STRAGE A PARIGI: NON E’ GUERRA MA TERRORISMO

Il raid terroristico – che nella notte del 13 novembre u.s. ha sconvolto vari ritrovi pubblici francesi (stadio, teatro, ristoranti e pizzerie) e provocato centinaia di vittime – è stato rivendicato dal c.d. stato islamico (IS) come atto di ritorsione per i bombardamenti che la Francia ha effettuato alla fine di settembre scorso, su un campo di addestramento e su Raqqa, città che lo “stato terrorista” ha eletto a sua capitale. Nella rivendicazione si annunciano analoghe minacce contro “Roma, Londra e Washington”, altrettante capitali impegnate nella coalizione anti IS.

La Francia è il secondo paese europeo, dopo la Gran Bretagna (che ha operato già a fine agosto 2015), ad aver effettuato raid aerei contro obiettivi dell’IS al di fuori degli interventi della coalizione a guida USA.

Il dolore e lo sdegno per l’eccidio non ha colpito solo la Francia ma tutti noi europei e, riteniamo, tutti coloro che sono accumunati da una medesima radice culturale, da un medesimo percorso storico e quindi da una condivisa visione del mondo e della storia che determina e nutre anche un comune sentimento umano e una comune commozione.

Le ipotesi sul perché di questa carneficina sono le più disparate ed oscillano tra le dichiarazioni del presidente siriano Bashar al-Assad – secondo le quali a causare la morte di 129 persone sono state “le erronee politiche della Francia nella Regione, che ha ignorato come alcuni dei suoi alleati sostengano il terrorismo“. Assad ha inoltre aggiunto che: “Ciò che la Francia ha subìto dal selvaggio terrorismo è ciò che il popolo siriano soffre da oltre cinque anni” – ed ai proclami di uno dei principali gruppi armati che si oppongono al suo regime, Jaish al-Islam/Esercito dell’Islam che attribuisce la responsabilità della mattanza fondamentalista nella città di Parigi ad Assad stesso.

Dopo l’eccidio, ancora una volta i media si sono ampiamente prodigati in miriadi di “talk show” a diffondere le opinioni contrastanti delle varie personalità intervenute a commentare la mostruosa carneficina, ma finora non è stata ancora individuata una strategia unitaria europea per arginare e contrastare la barbarie.

Lo stesso presidente francese Hollande è comparso in televisione per delineare una strategia di risposta della Francia ma non dell’Europa, sostenendo: «Quello che è successo venerdì a Parigi è un atto di guerra commesso da un’armata jihadista contro i valori che noi difendiamo e che siamo: un Paese libero. La Francia, aggredita in modo vergognoso e violento, sarà spietata contro la barbarie dello Stato islamico, agirà con tutti i mezzi, sul fronte interno ed esterno, in concertazione con gli alleati”.

L’episodio segna un punto di non ritorno: riteniamo che sia giunto il tempo che l’Europa prenda coscienza della sua esistenza, del suo ruolo e dei suoi principi fondanti che animano tanti incorreggibili sognatori come noi ed esca dalle “meline” di una retorica inconcludente e da una litigiosità cavillosa – che non garantisce affatto la sicurezza dei cittadini comunitari – per abbandonare ogni equivoco ed assumere decisioni importanti e risolutive.

La risposta al mostruoso ed all’irrazionale non può essere data da prime donne di operetta – litigiose e corteggiatrici di registi dell’una e dell’altra sponda, per accaparrarsi la parte principale – ma da una strategia complessa, articolata e condivisa a livello di struttura sovranazionale che dia certezze di sicurezza a tutti i cittadini.

Occorre uscire dall’equivoco: è guerra o terrorismo?

Se è guerra attenzione a non dare corpo a quello scontro di civiltà preconizzato qualche anno addietro (1996) da Huntington, perché non ci troviamo di fronte ad una guerra convenzionale ma ad un conflitto asimmetrico tipico della guerriglia per affrontare il quale non occorrono solo aerei e carri armati ma anche altri strumenti, ben pianificati e coordinati. In tal caso occorre che la coalizione occidentale anti Is, coordini  gli interventi, senza lasciare spazio ad iniziative singole, magari circondando militarmente l’area governata dallo “stato terrorista” per evitarne ogni esfiltrazione e costituzione di metastasi altrove, procedendo contestualmente alla costituzione di un Fusion Center Intelligence in Giordania (già a suo tempo auspicato) in analogia a quello costituito a Baghdad da Russia, Siria, Iran ed Iraq.

Avviare la riconquista del consenso della popolazione irakena, ora costretta ad obbedire per paura, procedendo contestualmente alla rioccupazione il territorio materialmente controllato dai jihadisti per sottrarre loro ogni spazio di manovra. Ma per far questo occorre un’iniziativa politica a livello internazionale che sappia calibrare gli interventi e conciliare gli interessi delle fazioni contrapposte che si confrontano in quel teatro, in modo da evitare un terzo conflitto mondiale.

Se è terrorismo, come appare che sia, pur originato da basi logistiche, addestrative ed operative fuori dall’Europa, ma vicino ad essa, occorre non dimenticare che anche i terroristi sono dotati dei sofisticatissimi mezzi che la tecnologia mette a disposizione e di manuali tecnici in cui sono descritti i mezzi ed i metodi per superare i controlli di polizia, anche sotto l’aspetto elettronico.

Inoltre i terroristi stessi sono in grado di procacciarsi armi e documenti di riconoscimento autentici falsificandoli ed utilizzandoli per i propri scopi, anche con osmosi dalla criminalità organizzata, peraltro attiva ed operante nel tessuto europeo che, ovviamente, applica integralmente il motto latino “pecunia non olet”.

Già in passato è stato dimostrato che i terroristi saliti a bordo dell’Achille Lauro hanno utilizzato passaporti e documenti di identità smarriti o rubati in tutto il mondo. Questo fattore di potenza oggi è di gran lunga incrementato, soprattutto in quelle aree di contiguità fra criminalità e terrorismo come l’area del Sahel e del Fezzan.

Allora occorrono ben altri strumenti che una semplice prevenzione di polizia; occorre integrare e far interagire il binomio Intelligence/Forze di Polizia, non solo a livello nazionale ma anche in sede comunitaria ed internazionale, dotandolo di strumenti adeguati per contrastare ed individuare le cellule operative portatrici di morte: occorre ridare centralità alla HUMINT che, assistita da tutta la panoplia di strumentazione elettronica, sappia ricercare ed individuare nell’over flow informativo i dati pertinenti e significativi del fenomeno, tenendo ben presente che gli elementi fondanti del terrorismo, oltre al leader ed agli adepti profondamente motivati, sono anche e soprattutto finanziamenti, armi, documenti di riconoscimento, addestramento e Stati sponsor.

Contro l’attuale fenomeno non è più possibile utilizzare i tradizionali strumenti dell’infiltrato/esfiltrato/cooptato come hanno dimostrato precedenti episodi in Francia (affare Merah e fratelli Kouachi) sia perché la motivazione religiosa è una barriera insormontabile (“Voi amate la vita, noi amiamo la morte”), che si tradurrebbe quanto meno nella immediata criminalizzazione dell’infiltrato o nella sua uccisione, sia perché il “doppio gioco” nel terrorismo non si traduce in perdita di informazioni o in informazioni ingannevoli, ma in perdite di vite umane.

Occorre che l’Intelligence proceda su altre strade, individuando finanziamenti, forniture logistiche e comunicazioni, non solo con gli strumenti elettronici, ma anche con le procedure HUMINT, recependo ed analizzando ogni segnale anomalo che si discosti dal normale svolgimento della vita quotidiana, perché la fase operativa è sempre preceduta dalla preparazione logistica e dalla ricognizione degli obiettivi.

Nessuna Intelligence potrà mai prevedere gli obiettivi che la sconfinata inventiva terroristica potrà scegliere. Inoltre, ritenere di difendere quelli ritenuti più importanti e sensibili, nonché di poter controllare il territorio solo con droni e telecamere stando dietro ad un tavolo, visionandone le immagini, è utopistico.

Occorre avere sensori umani che sappiano individuare anomalie comportamentali e situazioni dissonanti dalla normalità della vita quotidiana verificando contestualmente che non siano foriere di pericoli e minacce.
Infine, occorre acquisisire la certezza della sponsorizzazione e/o finanziamento di Stati esteri per metterli di fronte alle loro responsabilità.

Le Forze di Polizia, dal canto loro, sostengano l’adozione di un unico documento europeo d’identità, munito di foto e non falsificabile, da distribuire in via permanente ai cittadini comunitari e, temporaneamente, a qualsiasi extra comunitario che faccia richiesta di ingresso in Europa, ritirandolo all’atto dell’uscita.

Oggi la strumentazione elettronica consente un monitoraggio quasi in tempo reale della situazione e di attivare tempestivamente – qualora emergano casi anomali e dubbi – sia l’intervento delle Forze di Polizia sia dell’Intelligence.

Il ritrovamento di un passaporto siriano indosso ad uno dei terroristi morti dimostra la validità delle precedenti asserzioni e la provenienza di alcuni di essi dall’area del sottosviluppo ed emarginazione belga rafforza la determinazione ONU sulle cause del terrorismo: “Le motivazioni psicologiche del terrorismo vanno ricercate nella miseria, nella delusione, nell’inganno e nelle disperate condizioni di vita che inducono le persone a compiere atti disperati per provocare radicali cambiamenti alle degradanti e non dignitose condizioni di vita in cui esse versano, anche se consapevoli che nel corso delle azioni disperate possono morire gli sessi autori dell’attentato”.

Ma anche in questo settore le procedure operative indicate non sono sufficienti ad arginare e contrastare il fenomeno terroristico, qualora siano assenti interventi politici risolutori delle cause che ne determinano l’insorgenza.

È finito il tempo dell’attesa e dei tentennamenti. E’ ora che l’Europa decida cosa diventare – una potenza sovranazionale, non guerrafondaia, capace di mediare i conflitti che si sviluppano sia al suo interno sia nell’area strategica ad essa contigua (Mediterraneo e Medio Oriente) – oppure lasciare che ogni Paese dell’ Unione Europea torni a governare completamente la propria sovranità, gestendo ognuno di essi – secondo autonoma politica e strategia – la tutela del proprio “interesse nazionale”.

Foto: EMA e Getty Images

Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli

Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.

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