La US Navy sfida i cinesi alle Spratly

Un cacciatorpediniere lanciamissili della Marina militare statunitense ha navigato tra il 27 e il 28 ottobre nei pressi di un’isola artificiale costruita di recente da Pechino nelle acque del mar Cinese meridionale, da tempo al centro di un’aspra controversia territoriale con Filippine e Vietnam. Il cacciatorpediniere lanciamissili USS Lassen (DDG-82, uno dei più avanzati della classe Arleigh Burke) ha infranto il limite delle 12 miglia nautiche che la Cina rivendica di uso esclusivo nei pressi degli atolli Subi e Mischief, nell’arcipelago conteso delle Spratly la cui sovranità è rivendicata da tutti gli Stati rivieraschi della regione.

Il governo cinese ha inviato un “avvertimento” agli Stati Uniti e avviato un’indagine sulla vicenda, per verificare che la nave abbia davvero “violato” il proprio spazio.

Il ministro degli Esteri Wang Yi ha affermato che se il fatto verrà confermato, “invitiamo gli Stati Uniti a pensarci bene prima di rifarlo” e a “non agire alla  cieca o creare problemi dal nulla”. Anche l’agenzia ufficiale Xinhua si è mobilitata pubblicando un editoriale di forte critica.

La missione del cacciatorpediniere americano è stata definita dal vice ministro degli Esteri di Pechino, Zhang Yesui, come un atto “estremamente irresponsabile”, ma per il portavoce della Casa Bianca, Eric Schultz, è stata improntata al principio della “libertà di navigazione”.

Le operazioni marittime condotte dalle forze americane, ha sottolineato il portavoce, “non hanno lo scopo di rivendicare a noi particolari diritti a scapito di altri”. Gli Stati Uniti, ha aggiunto Schultz, continueranno pertanto a volare e a navigare dovunque il diritto internazionale lo consenta.
Il ministero cinese degli Esteri ha convocato l’ambasciatore statunitense a Pechino per protestare contro la mossa. Lu Kang, portavoce del dicastero, afferma che l’esecutivo “risponderà in modo risoluto contro le azioni a sfondo provocatorio commesse da qualsivoglia nazione”. E aggiunge che la nave incriminata è stata “tracciata e avvertita” mentre faceva il suo ingresso nelle acque contese.

Fra le voci critiche nel panorama dei media cinesi, in prima linea vi è il Global Times, organo di stampa (in lingua inglese) del Partito comunista. Un editoriale parla di “ovvie provocazioni” da parte del Pentagono nei confronti della Cina.

Gli internauti cinesi chiedono risposte durissime da parte delle autorità, a fronte di un governo che può vantare il più imponente esercito del mondo. Un commentatore sul popolare sito Sina Weibo afferma che gli americani “sono sulla soglia di casa nostra. Denunciare di nuovo è inutile”.

Gli atolli, un tempo sommersi, sono stati trasformati in isole da Pechino con un’imponente opera di dragaggio e bonifica, avviato alla fine del 2013. Il governo afferma che i lavori sono legali; durante un incontro con il presidente statunitense Barack Obama il mese scorso Xi Jinping ha specificato che la Cina “non ha intenzione di militarizzare” le isole. Tuttavia, la Casa Bianca ritiene che gli avamposti siano in realtà strutture militari per rafforzare la propria egemonia nell’area.

Il segretario alla Difesa Usa Ashton Carter sottolinea che “voleremo, navigheremo e opereremo ovunque le leggi internazionali lo permetteranno”.

Il portavoce del Dipartimento Bill Urban ha aggiunto che “gli Stati Uniti stanno conducendo operazioni di routine nel mar Cinese meridionale, secondo le leggi internazionali”. E un funzionario governativo, dietro anonimato, assicura: “Lo rifaremo ancora”.

Il tema della costruzione di piste di atterraggio e atolli artificiali nelle aree contese da parte della Cina è stato al centro dell’incontro fra i ministri della Difesa di Pechino e Asean di metà ottobre; una politica “imperialista” che ha registrato una crescente accelerazione negli ultimi due anni.

Per gli Stati Uniti e le Filippine le nuove isole rappresentano una minaccia nella regione e già in passato Washington non aveva escluso la navigazione di proprie navi all’interno della zona rivendicata dalla Cina a proprio uso esclusivo, con l’obiettivo di rivendicare la libertà di navigazione in quelle acque.

Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno infatti promosso un programma chiamato “Libertà di navigazione” per sfidare quelle che considera le “rivendicazioni eccessive” negli oceani e negli spazi aerei di tutto il mondo. Un programma paradossalmente teso a favorire l’adesione internazionale alla Convenzione Onu sui mari, sebbene gli stessi americani non abbiano mai ratificato quel trattato.

La US Navy ha già effettuato passaggi di forze navali nei confronti di Cina, Malaysia, Filippine, Taiwan e Vietnam che hanno creato avamposti nel Mar Cinese Meridionale.

Un portavoce dell’ambasciata cinese a Washington ha dichiarato che la libertà di navigazione “non dovrebbe essere usata come scusa per mostrare i muscoli e minare la sovranità e la sicurezza degli altri Paesi”.

Nei prossimi giorni altre navi della Marina statunitense andranno ad affiancare la USS Lassen nell’area; inoltre, nelle prossime settimane non è escluso l’arrivo di ulteriori imbarcazioni e mezzi di sorveglianza navale e aerea.

Da tempo Hanoi e Manila – che per prima ha promosso una vertenza internazionale al tribunale Onu, iniziata ai primi di luglio e priva di valore vincolante – manifestano crescente preoccupazione per “l’imperialismo” di Pechino nei mari meridionale e orientale. Il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende le Spratly e le Paracel, isole contese da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l’85% dei territori).

A sostenere i Paesi del Sud-Est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che hanno giudicato “illegale” e “irrazionale” la cosiddetta “lingua di bue” usata da Pechino per marcare il territorio, fino a comprenderne quasi l’80% dei 3,5 milioni di chilometri quadrati.

L’egemonia cinese in quell’area riveste un carattere strategico per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas naturale rinvenuti sul fondo marino, in un’area dell’Asia-Pacifico di elevato interesse economico, geopolitico e commerciale.
(con fonte Asianews)

Foto Us Navy, Xinhua e Google

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