Gli alleati supportano la difesa aerea turca
A una settimana dalla riunione del Consiglio d’emergenza della NATO, convocato a seguito dell’abbattimento da parte di Ankara del jet russo Su-24 sul confine turco-siriano, l’incontro tra i Ministri degli Esteri dei 28 Paesi membri (1-2 dicembre) potrebbe aprire un nuovo capitolo nei rapporti con la Federazione russa.
Gli Alleati hanno infatti reso nota l’impegno di rafforzare, entro poche settimane, la difesa aerea turca sul confine con la Siria e l’Iraq, punto nevralgico per la sicurezza nazionale della Turchia e il confine meridionale della NATO.
Il supporto militare dovrebbe prevedere l’invio di aerei da ricognizione tedeschi e britannicii, unità navali tedesche e danesi a supporto della flotta della NATO nel Mediterraneo orientale, e di ulteriori batterie missilistiche Patriot, che dovrebbero aggiungersi all’unica schierata dalla Spagna presso Adana ,nel sud-est della Turchia, a seguito del ritiro in questi giorni delle quattro restanti che gli Stati Uniti e la Germania avevano dispiegato nel gennaio del 2013.
Durante le discussioni è stata menzionata anche l’ipotesi di includere alcuni velivoli NATO da scoperta radar e sorveglianza aerea (AWACS – Airborne Warning and Control System) che potrebbero essere impiegati anche per coordinare e guidare l’intervento di aerei da combattimento aereo.
Al momento, tuttavia, e fino alla sua definitiva formalizzazione, questa decisione resta una sonora dichiarazione di intenti atta a “rassicurare” la Turchia sulle future violazioni del suo spazio aereo e, in misura molto minore, su un’eventuale minaccia balistica proveniente dal confine con la Siria, definito dagli Alleati “fortemente instabile”.
A fronte delle cinque batterie di sistemi missilistici superficie-aria che erano state posizionate a sud della Turchia da oltre due anni (su espressa richiesta del Governo di Ankara), la sola batteria spagnola sarebbe del tutto insufficiente a un rafforzamento della difesa aerea turca.
È interessante notare come Ankara abbia più volte espresso il suo disappunto di fronte alla scelta congiunta di Washington e Berlino di non rinnovare il dispiegamento dei Patriot, senza comunque ottenere una decisione di continuità.
In questo senso, lo stesso abbattimento del bombardiere russo potrebbe aver rappresentato un ulteriore ed estremo pretesto per rafforzare le proprie richieste, dimostrando la consistenza della minaccia e la capacità di essere capace di intercettare gli aerei stranieri impegnati in operazioni militari in Siria. Del resto, se per ipotesi il bombardiere russo avesse effettivamente violato lo spazio aereo turco, non sarebbe un caso isolato.
Eppure, nonostante siano stati segnalati altri sconfinamenti degli aerei militari russi nel mese di ottobre, il Governo di Erdogan non era finora mai ricorso alla forza (peraltro diritto legittimo disciplinato dal Diritto internazionale in caso di violazione del proprio spazio aereo, a seguito delle azioni di intercettazione e avvertimento) per intimare a Mosca di porre immediatamente fine alle violazioni.
In proposito sembra che le massicce operazioni aeree che la Russia ha condotto a novembre contro lo Stato islamico (IS) e gli altri movimenti anti-Assad si siano concentrate in gran parte nella regione siriana limitrofa al confine con la Turchia, colpendo numerose postazioni dell’opposizione turcomanna, popolazione turcofona con una forza stimata di 5/9 mila combattenti con forti legami etnico-storici con Ankara. Questo porta a ritenere che l’abbattimento dl velivolo russo possa essere vista come un tentativo di provocare il diretto coinvolgimento dell’Alleanza Atlantica nella crisi siriana, senza però sortire alcun effetto.
D’altra parte, il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, aveva già chiaramente espresso in occasione della riunione dell’Assemblea Parlamentare a Norvegia, lo scorso ottobre, che l’Alleanza non ha intenzione di intervenire nel conflitto siriano come organizzazione. Sono i singoli Stati che agiscono nella coalizione contro lo Stato islamico guidata dagli Stati Uniti, i cui interessi strategici sembrano sempre più preminenti sulle voci minori e le posizioni più contenute degli altri membri dell’Alleanza atlantica.
Una simile ipotesi sembra essere confermata, in particolare, non solo dalla proposta dei giorni scorsi a Podgorica di entrare a far parte dell’Alleanza ma anche dal contestuale annuncio che, entro dicembre, gli Stati Uniti trasferiranno il proprio equipaggiamento militare (70 unità militari tra cui carrarmati, veicoli da combattimento per la fanteria e artiglieria) in Romania e Bulgaria, all’interno dell’operazione “Atlantic Resolve” a cui partecipano anche i Paesi baltici e la Polonia, allo scopo di favorire le esercitazioni congiunte e migliorare la capacità operativa degli Alleati
Non a caso queste mosse politiche sono state annunciate proprio all’indomani del rinnovato attivismo militare di Mosca nel conflitto siriano (che nei giorni scorsi ha deciso di schierare il suo sistema di difesa antiaerea più avanzato, i missili S-400) e del progressivo delinearsi di una coalizione anti-IS insieme alla Francia.
L’allargamento della NATO a Est è definito dal Cremlino come una delle principali minacce alla propria sicurezza nazionale, come tracciato dalla nuova dottrina militare russa, e l’incremento della quantità di mezzi e personale militare nelle basi di Novo Selo (Bulgaria) e di Michail Kolganiceanu (Romania) non fa che intaccare direttamente gli interessi strategici russi in Europa Orientale a favore di un atlantismo, che riflette sempre più l’influenza statunitense.
Il Montenegro costituisce un ulteriore tassello per completare la complessa architettura difensiva della NATO a Est e, di fronte a una tangibile perdita di influenza russa nei Balcani, contribuirà a innalzare la tensione tra Mosca e l’Alleanza, in un momento piuttosto favorevole per il Cremlino.
In proposito, alcuni Paesi NATO, tra cui l’Olanda e la Germania (interessata a garantire le sue esigenze logistico-militari soddisfatte dal progetto russo-ucraino Ruslan Salis, di cui resta uno dei maggiori clienti) si sono detti aperti a riattivare la cooperazione militare con Mosca tramite il regolare funzionamento del Consiglio NATO-Russia, fermo dal giugno del 2014. In uno scenario globale dove cresce la minaccia terroristica, lo scambio reciproco di informazioni non farebbe che ridurre i rischi.
Anche la Francia, che in Mosca ha trovato una potenziale ed entusiasta partner militare nella lotta al terrorismo, si è fatta portavoce delle volontà di ridurre le sanzioni economiche contro il Cremlino contribuendo al suo riavvicinamento europeo e ad accreditarla come affidabile.
È bene ricordare infatti, che il documento fondativo dei rapporti tra Mosca e la NATO (1997) resta ancora del tutto valido, e afferma che le parti non si considerano nemiche, differentemente dalla posizione di Washington dei confronti di Mosca e di quest’ultima nei confronti della NATO.
Di fronte al crescente prestigio russo e allo spettro di una nuova coalizione anti-IS, in grado di avvicinare Mosca a Parigi e di porsi in concorrenza con quella guidata da Washington, il recente allargamento della NATO a Est e la scelta americana di dispiegare i propri mezzi in Bulgaria e Romania, sembrano mosse deliberate per innalzare la tensione con Mosca.
In maniera lenta ma percettibile, sembra profilarsi un nuovo scontro di interessi tra la Russia e gli Stati Uniti, che potrebbe essere comodamente camuffato dietro al riaccendersi delle tensioni tra l’Alleanza e Mosca, proprio ora che quest’ultima era pronta a ricostruire la cooperazione tecnico-militare all’interno del Consiglio NATO-Russia.
Foto AFP, AP, Aeronautica Russa e Stato Islamico.
Anna MiykovaVedi tutti gli articoli
Nata a Kazanlak (Bulgaria), si è laureata con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia. Ha frequentato il Master in Peacekeeping and Security Studies a Roma Tre e ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato per il diritto internazionale umanitario. Ha fatto parte del direttivo del Club Atlantico Giovanile del Friuli VG e nel 2013 è stata in Libano come giornalista embedded. Si occupa di analisi geopolitica e strategica dei Paesi della regione del "Grande Mar Nero" e dell'Europa Orientale e ha trattato gli aspetti politico-giuridici delle minoranze etniche e dei partiti etnici.