Combattimento urbano per i ranger
“Le parole chiave nelle operazioni militari in ambiente urbano sono automatismi e flessibilità” ci dice in una pausa dell’addestramento il comandante di uno dei due plotoni ranger esercitati.
Siamo a due passi da Castelnuovo del Garda, all’interno del forte Chiarle, un vecchio deposito del 15° Cerimant ora dismesso ed utilizzato dal 4° Reggimento Alpini Paracadutisti di Montorio Veronese per esercitazioni di vario tipo e livello.
Quello in corso ed a cui stiamo assistendo è un addestramento specifico denominato SFAUC (Special Forces Advanced Urban Combat) della durata di 4 settimane, condotto dall’80a compagnia.
La prima settimana prevedeva un ripasso delle tecniche e tattiche di Close Quarter Battle e room clearing, per il consolidamento delle procedure e degli automatismi di movimento appresi nella fase CQB nel corso ranger. La seconda ha visto un passaggio in poligono con munizionamento da guerra per approfondimenti delle tecniche di tiro mirato ed istintivo, per perfezionare le procedure e gli automatismi per la ricarica veloce, effettuare la “transition” dall’arma lunga a quella corta e viceversa, affrontare e risolvere i malfunzionamenti.
La terza settimana, quella cui abbiamo assistito, prevedeva l’utilizzo dei kit Simmunition ed era dedicata al movimento esterno in ambiente urbano, con successive attivazioni provenienti dagli edifici e conseguente occupazione e messa in sicurezza dei locali, con eliminazione della minaccia. La quarta settimana, infine, avrebbe approfondito le tattiche e procedure di impiego a livello di task unit su due plotoni, anche con l’utilizzo dei VTLM Lince.
L’addestramento, che mira anche ad accrescere le capacità di comando ai minori livelli (i cosiddetti junior leader, cioè comandanti di squadra e di team), è estremamente realistico e viene condotto con grande attenzione, partecipazione e motivazione.
L’equipaggiamento individuale impiegato è quello completo in dotazione, che comprende porta piastra con buffetteria applicata con il sistema MOLLE ed elmetto TC2002, destinato ad essere sostituito nel prossimo futuro dal FAST di Ops-Core, già indossato da qualche operatore.
Tutti gli uomini dispongono di Personal Role Radio con cuffia e microfono portati sotto l’elmetto per i collegamenti all’interno delle squadre, mentre i comandanti di team, di squadra e di plotone sono dotati di un secondo apparato, una radio Motorola VHF GP-388 che in operazioni reali viene rimpiazzata dalla più prestante AN/PRC-148 multibanda VHF/UHF.
Le armi sono tutte dotate di ottiche moderne, soprattutto le nuovissime Specter DR 1-4x che consentono di passare rapidamente da un ingrandimento x1 ad uno x4 con il semplice movimento di una levetta: in pratica uno strumento che unisce i vantaggi di un visore a punto rosso, da impiegarsi con entrambi gli occhi aperti nel tiro ravvicinato, con quelli di un’ottica per l’impiego alle medie distanze. Per preferenze personali allcuni operatori hanno mantenuto invece il classico Trijicon ACOG 4×32, accoppiato per il CQB ad un piccolo visore olografico.
Per l’ausilio alla mira sono molto diffusi i puntatori/illuminatori laser AN/PEQ-15, con raggio di puntamento sia nelle frequenze del visibile che IR, e che hanno ormai rimpiazzato totalmente i precedenti e più ingombranti AN/PEQ-2.
Al termine di ogni fase dell’esercitazione l’intero atto tattico appena concluso viene riesaminato, discusso e sviscerato da tutto il plotone, con forte spirito costruttivo e capacità di autocritica da parte di tutti, indipendentemente dal grado rivestito. Le singole azioni ed i movimenti sono minuziosamente analizzati, gli immancabili errori individuati e corretti.
Gli automatismi delle tecniche e tattiche di impiego prevedono che nelle fasi di irruzione e di successiva bonifica degli ambienti ogni uomo conosca il proprio compito e lo esegua con la massima celerità, assuma la posizione prevista, copra determinati settori per mantenere il bersaglio sotto tiro efficace e selettivo, controlli nel contempo l’esistenza di altre possibili minacce per fornire sicurezza all’intero dispositivo. Ciascun membro del reparto deve acquisire e porre in essere i principi fondamentali del combattimento in ambienti ristretti, che impongono la ricerca dell’effetto sorpresa, la massima velocità di esecuzione e l’uso selettivo della forza.
Tutti debbono muovere in silenzio e con atteggiamento tattico, giungere rapidamente all’ingresso della stanza da bonificare nell’ordine di irruzione prestabilito ed in attesa del comando concordato, per poi entrare celermente e dominare ogni settore del locale, eliminare ogni nemico con azione rapida ed efficace, controllare lo stato e le condizioni del/dei nemici colpiti, disarmarli, perquisirli e porli in condizione di non nuocere.
Le tecniche di room clearing prevedono di norma l’impiego di un team di quattro elementi, anche se le esperienze contingenti maturate nei teatri d’impiego e le realtà organiche effettive impongono una maggiore flessibilità e l’utilizzo, in certi casi, di nuclei più ridotti, di due o tre uomini. Quattro operatori rimangono però, quando possibile, la cellula base per il CQB. La squadra di 8 uomini suddivisa in due gruppi di fuoco di 4 elementi, che i Ranger hanno adottato da anni, ben prima che divenisse standard della fanteria italiana, si presta pertanto perfettamente a questa tipologia di impiego.
Tuttavia il presupposto dell’esercitazione prevede che quella messa in atto dei ranger non sia un’azione deliberata e pianificata, ma la reazione immediata ad una minaccia palesatasi improvvisamente, in un classico scenario asimmetrico, durante una missione di pattugliamento in un’area relativamente tranquilla, caratterizzata dalla presenza di civili ed elementi non combattenti.
L’atteggiamento degli uomini durante il movimento iniziale non risulta pertanto aggressivo: la loro postura appare relativamente rilassata, sia per non compromettere il difficile rapporto con la popolazione locale, sia perché un’attenzione estrema non può essere mantenuta a livello critico molto a lungo, senza risultare controproducente, provocando stress ed eccessivo affaticamento.
Anche l’armamento in dotazione al plotone ed alle squadre esercitate è quindi quello standard per operazioni in campo aperto, che vede la presenza in ogni fire team di una mitragliatrice leggera Minimi (indifferentemente di calibro 5,56 o 7,62 mm) e talvolta anche quella di un fucile di precisione M-110 con ottica 10x: non esattamente l’equipaggiamento più adatto per rapidi ingaggi istintivi all’interno degli edifici!
L’addestramento dei ranger consente comunque di effettuare con efficacia l’eventuale irruzione, anche con la partecipazione degli operatori muniti delle armi più pesanti, con la sola accortezza di non impiegarli quali elementi di testa dell’azione.
Tuttavia, se la situazione tattica lo consente, le squadre si riconfigurano azione durante in previsione del nuovo compito di combattimento in ambienti ristretti, assumendo l’organizzazione più rispondente elle necessità dell’irruzione e del successivo movimento all’interno dell’edificio da bonificare.
Entra cioè in campo l’altro fattore fondamentale richiamato all’inizio dal comandante di plotone: la flessibilità. Di fronte alla minaccia improvvisa la squadra raggruppa le due mitragliatrici in un team di appoggio e forma un secondo team d’assalto munito delle sole armi più idonee.
Anche nel movimento all’interno degli edifici, ed in particolare nei momenti più critici, come nell’affrontare una rampa di scale per salire ai piani superiori, i due gruppi di fuoco debbono alternarsi e scavalcarsi con rapidità ed automatismo: mentre quattro elementi salgono, controllando la parte superiore del vano scale, gli altri assicurano la protezione laterale e posteriore.
Per la forzature degli ingressi i ranger impiegano il classico fucile a canna liscia calibro 12 con munizionamento a palla unica, o strumenti pneumatici o meccanici. Le tecniche di penetrazione negli edifici con esplosivi (breaching) non vengono attualmente utilizzate per mancanza di formazione specifica: nonostante che fosse previsto, fin dalla costituzione del reparto, ormai oltre 15 anni or sono, di specializzare nell’impiego degli esplosivi due elementi per plotone.
I relativi corsi di specializzazione, che si sarebbero dovuti tenere presso il 9° Reggimento Col Moschin, per svariati motivi, prevalentemente burocratici e normativi, non si sono mai concretizzati: una lacuna non lieve per un reparto specializzato nelle azioni dirette.
Organici sperimentali
La modularità della squadra ranger e l’elevato livello professionale dei suoi membri ne fanno la cellula base del reggimento, impiegata di norma organicamente integra nelle varie missioni, dalle azioni dirette al supporto alle Forze Speciali, dalla ricognizione tattica ai Close Protection Team ed all’assistenza militare.
A partire dalla squadra di otto elementi, facilmente trasportabile su due VTLM, viene edificato il plotone, quale reparto principale di impiego, che a sua volta può essere riconfigurato in base ad un compito specifico, con l’aggiunta o la sottrazione di elementi standard (squadre o quartine).
A tale riguardo il reggimento ha sperimentato negli ultimi anni alcune differenti conformazioni organiche del plotone, di cui abbiamo dato notizia in passato sulla Rivista.
Una prima configurazione, fortemente influenzata dalle esperienze maturate in Afghanistan, prevedeva la presenza di due sezioni di 12 uomini, più una squadra comando.
Da questa struttura si è passati successivamente al mantenimento della classica organizzazione ternaria, con una squadra comando (comprensiva anche di due coppie di sniper) e tre squadre fucilieri di 10 uomini, il cui comandante veniva mantenuto al di fuori dei team ed affiancato da un fuciliere/radiofonista.
Questa configurazione si è rivelata molto adatta alle missioni di assistenza militare, con un team impegnato nell’attività didattica di affiancamento, l’altro che garantisce la sicurezza ed il nucleo comando che assicura il coordinamento ed il collegamento con il livello superiore.
Tuttavia, nonostante alcuni innegabili vantaggi, anche questo modello, come il precedente, presentava il difetto di dare vita ad un plotone piuttosto corposo (una quarantina di effettivi), di non agevole ed immediata comandabilità, non facilmente riconfigurabile per compiti specifici e non supportabile dall’attuale gettito dei reclutamenti, a meno di non ridurre a due soli i plotoni della compagnia.
In tal caso la sottrazione ad un plotone di elementi organici per missioni particolari (ad esempio per la costituzione di un CPT) avrebbe ridotto in maniera significativa le capacità residue della compagnia.
Per fronteggiare con la massima efficacia compiti assai differenziati risulterebbe invece preferibile poter disporre di un numero maggiore di plotoni, di organico più ridotto ma più flessibili e polivalenti, in grado di adattarsi con rapidità alle varie situazioni operative. Sulla base del team basico di quattro uomini sarebbe poi agevole realizzare per esigenze particolari un’unità di impiego modulare, concepita per un compito specifico.
L’obiettivo ottimale sarebbe di assegnare quattro plotoni a ciascuna compagnia, per gestire con la necessaria flessibilità ogni evenienza.
In questo modo gli elementi da assegnare a missioni che richiedano l’enucleazione di una squadra o di una sezione, come l’assistenza militare o la formazione di un CPT, potrebbero provenire da uno o due plotoni, lasciando gli altri due della compagnia a pieno organico e nella condizione ottimale di affrontare missioni tradizionali, ad esempio dando vita ad una Task Unit simile a quella a lungo schierata in Afghanistan nell’ambito della Task Force 45.
Il 4° Reggimento Alpini Paracadutisti sta pertanto sperimentando due differenti strutture del plotone, su 28 e su 24 elementi.
Nel primo caso verrebbe mantenuta l’organizzazione classica su tre squadre di otto uomini, più un nucleo comando costituito dal comandante di plotone, da un radiofonista, il JTAC per il controllo del fuoco e del supporto aereo e da un combat medic, ossia un ranger che abbini ai normali compiti combattente una spiccata specializzazione nelle pratiche di rianimazione e di primo intervento, acquisita con la frequenza del corso nazionale di Primo Soccorritore e con la partecipazione a moduli avanzati presso l’ISTC di Pfullendorf, in Germania.
Nel plotone di 24 uomini le squadre fucilieri sarebbero solo due, con una terza squadra comando ed appoggio che raggrupperebbe lo stesso nucleo comando del caso precedente, più un fire team prevalentemente di supporto.
In entrambi i casi il plotone muoverebbe agevolmente a bordo di 6 o 7 VTLM (con 4 uomini di equipaggio ciascuno) e manterrebbe la possibilità, sulla scorta delle lezioni apprese nel teatro afghano, di scindersi in due sezioni di 12-16 elementi. Di qui l’esigenza, già virtualmente coperta, di poter disporre, in ciascun plotone, di un secondo soccorritore, di due tiratori scelti e, in aggiunta al JTAC, di almeno un JFO (un osservatore abilitato alla richiesta, aggiustamento e controllo del fuoco di supporto, ma non autorizzato al dialogo diretto con i piloti). In tal modo entrambe le sezioni potrebbero disporre di uno specialista in ciascuno di questi incarichi pregiati.
Concludiamo con un accenno alla struttura che ci ha ospitato.
Nata inizialmente addirittura coma un finto villaggio per confondere l’osservazione aerea nemica, si presta straordinariamente bene ad essere impiegata dai ranger quale poligono per l’addestramento alle operazioni in aree urbane a livello di squadra, plotone e task unit, oltre che per la formazione dei Close Protection team.
All’interno del forte sorgono infatti numerosi edifici, anche di più piani, di varia tipologia e dimensione, mentre non manca nemmeno una finta chiesa, con tanto di campanile!
Tra le costruzioni sono presente viali, vicoli, passaggi e piazzette, che simulano perfettamente un piccolo paese e permettono di procedere, anche a bordo dei mezzi, per l’avvicinamento ed il movimento a contatto.
Purtroppo questo prezioso terreno addestrativo, oltretutto raggiungibile assai facilmente da Montorio Veronese senza lunghi trasferimenti e trasferte onerose, è stato inserito nell’elenco delle caserme da alienare, senza alcuna considerazione per la proprio grande utilità, e sarà probabilmente ceduto a breve.
Condurre un addestramento realistico e proficuo diviene sempre più difficile nel nostro Paese, e non solo per scarsezza di risorse finanziarie.
Un po’ di retorica calata dall’alto non sarà un rimpiazzo sufficiente.
Alberto ScarpittaVedi tutti gli articoli
Nato a Padova nel 1955, ex ufficiale dei Lagunari, collabora da molti anni a riviste specializzate nel settore militare, tra cui ANALISI DIFESA, di cui è assiduo collaboratore sin dalla nascita della pubblicazione, distinguendosi per l’estrema professionalità ed il rigore tecnico dei suoi lavori. Si occupa prevalentemente di equipaggiamenti, tecniche e tattiche dei reparti di fanteria ed è uno dei giornalisti italiani maggiormente esperti nel difficile settore delle Forze Speciali. Ha realizzato alcuni volumi a carattere militare ed è coautore di importanti pubblicazioni sulle Forze Speciali italiane ed internazionali.