Turchia: cosa c’è oltre la Porta d’Oriente?
La Turchia rappresenta da sempre la Porta d’Oriente, al centro di rotte commerciali con l’Occidente ma anche snodo strategico dove s’incrociano le tensioni che scaturiscono dalle crisi regionali.
Le elezioni anticipate del 1° novembre hanno riportato il Presidente Recep Tayyip Erdogan ed il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) saldamente al comando della Turchia. Tuttavia, la crescente instabilità interna e l’aggravarsi dei conflitti regionali, a cui Ankara è strettamente connessa, rendono ineludibili da parte del nuovo governo del Primo Ministro Ahmet Davutoglu l’adozione di scelte politiche con rilevanti effetti tanto sul piano interno che in politica estera.
Sebbene il 49,4% dei voti consenta al Presidente Erdogan di dare forza e continuità alla propria politica, tale percentuale non risulta sufficiente per realizzare la sua ambiziosa riforma costituzionale presidenzialista. A tal fine, si renderà necessario ricercare un accordo con altre forze politiche e, in particolare, con il Partito Democratico del Popolo del leader curdo, Selahattin Demirtas.
La questione curda
Ed è proprio il difficile rapporto con i curdi, all’interno come all’esterno dei confini nazionali, la questione centrale che il Presidente ed il nuovo esecutivo turco dovranno affrontare. Un’eventuale trattativa sulla riforma costituzionale acquista, pertanto, una rilevanza che travalica i confini nazionali per assumere una dimensione regionale.
Essa, difatti, verrebbe a coinvolgere non solo il Partito dei Lavoratori Curdi (PKK) in Turchia che in Iraq, ma anche il suo corrispettivo siriano, il Partito dell’Unità Democratica (PYD), entrambi considerati da Ankara organizzazioni terroristiche. Inoltre, tale questione viene a toccare direttamente gli interessi regionali di Stati Uniti e Russia, poiché i combattenti dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), braccio armato del PYD, si sono rivelati gli alleati più efficaci degli Stati Uniti in chiave anti-ISIS e sono considerati potenziali partner dalla stessa Federazione Russa.
Tuttavia, ad Ankara permane un atteggiamento ostile nei confronti dell’YPG. Il timore è che un’eventuale saldatura delle due aree controllate dai combattenti curdi al confine meridionale con la Siria possa far nascere un’entità autonoma.
Nei piani di Erdogan e Davutoglu quest’area, attualmente controllata dall’ISIS, una volta liberata, verrebbe destinata ad accogliere i rifugiati e posta sotto l’ombrello protettivo di una no-fly zone, impedendo di fatto la formazione di un’entità curda autonoma.
Tuttavia, tale progetto non ha mai ottenuto l’avallo degli alleati della NATO, preoccupati che la presenza di truppe turche in Siria possa provocare uno scontro diretto con l’YPG o con l’esercito di Bashar al-Assad.
Inoltre, l’intervento militare russo e l’incremento di forze di terra iraniane a sostegno di al-Assad hanno allontanato ulteriormente la prospettiva di una no-fly zone, sebbene Erdogan ne abbia richiesto nuovamente l’attuazione in corrispondenza delle trattative con l’Unione Europea sull’emergenza migranti e rifugiati. Nel frattempo, Ankara ha ripreso i bombardamenti aerei contro le posizioni del PKK in Iraq, all’interno del territorio del Governo Regionale Curdo, mentre restano piuttosto sporadici gli attacchi alle posizioni del sedicente Stato Islamico in Siria.
Le relazioni con la NATO
Al fine di riaffermare le credenziali di appartenenza alla NATO e riequilibrare scelte di politica nazionale che non sempre sono apparse coerenti con le direttrici strategiche degli Alleati, il Primo Ministro turco ha offerto la disponibilità a ospitare il vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Alleanza successivo a quello in programma a Varsavia nel prossimo luglio, e ad assumere nel 2021 la guida della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la forza avanzata d’intervento rapido della NATO.
Tuttavia, in una prospettiva di approfondimento della cooperazione con la NATO e l’Unione Europea, la Turchia è chiamata a definire con chiarezza il proprio ruolo nello scenario internazionale e ad assumere maggiori responsabilità, in particolare nella regione mediterranea e mediorientale, dimostrando una reale apertura verso l’Occidente e i suoi valori di libertà, sicurezza e rispetto delle regole del diritto.
Il ruolo nel Mediterraneo e Medio Oriente
In Siria, oltre a svolgere un ruolo costruttivo nelle dinamiche militari del conflitto, Ankara potrebbe e dovrebbe favorire il raggiungimento di un accordo per l’avvio della transizione politica che conduca al dopo-Assad, facendo leva sugli stretti legami con i principali gruppi d’opposizione riuniti nel Consiglio Nazionale Siriano, di cui Erdogan è stato sin dall’inizio il principale sostenitore.
In Libia, Ankara è chiamata a favorire il processo di stabilizzazione che passa per l’accettazione da parte di Tripoli dell’accordo promosso dalle Nazioni Unite per la formazione di un governo di unità nazionale.
I numeri scaturiti dalle elezioni conferiscono, inoltre, al governo turco la credibilità necessaria per ricercare la cooperazione e un nuovo partenariato strategico anche con l’Egitto del Presidente Abdel Fattah al-Sisi, così come di riprendere il filo del dialogo con Israele finalizzato al rilancio del processo di pace con i palestinesi.
Le relazioni con la Cina
Peraltro, la prospettiva di una maggiore apertura della Porta d’Oriente verso una direttrice strategica euro-atlantica, impone alla Turchia di chiarire con gli Alleati la natura delle relazioni avviate con la Cina nel settore della difesa. In particolare, Ankara è chiamata a dissipare i dubbi sollevati dalla gara per l’acquisto da parte turca di un sistema di difesa missilistica di fabbricazione cinese.
Tale sistema non potrà ovviamente essere integrato nella struttura militare della NATO e appare in contraddizione con la solidarietà manifestata dalla NATO, che per ben tre volte ha risposto alle richieste formulate dal governo turco – sulla base dell’art. 4 del Trattato atlantico – di proteggere i confini del paese per mezzo del dispiegamento di batterie di missili Patriot. Inoltre, Ankara ha siglato un’intesa che fa della Turchia un Dialogue Partner della Shangai Cooperation Organization. Negli ultimi giorni CNN Turchia ha diffuso la notizia che Ankara avrebbe cancellato il contratto con la società cinese CPMIEC per l’acquisto dei sistema HQ-9.
Le relazioni con l’Unione Europea
Infine, è con l’Unione Europea che l’attuale crisi relativa alla gestione dei flussi di migranti e rifugiati siriani, offre alla Turchia una nuova opportunità per rilanciare e approfondire le relazioni di partenariato.
In tale prospettiva, tuttavia, ad Ankara si richiede di compiere importanti riforme che assicurino una netta discontinuità nella gestione del potere giudiziario e dei rapporti con i media.
Pilastro fondamentale della NATO sin dal 1952, anche in funzione della sua posizione strategica, la Turchia è chiamata ad affrontare rilevanti responsabilità e altrettante sfide, sia nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, che nei Balcani, nel Caucaso e in Asia Centrale.
Sebbene spetti ancora a Erdogan indicare la direzione della politica estera della Turchia e il suo livello di apertura verso l’Occidente, sarà compito dell’Unione Europea e della NATO saper favorire la cooperazione con Ankara e essere comunque pronti a saper gestire le scelte che compirà.
Foto: AFP, Aeronautica Turca, CPMIEC, AP
Fabrizio W. LuciolliVedi tutti gli articoli
Presidente del Comitato Atlantico Italiano e Presidente dell’Atlantic Treaty Association, è Docente di Organizzazioni Internazionali per la Sicurezza presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Svolge attività di formazione in varie istituzioni nazionali ed internazionali, militari ed accademiche. Già coordinatore di Corsi di alta formazione per ufficiali e diplomatici dei Balcani occidentali e del Medio Oriente, è Direttore e promotore di progetti di cooperazione NATO ed UE in Europa centrale ed orientale.