Contro il terrorismo ci vorrebbe più Humint

Nonostante le dimostrazioni di cordoglio, di solidarietà e di assistenza alla Francia, fra gli Europei sta cominciando a serpeggiare il panico per la mancanza di sicurezza collettiva. Le reazioni emotive stanno preparando l’opinione pubblica ad un ineluttabile intervento militare contro lo “Stato Islamico”, riproponendo il parallelismo con l’intervento contro Hitler e avviando la pubblica denuncia contro i sostenitori dell’area islamica in favore del Daesh.

Tuttavia non bisogna dimenticare che non ci si trova di fronte ad una guerra tradizionale, da combattere con aerei e carri armati, ma ad un conflitto asimmetrico per fronteggiare il quale occorrono anche altri e ben diversi mezzi e metodi.

La sicurezza e l’Intelligence sono da sempre gli strumenti attraverso i quali lo Stato definisce e difende i propri interessi nazionali, modellando la propria sovranità. Infatti – come già in precedenza affermato –  non c’è nulla di più internazionale del mondo dell’intelligence ove si conta se si è capaci di leggere e comprendere quello che avviene nel mondo, se si è in grado di acquisire autonome ed attendibili informazioni, altrimenti si è destinati a non contare nulla.

Sarebbe auspicabile, pertanto, una profonda riflessione sulla nostra immaturità politico-strategica, cercando di capire ciò che avviene nel “villaggio globale” invece di inseguire solo interessi personali, costituendo cordate – nelle quali regna l’assenza di etica, responsabilità, competenza e professionalità – in strutture pubbliche e private per gestire la “res publica” come interesse personale.

Un diffuso malcostume si è impadronito della società occidentale infrangendo regole, sia legislative sia morali, per rincorrere – a qualunque prezzo – splendide agiatezze, magari conquistate o da conquistare con munifiche corruttele, invece che impegnarsi fattivamente per tutelare gli interessi nazionali e risolvere problematiche di sottosviluppo ed emarginazione sociale, da cui nascono i “fiori di Bin Laden”.

Non bisogna considerare la situazione siro-irakena solamente come una guerra civile perché il motivo del contendere, oltre al cambio di regime, è molto più complicato ed investe attori protagonisti, mediati ed indiretti sparsi in tutto il mondo. In esso si confrontano, in via mediata, l’Islam politico sunnita – il cui campione è l’Arabia Saudita – e quello sciita, al cui vertice geopolitico c’è l’Iran, impiegando componenti del terrorismo transnazionale: quello attuale di matrice jihadista e quello storico degli Hezbollah libanesi che conserva la sua struttura operativa ispirata al terrorismo per contrapporsi ad Israele.

Nelle maglie larghe di questo conflitto hanno trovato spazio di manovra movimenti della galassia integralista che hanno fatto assurgere l’ideologia terrorista a Stato – califfato proclamato dall’IS –e portato il terrore fin nelle strade delle capitali occidentali.

Se non avertiamo questa complessità e lasciamo che tutto sia risolto dal confronto, al momento indiretto, fra Russia ed America rischiamo di non comprendere cosa sta avvenendo e la situazione conflittuale potrebbe tradursi in un’ulteriore escalation.

Per comprendere ciò che avviene nel mondo, occorre avvalersi dell’Intelligence superando rischi cognitivi qualora il suo prodotto finale sia demandato semplicemente ad algoritmi, specie se elaborati in Paesi terzi, con cultura diversa dalla nostra.

È necessario affiancare all’elaborazione elettronica anche quella fatta dalla mente umana, anche se talvolta tende ad immergersi nel mare magnum dei dati pervenuti senza abbandonare i propri condizionamenti culturali.

Tutto ciò può essere superato con il corretto impiego della HUMINT che, assistita da algoritmi nazionali, consente di bypassare una “collazione” priva di metodo, di superare i condizionamenti culturali e di percepire le reali intenzioni di avversari, partner ed amici.

Umberto Rapetto (generale in congedo della Guardia di Finanza), esperto informatico, nella trasmissione Uno-Mattina del 16 novembre u.s., ha tra l’altro sostenuto che le strutture intelligence, pur monitorando non riuscirebbero a sventare tutti gli attentati.

I linguaggi utilizzati sono allusivi, hanno sottintesi e doppi sensi sicché è difficile distinguere la pianificazione di un atto terroristico da una scherzosa conversazione.

Inoltre, i malintenzionati impiegano soprattutto conversazioni metaforiche in cui ad esempio, parlando di hamburger si allude a saponette di esplosivo plastico, o parlando di datteri si riferiscono a proiettili per arma da fuoco, ecc. L’inventiva terroristica è sconfinata.

A tutto ciò si aggiungono difficoltà interpretative della lingua, specie se arabo, perché differenti sono gli idiomi da paese a paese e quando si intende parlare di cose veramente pericolose si usano i dialetti sia quelli attuali sia quelli dei nonni, per cui ci vorrebbero soggetti poliglotta per capire effettivamente cosa si dicono i terroristi. La disponibilità di hardware, software e tecnologie avanzate e sofisticate è necessaria, ma occorre anche personale capace di utilizzare questi strumenti e di fare analisi di natura semantica.

In sintesi, impiegando correttamente la Humint ci accorgiamo che il futuro, a ben guardare, è già nel presente, in quanto il Mediterraneo è il teatro geopolitico e geostrategico più difficile e più delicato per la sicurezza mondiale.

L’UE, nonostante la sua incompiuta ed incongruente realizzazione, ha tuttavia assicurato ai suoi cittadini 70 anni di pace e se vuole conservarla deve determinare e difendere il proprio “interesse nazionale”, non certo con gli strumenti di dominio militare di una superpotenza ma impiegando il soft power.

Bisogna che assuma la consapevolezza di dover svolgere il ruolo di mediatore – capace ed onesto – nelle principali crisi che la circondano, stemperando gli eccessi retorici e politici e mettendo in piedi strategie basate su “bastone e carota” in grado di far tacere i cannoni e di ricomporre un ordine regionale che coinvolga gli interessi del maggior numero degli attori. L’UE, in quanto attore globale, ha una responsabilità inevitabile di ciò che accade nell’area di sua immediata influenza.

Il popolo americano auspica tutto ciò da anni, ricercando una relazione bilaterale franca e matura con l’amica Europa. Altrettanta considerazione la UE si aspetta di ricevere da oltre oceano, ma senza l’impegno a diventare partner a pieno titolo non potrà mai ottenerla. Non c’è ancora una politica estera ed una strategia comune ed è ovvio che se si continua nella negoziazione tra USA e UE con trattative basate su 29 attori (28 in Europa e uno in America) e non su due – con eccezioni anche importanti di ogni singolo Paese europeo, non armonizzate sotto il profilo della “casa comune” – si lascia ampio margine di manovra alle teorie strategiche di Friedman e dei suoi sostenitori.

Teorie che ricalcano quelle dei cosiddetti “neocon”, determinati a tener fede ad ogni costo al patto leonino tra Riad e Washington, stretto nel 1945 (Patto del “Quincy”, stretto nel 1945 fra gli Usa e l’Arabia Saudita – avvenuto a bordo dell’incrociatore Quincy fra Roosevelt e Ibn Saud- con cui l’America si impegnava a proteggere il regno wahabita ed in compenso avrebbe sfruttato il suo petrolio; in cambio l’Arabia diventava un alleato fedele nella Guerra Fredda contro le tentazioni comuniste nel Vicino Oriente.) dopo il trattato di Yalta.

La strage di Parigi, ha spinto anche la Francia di Hollande – oltre alla Germania che, stando alle dichiarazioni di Friedman, già c’era – fra le braccia di Putin per una nuova “santa alleanza” capace di assestare una punizione esemplare al Califfato e demolire l’Isis.

Se non vogliamo che i timori di Friedman prendano corpo bisogna dare concreta attuazione alle aspettative di sicurezza comunitaria, da tempo insorte e reclamate, mediante la costituzione di politiche e di strategie comuni, guardando gli eventi soprattutto con gli occhi della HUMINT e non solo con quelli dei satelliti.

Analizzare e valutare, con mentalità aperta e senza preconcetti anche il passato storico che ha generato il presente, per poter correttamente eseguire analisi con capacità previsionali riguardanti il futuro.

Foto: EMA, AP, Reuters, AFP, Getty Images, Esercito Italiano

Vignetta di Lancia

 

Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli

Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.

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