Shabab e criminalità: una manna per le PSC in Kenya

Il Kenya è stato nel mirino della Jihad globale sin dai suoi inizi: il 7 agosto 1998 uno sconosciuto (ai più) Bin Laden salì alla ribalta delle cronache mondiali con un camion bomba contro l’ambasciata americana di Nairobi uccidendo 224 persone. Nel corso degli anni, l’attenzione del terrorismo, specialmente verso occidentali e cristiani, si è mostrata sempre più assidua e sanguinosa: kamikaze, bombe e attacchi contro aerei, chiese, scuole e centri commerciali.

Anche la criminalità comune è dilagata alimentandosi di arretratezza economica, discriminazioni, brutalità e corruzione delle forze di sicurezza: furti e rapine, rapimenti, razzismo e violenze di matrice varia. Perciò si è diffuso,  soprattutto nella province nordorientali e distretti costieri del Paese,  un clima d’insicurezza crescente. Una situazione sintomatologica di un’erosione dell’autorità statuale; un vuoto di potere che ha consentito, se non reso addirittura necessario, un proporzionale e discreto sviluppo del settore della sicurezza privata.

La percezione della popolazione e di altri soggetti è quella che lo Stato – ergo le forze di pubblica sicurezza – non sia in grado di garantire ordine e stabilità.

La cosa che ha maggiormente indignato nell’attacco all’Università di Garissa, infatti non è solo l’altissimo bilancio – 148 morti – ma il comportamento delle autorità prima e durante l’accaduto: dalla superficialità con cui hanno gestito le segnalazioni dell’intelligence alle 11 ore impiegate dalle forze speciali per percorrere ben 380 chilometri (su strada) e porre fine al massacro!

La Polizia keniana è sottopagata e presenta una scarsità di agenti. Dei 60.000 attualmente in servizio, circa 10.000 sono impegnati nella protezione di VIP e autorità politico-statali. Altri agenti sono impiegati in ruoli secondari o d’ufficio nonostante l’ampia presenza di personale civile. A questi aggiungiamo le normali “perdite” dovute a pensionamenti, dimissioni ed un elevato livello di mortalità in servizio. Un normale ricambio viene reso difficoltoso da una forte corruzione che, unitamente a mancanza di addestramento, equipaggiamento e fondi, rende impossibili reazioni adeguate.

Secondo fonti non precisate, l’unità antiterrorismo del Dipartimento di Polizia di Nairobi avrebbe un budget operativo mensile di 735 dollari! Questo nonostante il Kenya sia uno dei 5 maggiori beneficiari di finanziamenti statunitensi per la lotta al terrorismo, ottenendo nel solo 2013  8 milioni.

Inoltre, la Polizia  non gode della fiducia della popolazione a causa del mancato rispetto della legge e violenze ingiustamente perpetrate; molte le esecuzioni sommarie di criminali. Da quando Nairobi si è unita alla missione AMISOM, Al-Shabaab ha trasformato il territorio keniano in un campo di battaglia: da Aprile 2013 ad oggi ha ucciso più di 400 persone.

Ha danneggiato la vitale industria turistica e commerciale del Paese bersagliando località balneari e villaggi frequentati da occidentali (molti italiani), centri commerciali come il Westgate shopping Mall con  un assedio di diversi giorni e 67 vittime di diversa nazionalità. Con l’attacco di Garissa ha infine ulteriormente aggravato le storiche e cordiali relazioni tra comunità cristiane (83% della popolazione) e musulmane (10% della popolazione).

Mentre il presidente Uhuru Kenyatta ha riconosciuto che al settore sicurezza non è stata data l’attenzione che meritava e si sta ora lavorando ad un ripensamento dell’intero sistema pubblico, la Daystar University ha assunto una società privata per aumentare il proprio dispositivo di sicurezza, così come la Kenyatta University.

Sulla stessa linea si sono mossi i proprietari dei malls di Nairobi e dei resorts di Mombasa.  Il Ministro dell’Interno aveva già informato che le chiese cattoliche avevano assunto guardie private per proteggere le funzioni Pasquali. Altri clienti sono complessi industriali, istituti bancari, agenzie governative e non. Il boom del settore è tale che risulta esser il maggior contribuente fiscale e la principale fonte di occupazione del Kenya, superando sia l’industria automobilistica che quella del turismo.

Le società private si sono sviluppate a partire dagli anni 60, quando nel Paese già operavano realtà come KK Security, Factory Guards (ora Security Group) e Securicor (ora G4S Kenya). La principale espansione però si è avuta solo a fine anni 80 – inizio anni 90 ed è ancora in corso.
Attualmente, secondo la Kenya National Private Security Workers Union (KNPSWU), sindacato dei lavoratori, nel Paese operano circa 300.000 uomini e donne. Un numero considerevolmente aumentato in seguito ai recenti attentati e ben cinque volte superiore a quello della polizia! Il numero delle compagnie di sicurezza private invece è di circa 430.

Qualcuno è arrivato a parlare anche di 2.000 e più società in quanto, non essendo richiesti particolari permessi o licenze a cui subordinare apertura ed esercizio dell’attività molte società aprono e chiudono nell’arco di breve o risultano praticamente sconosciute.

Il panorama keniano risulta costituito da una maggioranza di soggetti di piccole e medie dimensioni (< 100 dipendenti), con proprietà e dirigenze coincidenti. La loro “capacità di proiezione” è locale: una città o un’area ridotta. Particolarmente colma risulta esser la capitale Nairobi per l’ovvia presenza di un maggior quantitativo di clienti ed obiettivi sensibili. Per contro, le compagnie di sicurezza private di grandi dimensioni operano più capillarmente a livello nazionale ed internazionale.

Solitamente, gli imprenditori sono locali o figure estere, provenienti soprattutto da Israele, Stati Uniti ed Europa. L’obiettivo di molti proprietari, specie i piccoli, è però quello di massimizzare i profitti e il loro stile di vita ad ogni costo più che crescere e sviluppare l’attività. Il settore risulta comunque dominato da una decina di “grandi” nomi: G4S Kenya, KK Security, Security Group, BM Security, Securex, Patriotic Guards, Ultimate Security.

La richiesta di servizi è andata evolvendosi negli ultimi anni (e mesi) dalle semplici guardie ai cancelli degli edifici – in cui sono specializzate le società minori – a futuristiche tecnologie di videosorveglianza e rilevazione di esplosivi, appannaggio dei grandi gruppi. Tali servizi risultano esser economicamente proibitivi per la maggioranza della popolazione che perciò vi rinuncia o ricorre a società di qualità inferiore e/o senza alcuna licenza. Gli albergatori ad esempio, seppur in un periodo di forte crisi, preferiscono investire nello scongiurare costosissimi attentati: il gioco vale la candela.

Attualmente Il mercato è saturo e si caratterizza per una forte concorrenza tra le società; chi vuole entrarvi – legalmente e regolarmente – necessita quindi di massicci investimenti.

Tuttavia, la maggior parte delle società opera irregolarmente senza garantire uno stipendio minimo, sfruttando i propri dipendenti con turni estenuanti o praticando tagli eccessivi, senza coperture assicurative, ferie ed un’adeguata formazione.

Diffuse anche le molestie sessuali ai danni delle operatrici. La forte disoccupazione fa si che la manodopera non manchi, a qualsiasi prezzo e condizione di lavoro.

La guardia privata in Kenya è un lavoro decisamente poco redditizio. Nonostante esista una legge che garantisce un salario minimo, essi possono variare considerevolmente da una società ad un’altra e da un contratto all’altro.

Gli stipendi più alti sono quelli pagati dalle società più grandi e strutturate che godono di clienti più prestigiosi come le ambasciate, gruppi societari e  bancari ecc. Mediamente, una guardia privata guadagna tra i 5.000 e i 18.000 scellini kenioti al mese (57-205 dollari), con contratti a tempo determinato di 12 ore al giorno, 6 giorni a settimana. Lo stipendio minimo garantito  è di 10.912 scellini (123 dollari) – senza retribuzione di straordinari né malattia. Non sono previsti nemmeno risarcimenti in caso di decesso.  

Uno degli aspetti più sensibili e dibattuti del settore è quello relativo all’armamento. Nonostante costituiscano la “prima linea di difesa del Paese”, le guardie private sono praticamente disarmate; possono disporre solo di manganello e fischietto. Questo, unitamente al fatto che operino in contesti altamente rischiosi e l’inefficienza della polizia, fa si che il numero delle vittime sia molto elevato. I vigilanti infatti sono stati i primi a cadere sia nell’attacco al Westgate mall che al campus di Garissa.

Il Segretario Generale della KNPSWU sostiene che solo tra gli affiliati della sua associazione vi sono stati 53 caduti nel solo 2013. Stima inoltre che nell’intero settore i morti sarebbero almeno tre volte tanti. Se qualcosa accade, l’ordine è quello di ripiegare ed attendere l’arrivo della polizia.

Generalmente un veicolo (privato) viene mandato in soccorso mentre un altro alla più vicina caserma della Polizia per prendere i poliziotti e portarli rapidamente in loco. Ciò comporta un’elevata perdita di tempo e rischi sia per gli operatori privati che per i “protetti”. Da anni si sta spingendo per armare le guardie private che, essendo ormai dappertutto, costituirebbero un ottimo deterrente e contrasto. Se non armi da fuoco, almeno dovrebbero esser forniti giubbotti antiproiettile ed un adeguato addestramento.

La necessità di armi è ovviamente più rilevante per chi si trova a vigilare shopping malls, aeroporti e altri obiettivi ad alto rischio. Esiste tuttavia una certa riluttanza nell’armarli, in quanto considerati una “forza parallela” potenzialmente rischiosa per l’intero Paese.

Una possibilità non così remota considerando i bassi stipendi, collusioni con criminali e scontri avvenuti tra le varie PSCs. Qualora si decidesse positivamente, dovrebbero esser effettuati i debiti controlli e verifiche prima di procedere alla distribuzione di armi.

Particolare attenzione anche a formazione e responsabilizzazione visto che, specialmente nelle ore notturne e con eccesso di alcool, anche i più professionali contractors occidentali ne hanno combinate di tutti i colori. In particolari occasioni, alcune società provvedono ad armare dei piccoli gruppi di dipendenti attraverso licenze individuali seguendo una prassi non illegale ma nemmeno ufficialmente riconosciuta; ampio spazio viene lasciato quindi all’interpretazione.

Le due  associazioni di categoria – KSIA e PSIA –  sostengono che la miglior soluzione sarebbe quella di implementare la cooperazione con le forze di pubblica sicurezza e di accrescerne il numero, anche se mai sufficienti ad offrire ai cittadini il grado di sicurezza fornito dal settore privato. Coordinazione e cooperazione con la forza pubblica invece risultano ancora poco sviluppate ed efficienti, informali e caratterizzate da concorrenza e diffidenza.

La scarsa regolamentazione è quindi un problema molto sentito che si ripercuote sulla qualità e sicurezza. Gli standards, tuttavia, possono variare completamente a seconda del tipo di realtà presa in considerazione: si va da società strutturate come la G4S ad altre del tutto improvvisate!

Da anni sono in corso tentativi d’inquadramento del settore, in particolare sul modello sudafricano e britannico – i più completi a livello globale – anche per  ottenere una chiara comprensione e distribuzione di compiti tra gli attori di sicurezza pubblici e privati. Il primo tentativo si è avuto con il Private Security Industry Regulation Bill del 2004. Hanno fatto seguito diversi aggiornamenti i cui principali sono del 2009, del 2010 e l’ultimo dovrebbe essere quello del 2014.

Con questi provvedimenti è stata istituita un’autorità di vigilanza PSIRA (Private Security Regulatory Authority) ed una regolamentazione “d’apparenza” che ha perennemente lasciato gravi incertezze su  addestramento, stipendi ed effettiva applicazione di quanto prescritto nelle versioni precedenti. Non solo non vengono stabiliti requisiti minimi di trasparenza, responsabilità e di reclutamento ma mancherebbero anche particolari regole amministrative e finanziarie.

Nel negoziato sui punti salienti sono stati coinvolti anche operatori del settore che hanno, tuttavia, ripetutamente lamentato la presenza di vertici politici (proprietari a loro volta di compagnie di sicurezza private) che hanno volutamente e continuamente osteggiato riforme definitive.

Nel settore delle PSC keniote sono presenti due associazioni di categoria: la Kenya Security Industry Association (KSIA) e Protective Services Industry Association (PSIA).

Le due realtà sono diametralmente opposte in quanto la KSIA promuove le istanze delle grandi società, soprattutto straniere, mentre la PSIA riunisce gli attori medio-piccoli e autoctoni che lamentano spesso di esser tagliati fuori dalle grandi commesse. La KSIA è la più vecchia e attualmente ha una trentina di affiliati. Essa punta molto su qualità e standard di alto livello. PSIA invece conta un’affiliazione di più di cinquanta società.

Particolarmente attivo risulta esser il sindacato Kenya National Private Security Workers Union (KNPSWU). Membro della Uni Global Union, nel 2013 ha visto un aumento di 8.500 nuovi iscritti.
Grazie alla quasi quarantennale operatività e forte sviluppo , le compagnie di sicurezza private keniane hanno rappresentare un punto di riferimento per i Paesi circostanti. Con dinamismo e modernità, hanno potuto espandersi oltre confine in una situazione di monopolio. In un settore interno maturo e stabile, mentre le piccole società continuano a crescere (ma anche a chiudere) come funghi, il trend delle società principali è quello di un consolidamento delle quote con fusioni ed acquisizioni. Tra le principali società abbiamo:

G4S Kenya: Precedentemente Securicor, fa parte della multinazionale britannica G4S che opera a livello globale in circa 125 Paesi. Tra i 623.000 dipendenti, 15.000 operano in Kenya. Oltre ad esser la più numerosa in termini di dipendenti, è anche quella con la maggior capillarità: circa 70 località in tutto il Paese. Si occupa di qualunque attività e servizio attinente la sicurezza: Valutazione rischi, protezione VIP, gestione manifestazioni e grandi eventi, trasporto valori e vigilanza banche/atm, radio allarmi, videosorveglianza e altre tecnologie avanzate. Trattandosi di una delle aziende leader a livello mondiale presenta tutte le certificazioni di qualità e aderisce praticamente a tutti gli standards e regolamentazioni del settore.

KK Security: Operativa da più di 20 anni. Detiene più del 70% dei contratti relativi alla sicurezza di ambasciate e rappresentanze diplomatiche sul territorio keniano. Solo in Kenya ha al suo servizio 9.000 guardie. Ogni settimane, abilita tra le 60 e 100 nuove reclute. Opera anche in Tanzania, Malawi, Uganda, Drc, Rwanda e Burundi. Tra i clienti annovera l’ambasciata americana, UE, ONU, e la catena di alberghi Sheraton. E’ certificata ISO 9001 e membro ICoCA. Fornisce guardie, unità cinofile K9, servizi di tracciamento e monitoraggio persone, assets e veicoli, tecnologie di sorveglianza, sicurezza VIP grandi eventi, gestione emergenze e trasporto valori
Newport’s Africa: Attiva dal 2006 in Africa centrale ed orientale nonché nell’Oceano Indiano. I clienti principali sono multinazionali ed organizzazioni pubbliche e private, governative e non, gruppi bancari e delle telecomunicazioni, costruzioni e logistica. Si occupa di analisi, sicurezza, gestione rischi ed emergenze, addestramento e formazione, indagini e investigazioni. Ha una serie di certificazioni di qualità quali ISO 9001, 14001 e 18001. E’ membro ICoCA.

Ultimate Security: Con sede nella capitale, opera nella sicurezza residenziale dal 1979. E’ presente anche in Tanzania e Uganda, offrendo svariati servizi di sicurezza tra cui le tradizionali guardie statiche o “askari”, servizi di vigilanza e radio allarme, soccorso stradale, antincendio e consulenza. Ha circa 5.000 dipendenti.

Securex: Fondata nel 1970, opera principalmente e con proprie strutture in Kenya, Uganda e Rwanda. Recentemente è stata impegnata anche in Somalia, Sud Sudan, Burundi, DRC e Congo. Con oltre 6.000 dipendenti, preferibilmente keniani, fornisce servizi di sicurezza di alta tecnologia come sistemi di videosorveglianza, controllo accessi, raggi X e body-scanners. E’ certificata ISO 9001.

BM Security: Fondata nel 1984 con sede a Nairobi, si occupa di consulenza, unità cinofile, addestramento e formazione, indagini e guardie statiche. Fornisce anche servizi di alta tecnologia quali sistemi d’allarme e monitoraggio, videosorveglianza ecc.

Wells Fargo: A partire dal 1977 inizia la sua esperienza vigilando su strutture del settore bancario e altre istituzioni finanziarie a Nairobi e dintorni. Sviluppandosi nel corso degli anni è arrivata ad offrire servizi di sicurezza a organizzazioni pubbliche e private di una certa consistenza a livello nazionale. Conta più di 100 uffici e sale operative nel Paese e circa 4.000 guardie al suo servizio. E’ membro attivo della KSIA.

Foto: AP, AFP, Reuters, Kenya Police, PSC

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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