I talebani avanzano verso le zone italiane

di Enrico Piovesana da Il Fatto Qotidiano del 10 ottobre 2015

Dopo la conquista di Kunduz da parte dei taliban, il Pentagono sta chiedendo lo stesso ai principali alleati della missione Nato ‘Resolute Support’ di interrompere il ritiro: i tedeschi, che comandano il settore nord, e gli italiani, che mantengono il controllo del settore ovest. Michele Risi, comandante della Brigata alpina Julia: “Abbiamo rischiato di perdere due distretti ma alla fine gli afgani, con i nostri consigli tattici, sono riusciti a respingere la minaccia”

Solo dieci mesi fa il ministro della Difesa Roberta Pinotti annunciava in Parlamento il ritiro del contingente italiano dall’Afghanistan entro la fine del 2015: “Alla fine di ottobre 2015 terminerà la nostra presenza nell’area di Herat e rientrerà gran parte del contingente.

A fine anno rimarranno in Afghanistan, nell’area della capitale, circa 70 nostri militari”. Invece sul fronte afgano ci sono ancora 800 soldati, forze speciali ed elicotteri da combattimento, e ieri il ministro, dopo il vertice Nato a Bruxelles, ha preannunciato che “l’Italia valuterà se mantenere la propria missione in Afghanistan” come richiesto da Washington.

Dopo la clamorosa conquista di Kunduz da parte dei talebani, il generale americano John Campbell, comandante della missione Nato ‘Resolute Support’, ha chiesto a Obama di interrompere il ritiro delle 10mila truppe Usa dall’Afghanistan e il Pentagono sta chiedendo lo stesso ai principali alleati della missione: i tedeschi, che comandano il settore nord (compresa Kunduz), e gli italiani, che mantengono invece il comando del settore ovest (Herat, Farah, Badghis e Ghor).

Le truppe italiane dovrebbero restare in Afghanistan per aiutare l’esercito afgano a contrastare la riscossa dei talebani, che minaccia ora anche il settore ovest di nostra competenza.

Senza escludere l’impiego diretto, su richiesta delle autorità afgane o a protezione del contingente stesso, delle residue componenti ‘combat ready’ presenti sul terreno, vale a dire l’ultimo distaccamento operativo di forze speciali della Task Force 45 rimasto ad Herat – come accaduto per le forze speciali tedesche che hanno combattuto a Kunduz pochi giorni fa – e i due elicotteri Mangusta della Task Force Fenice che, come si legge sul sito della Difesa, mantengono ancora compiti di “supporto di fuoco alle forze terrestri”.

L’eventualità che una minaccia militare talebana si verifichi anche nelle città dell’Afghanistan occidentale, come Herat e Farah City, è tutt’altro che remota.

Da mesi, infatti, i mujahedin afgani guidati mal nuovo emiro Mullah Mansour, succeduto al defunto Mullah Omar, stanno infatti rapidamente avanzando anche in diversi distretti delle province occidentali sotto controllo del comando italiano (il Taac-W, Train Advise Assist Command – West) e hanno ormai conquistato posizioni strategiche a poche decine di chilometri sia da Farah che da Herat, sede della base italiana di Camp Arena.

Già a maggio, durante l’offensiva di primavera, i talebani avevano preso il controllo dello strategico distretto di Jawand, nella provincia nord-occidentale di Badghis – dove gli italiani hanno combattuto per anni sul fronte di Bala Murghab.

Solo dopo giorni di violenti scontri, l’esercito afghano, assistito dai consiglieri militari italiani dell’8° Reggimento Alpini di Cividale del Friuli, è riuscito a riprendere il controllo della zona. Respinti da Jawand, i talebani si sono diretti a est attaccando subito il confinante distretto di Charsadda, che ricade sotto la provincia di Ghor, anch’essa sotto controllo del Comando italiano. Anche qui gli afgani, con l’aiuto degli italiani, hanno respinto l’offensiva.

Di queste battaglie ha dato conto lo stesso generale Michele Risi, comandante della Brigata alpina Julia, appena rientrata dall’Afghanistan dopo sei mesi di dispiegamento.

“Abbiamo rischiato di perdere due distretti ma alla fine gli afgani, con i nostri consigli tattici, sono riusciti a respingere la minaccia”. Il generale triestino, forse per non creare allarmismi, non ha invece fatto cenno alla preoccupante avanzata talebana che da mesi si registra anche nella provincia di Herat, dove si trova la base del contingente italiano.

Lo scorso giugno i talebani hanno sferrato massicci attacchi, con centinaia di combattenti e armi pesanti, nei distretti di Koshki Kohna e di Karokh, poche decine di chilometri a nord-est della città di Herat, Nel corso dell’estete, tra luglio e agosto, altri attacchi sono stati condotti nel distretto di Shindand.

La più recente conquista talebana nel settore italiano è avvenuta pochi giorni fa nella provincia occidentale di Farah, teatro negli anni scorsi di molte sanguinose battaglie combattute dagli italiani (Pusht Rod, Bala Buluk, Bakwa e Gulistan erano i fronti più caldi).

Il generale Risi e le sue ‘penne nere’ friulane erano da poco rientrati in patria – avvicendati dai fanti siciliani della Brigata meccanizzata Aosta al comando del generale Mauro Ubaldi – quando a fine settembre i talebani, durante la grande offensiva generale culminata con la presa di Kunduz – hanno assaltato in forze e conquistato il distretto di Kakhi Safid, solo venti chilometri a nord del capoluogo Farah.

Al momento i talebani hanno ancora il pieno controllo del distretto. Dopo 14 anni di missione, costata all’Italia 54 caduti, 200 feriti (contando solo quelli più gravi, i feriti italiani sono oltre 650 inclusi quelli lievi -NDR) ne oltre 5 miliardi di euro, la campagna afgana sembra destinata a durare ancora a lungo. Speriamo non per sempre, come suggerisce il motto del comando italiano di Herat: “I vincitori non lasciano mai e chi lascia non vince mai”.

Foto: Reuters, Resolute Support, Tolo News, AP

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