L’ attitudine a difendersi ai tempi dell'Isis
L’irenismo è oggi predominante in vasti strati delle opinioni pubbliche europee: ne hanno determinato la più larga diffusione coloro che hanno saputo conquistare una solida egemonia culturale nelle nostre società. E tuttavia i fatti smentiscono ancora una volta l’utopia, tanto che il modello realistico e competitivo continua e continuerà ad informare il sistema delle relazioni internazionali.
Si tratta di una tendenza riconosciuta non solo negli ambienti più conservatori. Ne deve essere consapevole anche Papa Bergoglio, che pure vasta simpatia suscita tra i pacifisti. Di ritorno dalla Corea egli ebbe a dichiarare che “Siamo entrati nella terza guerra mondiale. Solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. San Giovanni Paolo II, certamente con maggiore esperienza del suo successore gesuita sulla scena delle tragedie belliche e della Guerra Fredda, aveva duramente sperimentato di persona che i conflitti non si erano conclusi con i Russi a Berlino e con le bombe di Hiroshima e Nagasaki.
E questo traspariva dal tratto con cui, divenuto Pontefice, si relazionava con i capi delle nazioni e da taluni suoi interventi sulla necessità che i popoli reagiscano quando attaccati ingiustamente ed in modo efferato.
Non è solo un problema di operazioni militari, simmetriche o asimmetriche. Il confronto tra Stati può anche essere la continuazione della guerra con altri mezzi. E’ un mix di conflitti economici, ideologici, religiosi, dove anche la comunicazione assume un ruolo rilevantissimo.
Per esserne all’ altezza gli Stati devono disporre di classi dirigenti che abbiano una capacità di valutazione strategica, corroborata dalla propensione a confrontarsi con il senso della storia, con prospettive di lungo periodo e con vasti orizzonti di pensiero e di cultura politica. Di questo è chiaro il deficit nel contesto attuale del mondo occidentale e dell’ Italia in particolare.
Ma è anche un problema di opzioni militari. Quanto può ancora astenersi la comunità internazionale dall’ intervenire con decisione laddove si concretizzano pericoli sempre più incalzanti per la stabilità delle nostre democrazie?
O dal difendersi in modo più determinato ed efficace da forme di guerra asimmetrica che si esprimono attraverso gli attacchi terroristici? Salvo arrendersi, più si aspetta e più sarà oneroso il cambio di rotta e se effettivamente i rischi sono così gravi, lo spirito di Monaco dovrebbe prima o poi essere accantonato.
Ma l’ assunzione di responsabilità non pare comunque prospettiva imminente. Vi ostano gli indirizzi assunti e difficilmente modificabili dagli attori più forti della scena internazionale. Poiché dell’ ONU è inutile parlare, accenniamo alle politiche adottate dagli Stati Uniti, dall’ Europa e anche dall’ Italia.
Il primo e rilevante problema è proprio il consolidato isolazionismo degli Stati Uniti. Essi hanno la fama di protagonisti pesantemente intrusivi nelle vicende planetarie. Ma è così solo in parte. Come illustra John L. Gaddis nel volume “La Guerra Fredda.
Cinquant’ anni di paura e di speranza”, gli Stati Uniti mirano sempre prioritariamente a non impegnarsi in teatri lontani e quando lo hanno fatto, diventando elemento determinante per la difesa del mondo occidentale, è accaduto solo perché spinti da eventi o pericoli estremi. Se aggrediti reagiscono con slancio, ma prima o poi si stancano.
Lasciano mezza Europa in mano al comunismo; si ritirano dal Vietnam; rinunciano in Iraq e tutto ormai va nella stessa direzione in Afghanistan (anche se si profila un qualche ripensamento). Poi tra breve raggiungeranno l’autonomia energetica, così eliminando una ragione importante di ogni possibile interventismo.
L’ Europa come entità politica è invece proprio evanescente. La Comunità e poi l’Unione Europea hanno avuto consistenza e meriti fino a quando hanno coinciso con l’area continentale del libero mercato, caratterizzatasi per la forte contrapposizione con lo schieramento del socialismo reale.
Crollato il sistema sovietico e della sovranità limitata, secondo numerosi idealisti essa avrebbe dovuto trasformarsi in un paradiso terrestre dall’ Atlantico alla Russia, compresa o esclusa non è dato sapere.
Si sono invece rafforzati gli interessi nazionali e, mentre gli stati più forti hanno fatto prevalere le politiche finanziarie a loro più consone, alle istituzioni europee è stato consentito di crescere e di imporsi sulla dimensione nazionale solo nella loro espressione burocratica ed autoreferenziale, divenendo più un intralcio che un fattore di progresso.
Ne consegue che la politica estera e di difesa dell’Europa quando non è inconsistente, è confusa ed inconcludente. Il continente, che in caso di nebbie sulla Manica per Londra continua ad essere isolato, è alla mercé di qualsiasi intimidazione o minaccia. Non si avverte alcuna efficace volontà di affrontare e contrastare gli atti ostili condotti dall’esterno.
In caso di attacchi terroristici, ovvero quando i flussi migratori o i rifornimenti energetici sono utilizzati in modo da minarne la stabilità, si reagisce in ordine sparso, senza un disegno organico di lungo periodo e con improvvisazione.
Per quanto riguarda l’Italia, risalta l’ impiego dello strumento militare nelle missioni di soccorso nel Mediterraneo e di accoglienza agli approdi. Si tratta di una missione ineludibile, certamente in linea con i principi che reggono il nostro ordinamento; da taluni esaltata, specie appartenenti ai settori tra quelli che fanno più opinione, dai più condivisa nella sua logica umanitaria; solo da pochi radicalmente avversata.
Si svolge tuttavia con criteri estemporanei e senza un’impostazione proiettata nel futuro, con un governo definito perfino da “Famiglia Cristiana”, che pure si è sollecitamente corretta sulle recenti dichiarazioni attribuite a Monsignor Galantino, “del tutto assente sul tema immigrazione”.
Le nostre forze armate e di sicurezza sono altresì impegnate in modo notevole nelle missioni internazionali e sul fronte del terrorismo con effetti, al momento, apprezzabili. Eppure sono ripetutamente oggetto di provvedimenti che ne riducono in modo progressivo le capacità operative.
E’ l’esito del combinato disposto delle crescenti difficoltà finanziarie e di un lucida ma ben dissimulata avversione nei loro riguardi, costantemente latente nei più influenti ceti politici autoctoni.
Si aggiunge addirittura ora la ristrutturazione dei corpi di polizia: presentata come un’ opportuna operazione di eliminazione delle duplicazioni, finalizzata all’incremento dell’ efficienza, viene avviata con la soppressione del Corpo Forestale, il cui personale confluirà in altra forza di polizia.
Leggere le norme approvate in proposito dal Parlamento è una vera e propria avventura sul piano lessicale e della sintassi. Ma tra le righe, par di capire che l’ unico risultato certo sarà la contrazione degli organici complessivi degli addetti alla sicurezza pubblica.Di questi tempi!
Ma se gli Stati Uniti, l’Europa e l’Italia così vivono questo passaggio cruciale della storia, chi si farà carico di preservare i valori ed i diritti che l’Occidente ha saputo, attraverso fatica e sacrifici, affermare? Sovviene in proposito la figura di Flavio Ezio.
Per coloro che dovessero porsi il quesito “Flavio Ezio chi?”, costui era un generale proveniente dalla Mesia Inferiore, oggi in Bulgaria. Sebbene l’Impero d’Occidente fosse ormai al crepuscolo, seppe riunire sotto il suo comando le armate di Roma e nel 451 sconfisse gli Unni di Attila (nell’immagine a sinistra) ai Campi Catalunici, non lontano dall’ odierna capitale francese.
La storia talvolta riserva sorprese, ma spesso si ripete. Anche adesso l’unico protagonista che pare convinto nell’organizzare una difesa appartiene alla sfera orientale dell’Europa. Putin sa sicuramente bene chi fu e quale ruolo ebbe Flavio Ezio.
Il condottiero romano non evitò la fine di Roma. Con ogni probabilità ora saremmo invece bene in tempo nel porre argine all’offensiva delle forze a noi ostili. Ma nelle cancellerie delle due sponde atlantiche regna la miopia e l’iniziativa di Mosca è vista con sospetto. Dovremmo avere ben presente che Flavio Ezio fallì e cadde per un complotto interno a quel fantasma di sé stessa che era diventata la corte imperiale.
Carlo CorbinelliVedi tutti gli articoli
Nato a Tavarnelle Val di Pesa (FI) nel 1955, è laureato in Scienze Politiche presso la Facoltà "Cesare Alfieri" dell'Università di Firenze ed in Scienze della Sicurezza presso l'Ateneo di Tor Vergata. Ha conseguito vari diplomi post-universitari nel campo delle relazioni internazionali e della tecnica legislativa. Ha prestato per 36 anni servizio quale ufficiale dei Carabinieri, con incarichi in Italia e all'estero in tutti i settori di competenza dell'Arma. Da Colonnello ha retto la Segreteria del Sottosegretario alla Difesa, Il Comando Provinciale di Perugia ed il 2° Reggimento Allievi Marescialli di Firenze. Nella riserva dal marzo 2015, svolge attività di consulente in qualità di esperto di "Security". Collabora con il Centro di Studi Strategici Internazionali ed Imprenditoriali dell'Università di Firenze.