Libia: detenere il comando senza "sporcarsi le mani"?

 

da Il Mattino del 29 dicembre 2015

La risoluzione dell’Onu che sancisce il supporto internazionale al nuovo esecutivo di unità nazionale che dovrà nascere entro gennaio in Libia non risolve il grave problema militare che attanaglia l’ex colonia italiana.

Nella migliore delle ipotesi il nuovo governo si insedierà a Tripoli entro fine gennaio ma mettere insieme le diverse milizie (molte delle quali si sono combattute fino a ieri) e costituirle come esercito sotto un’unica bandiera nazionale richiederà almeno  molti mesi. Tempi lunghi che avvantaggiano i qaedisti di Ansar al Sharia schierati in Cirenaica Occidentale e le milizie dello Stato Islamico che dilagano da Sirte verso i terminal petroliferi di Sidra, verso Misurata e in Tripolitania nel settore di Sabrata.

Giù oggi i foreign fighters giunti da Siria e Sahel stanno rafforzando le fila dei jihadisti, combattenti superiori per esperienza e capacità tattiche ai miliziani libici mentre la costituzione del nuovo governo sotto l’egida dell’Onu potrebbe determinare un contesto favorevole alla saldatura tra i movimenti jihadisti oggi rivali riunendo sotto un’unica alleanza Stato Islamico, Ansar al-Sharia e altri gruppi minori salafiti.

Un’intesa giustificata dalla posizione assunta dal Consiglio degli Ulema libico che ha definito l’accordo firmato per il governo di riconciliazione nazionale “contrario alla sharia”.
Per fermare i jihadisti in Libia la comunità internazionale, già in drammatico ritardo, potrebbe quindi essere costretta a intervenire a breve colmando le lacune militari delle milizie libiche.

Da più parti si sostiene che l’Italia avrà un ruolo guida nella missione internazionale che dovrà aiutare il nuovo esecutivo nei compiti di difesa e sicurezza ma, nell’intervista pubblicata da “Il Mattino” il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha precisato che l’ipotesi di raid aerei italiani per colpire le basi dell’Isis a Sirte è al momento da escludere.

Italia, Francia, Gran Bretagna e forse anche Germania stanno mettendo a punto un piano di supporto militare alla Libia, un’operazione non di combattimento che prevede la costituzione di un dispositivo di sicurezza che protegga le sedi istituzionali e alcuni siti strategici e curi l’addestramento e la consulenza delle forze libiche.

Però delle migliaia di reclute libiche che nel biennio 2013-2014 sono state addestrate in Italia ed Europa si sono perse le tracce. In molti sono stati cacciati per abusi e problemi disciplinari, un buon numero non ha completato l’addestramento, alcuni hanno chiesto asilo nei Paesi che li ospitavano e di quelli rientrati in Libia nessuno di loro  ha combattuto lo Stato Islamico mentre non é escluso che in diversi abbiano ingrossato le fila dei gruppi jihadisti.

Il programma addestrativo è naufragato anche per l’inaffidabilità dei vertici militari libici tenuto conto che nessuno ha mai saldato il conto da 600 milioni di dollari previsto per l’addestramento di 15 mila reclute.

Anche per questa ragione contare oggi sui libici per fermare lo Stato Islamico in Libia potrebbe risultare illusorio. Londra, Parigi e Washington preparano infatti anche azioni belliche contro lo Stato Islamico.

Indiscrezioni riferiscono di forze speciali britanniche già presenti nel Paese con compiti di ricognizione e intelligence. I jet francesi della portaerei De Gaulle hanno effettuato ricognizioni su Sirte e Le Figaro ha citato fonti militari per le quali “un’azione militare nei prossimi sei mesi se non prima della primavera viene considerata indispensabile”.

Forze speciali statunitensi sono atterrate nei giorni scorsi ad al-Wattyah, base delle forze fedeli a Tobruk a sud di Tripoli. Sono state costrette ad andarsene a causa dello scarso coordinamento tra le forze libiche ma il loro obiettivo pare fosse la base dello Stato Islamico a Sabrata.
L’indisponibilità di Roma a effettuare operazioni belliche contro lo Stato Islamico rischia di compromettere la leadership italiana nelle operazioni internazionali in Libia.

Del resto l’ambasciatore libico all’Onu, Ibrahim al-Dabashi, aveva specificato che la risoluzione Onu sulla Libia avrebbe aperto la strada ad attacchi aerei da parte dei Paesi occidentali (Italia inclusa) nell’ambito della lotta all’Isis.

Il rischio è quindi che Roma guidi una missione di supporto e addestramento di basso profilo mentre altri Stati conducono azioni belliche le cui ricadute peserebbero anche sui nostri interessi in Libia.

Difficile detenere il comando senza “sporcarsi le mani” e la guerra contro il regime di Gheddafi del 2011, scatenata dai  franco-anglo-americani e poi condotta stancamente dalla NATO, ha dimostrato come le iniziative dei nostri “alleati” perseguano interessi nazionali generalmente ostili a quelli italiani.

In questo contesto la decisione del governo Renzi di non coinvolgere l’Italia nei combattimenti, se può avere un senso in teatri bellici sempre più caotici come quello siriano-iracheno, rischia al contrario di limitare la capacità di tutelare i nostri interessi in Libia.

@GianandreaGaian

Foto: Reuters, Libya Today, AFP, Stato Islamico, Difesa.it

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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