Contrordine: ora in afghanistan mandiamo rinforzi

 

da Libero Quotidiano del 31 ottobre 2015

Il ritiro progressivo dall’Afghanistan annunciato da Barack Obama nel 2010 doveva concludersi nel 2016 ma la Casa Bianca ha cambiato idea e ha chiesto agli alleati di prolungare la missione militare almeno fino al 2017.

Germania e Turchia hanno già confermato che manterranno i rispettivi contingenti di 850 e 550 militari mentre l’Italia, in attesa di un voto parlamentare che autorizzi il permanere delle truppe, è costretta a rafforzare il contingente di 750 militari schierato a Herat (altri 50 sono al comando Nato di Kabul) invertendo la tendenza che da quattro anni ha visto calare gradualmente le forze schierate in Afghanistan dal tetto massimo di 4.500 effettivi raggiunto nel 2011.

La decisione del governo di “rimodulare la pianificazione di rientro di alcune capacità del contingente” in Afghanistan è stata annunciata dal sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, che alla Camera ha risposto ieri a un’interrogazione.

Le forze italiane aumenteranno “in una misura ritenuta idonea a compensare il rientro di quella parte del contingente spagnolo che era dedicata alla Force Protection” ha detto il sottosegretario.

Madrid, meno incline di altri partner della NATO a seguire l’ondivaga  politica estera di Obama, ha completato il 25 ottobre il ritiro dei suoi ultimi 235 militari da Camp Arena, la grande base all’aeroporto di Herat che ospita anche le truppe italiane.

Tra questi anche una compagnia di fanti adibiti alla protezione della base il cui compito verrà assolto da un altro centinaio di militari italiani portando quindi il totale delle forze in Afghanistan a circa 900 effettivi, secondo per consistenza solo al contingente schierato in Libano.

La partecipazione all’operazione della NATO Resolute Support, che ha il compito di fornire addestramento e consulenza alle forze afghane, ci costa quest’anno 185 milioni di euro, poco meno dei 200 milioni assorbiti dalle forze schierate in Kurdistan e Kuwait nella Coalizione anti Isis.

Dopo l’annuncio di Obama che le truppe statunitensi sarebbero rimaste in Afghanistan un altro anno pur riducendosi dagli attuali 9.800  a 5.500, fonti italiane avevano fatto trapelare la richiesta di Washington di prolungare la missione ma avevano escluso un incremento del contingente.

I reparti italiani, pur non avendo compiti di combattimento, includono un’unità di forze speciali, una compagnia di intervento rapido e 10 elicotteri tra NH-90 da trasporto e Mangusta da attacco.

I motivi del prolungamento dell’impegno afghano (resteranno anche 450 britannici ma solo con compiti addestrativi) sono stati spiegati dallo stesso Obama. Il primo è la recrudescenza degli attacchi dei talebani che controllano ormai due dozzine di distretti afghani e minacciano di occuparne a breve altrettanti.

Il secondo è che le forze afghane non sono ancora in grado di combattere da sole come ha ben dimostrato la battaglia di Kunduz City a inizio ottobre.

Un’ammissione che sbugiarda anni di stucchevole propaganda dei comandi NATO/USA circa le accresciute capacità delle truppe afghane di combattere e pianificare operazioni in autonomia. Per aiutare gli afghani occorrerebbe oggi molto di più del prolungamento a organici limitati di una missione addestrativa.

Per respingere l’offensiva talebana ci vorrebbero battaglioni aeromobili dispiegati a tempo indeterminato (cioè finché necessario) presso i comandi regionali con elicotteri da trasporto e attacco, artiglieria e aerei da combattimento in grado di affiancare le truppe afghane.

Le attuali forze alleate e quelle ancor più limitate che resteranno l’anno prossimo potranno solo prolungare l’agonia di Kabul, futura Saigon, ma non modificheranno la situazione militare lasciando l’iniziativa ai talebani che minacciano di dilagare di nuovo non solo in tutto l’Afghanistan ma anche nell’Asia centrale ex sovietica.

Foto: Isaf e TF Victor

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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