ’70 scapparono con ogni mezzo dal regime comunista.
Non saranno quindi le armi russe a far aumentare i flussi migratori. Anzi, il lorio impiego a difesa della fascia costiera ha l’obiettivo di proteggere le popolazioni sciite di quella regione (roccaforte del regime) e la base navale russa di Tartus dai jihadisti dell’Esercito della Conquista (che riunisce salafiti, fratelli musulmani e qaedisti con il supporto turco, saudita e del Qatar) che premono sulle alture che circondano il porto di Latakya.
Ostacolare il flusso di armi russe in questa regione, come fanno americani, turchi e arabi col complice silenzio quasi unanime degli europei, significa schierarsi con i tagliagole islamici e favorire il massacro di centinaia di migliaia di siriani sciiti. Del resto affermare, come fa la Casa Bianca, che le armi russe destabilizzerebbero la Siria è ridicolo.
La Siria è già da tempo a pezzi anche a causa di turchi, arabi e americani che da anni armano e finanziano i ribelli. Abbiamo già dimenticato che l’anno scorso le milizie dell’ISIS hanno conquistato Mosul e il nord dell’Iraq imbracciando le armi che arabi e CIA avevano fatto arrivare attraverso la Turchia ai cosiddetti “ribelli moderati” siriani?
Se il nemico fosse davvero il terrorismo islamico, più delle armi e dei consiglieri militari russi l’Occidente dovrebbe preoccuparsi dei successi dell’ISIS che conquista posizioni in tutto il Paese inclusi i sobborghi di Damasco e dell’offensiva dei qaedisti che hanno preso la base aerea di Abu al Dohur assediata da due anni.
In Europa segnali di coerente pragmatismo giungono da Spagna e Austria. A Teheran il ministro degli esteri spagnolo, Josè Manuel Garcia Margallo, ha detto senza mezzi termini che “è giunto il momento di avviare negoziati con il regime di Bashar al Assad”.Gli ha fatto eco da Dubai il collega austriaco Sebastian Kurz:”abbiamo bisogno di un approccio pragmatico che includa il coinvolgimento di Assad nella lotta contro il terrore dell’Isis” aggiungendo che contro l’ISIS vanno coinvolti anche Russia e Iran.
(con fonte Nuova Bussola Quotidiana)
Foto: Casa Bianca, AP, AFP e Cremlino
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.