I dolori di guerra delle aeronautiche europee

Al di là dei tentennamenti politici a impedire agli europei di combattere davvero (almeno dal cielo) i jihadisti è la carenza di cacciabombardieri operativi e di bombe.

Dopo la magra figura rimediata dalla Royal Air Force, incapace di schierare nella campagna contro lo Stato Islamico più di 10 Tornado su 80 ancora ufficialmente in linea e a corto di missili aria-suolo Brimstone e di bombe guidate (dopo la cessione di ampi stock alle forze aeree saudite per la guerra in Yemen), anche la Luftwaffe deve fare i conti con gli stessi problemi.
Non quelli di munizionamento, dal momento che i Tornado tedeschi effettueranno solo missioni di ricognizione e ricerca obiettivi (come i cacciabombardieri italiani), ma di velivoli Tornado disponibili.

Annunciando l’invio di 6 bombardieri di questo tipo in Turchia per le operazioni contro lo Stato Islamico il ministro della Difesa, Ursula von del Leyen, ha reso noto che non ci sono difficoltà a inviare in Medio Oriente una mezza dozzina di velivoli della trentina (su 93 assegnati ai reparti) che sono in grado di volare.

Limitata anche la disponibilità dei più recenti Typhoon, non superiore al 57%, la stessa dei vecchi cargo C-160 Transall.
“La situazione della nostra Aeronautica resta insoddisfacente nonostante l’adozione di un piano da 5,6 miliardi di euro in dieci anni che prevede una lista di 17 provvedimenti migliorativi” ha scritto in un rapporto l’ispettore generale della Difesa (equivalente tedesco del Capo di stato maggiore), generale Volker Wieker.

Nettamente migliore invece la situazione delle forze aeree francesi che schierano attualmente 38 cacciabombardieri (inclusi quelli imbarcati sulla portaerei De Gaulle) contro lo Stato Islamico tra Mirage 2000, Rafale e Super Etendard ma ne mantengono anche operativi 7 in Niger e Ciad nell’Operazione Barkhane contro i jihadisti nel Sahel.

Dall’inizio dell’Operazione Chammal nel settembre 2014 in Iraq e poi più recentemente in Siria sono state lanciate al 3 dicembre scorso 680 bombe in 2.500 sortite (al 3 dicembre) di cui 321 d’attacco con un bilancio di 580 obiettivi distrutti e una stima di un migliaio di jihadisti uccisi, come ha riferito unp0inchiestya di Le Monde.

Una media poco esaltante di poco più di un miliziano islamico ucciso on ogni ordigno.
Il contributo dei raid aerei francesi rappresenta il 5 per cento di quelli effettuati dall’intera Coalizione in cui gli Stati Uniti hanno effettuato l’80% delle incursioni. In termini di bombardamenti il contributo francese alla Coalizione è cresciuto del 20% con l’arrivo nel Mediterraneo Orientale della portaerei Charles de Gaulle.

Per far fronte all’escalation ordinata dal presidente Hollande dopo la strage di Parigi del 13 novembre, l’Armèe de l’Air ha ordinato negli USA centinaia di bombe guidate GBU per far fronte a un consumo di ordigni superiore al previsto con incursioni aeree incrementate a 4/5 al giorno. Secondo una fonte militare citata da Le onde solo nei tre giorni successivi alla strage di Parigi almeno 60 ordigni sono stati sganciati dai cacciabombardieri francesi sul Califfato.

Il problema dei limitati stock di bombe disponibili negli arsenale delle forze aeree europee emerse pesantemente già in occasione del conflitto libico del 2011 che richiese sette mesi di campagna aerea della NATO anche se a un intensità ben più bassa della guerra in Iraq e Siria.

Foto: UK MoD, Bundeswehr, EMA

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