I guai della difesa belga

«Che cosa servirebbe all’America per vincere la guerra di Corea?», domandò perplesso un reporter del New York Times. Il soldato interrogato rispose, lungimirante: «Marines, Marines e ancora Marines». Parole applicabili in toto alla situazione odierna europea. Negli ultimi vent’anni, la gestione degli strumenti militari del vecchio continente è stata a dir poco disastrosa.

In particolare per quanto concerne le risorse umane. Gli effettivi delle forze armate sono stati decurtati ovunque. In Belgio più che altrove, con un trend che non accenna a diminuire. Bruxelles dispone oggi di un’unica Forza Armata, con quattro componenti, terra, aria, mare e sanità, per un totale di 32.000 uomini e 6.000 riservisti.

Il generale Marc Compernol, numero 2 delle Forze Armate e capo delle operazioni, è stato molto franco con chi glielo chiedeva: «non abbiamo più risorse per l’esercizio.

Gli uomini sono sempre meno addestrati e meno sicuri nelle operazioni reali». Per scelte politiche e strategiche deleterie, la Difesa è oggi quasi ingestibile. Dal 1998 al 2015, il budget è sceso del 26% in euro costanti. E non meraviglia che la Forza Armata possa svolgere ormai solo compiti di sostegno e protezione.

La struttura delle forze è inadatta a lunghe operazioni terrestri in contesti di guerra irregolare e ibrida. Ancora meno a copertura massiccia di un territorio.

Emblematica la contrazione della potenza di fuoco della componente terrestre. All’Esercito Belga non restano più che due brigate, una mediana e una leggera, parzialmente equipaggiate.

Leopoldsburg ospita il quartier generale della brigata mediana, un’unità su quattro battaglioni di 550 militari, proiettabili a rotazione per missioni di peacekeeping. Attualmente, una compagnia del battaglione Principe Baldovino assicura la protezione dell’area addestratuva di Koulikoro, a 60 chilometro dalla capitale maliana Bamako.

Quando i francesi lanciarono l’operazione Serval, nel gennaio 2013, Bruxelles fornì due elicotteri AW-109 MEDEVAC, schierandoli prima a Sevaré, poi a Gao. Ora starebbe meditando di rimpiazzare un’unità francese in Niger, nell’ambito dell’operazione Barkhane. Sarebbe della partita una compagnia combat rafforzata di 200 elementi. Così riporta il quotidiano La Libre Belgique, citando una fonte militare.

Lo schieramento compenserebbe la fine della partecipazione belga all’EUTM (European Union Training Mission) in Mali, a metà giugno 2016. In caso di emergenza, gli 80-90 militari belgi fungono già da forza di reazione rapida della Missione.

La brigata mediana si sta addestrando regolarmente per proiezioni oltremare della durata massima di un anno. Non oltre, perché mancano i fondi.

Basti pensare che il Belgio non ha potuto fornire neanche un uomo all’operazione europea in Centrafrica, un vero e proprio smacco per una Forza Armata che ha proprio nell’ottima conoscenza del teatro africano uno dei suoi punti di forza.

Nemmeno lo Special Forces Group se la passa tanto bene. Nell’ultimo triennio, ha dovuto rinunciare all’addestramento in scenari desertici, prima usuale a Camp d’Arta a Gibuti, sancta sanctorum dei commando francesi. Un pacchetto di forze speciali dovrebbe affiancare la compagnia mediana in Niger, se la missione sarà confermata.

Certo le disponibilità belghe non impressionano più nessuno. A inizio 2016, la componente terrestre ha in linea 18 AIV con cannone da 90 mm, contro i 130 Leopard 1A5 del 2000. I 32 AIV con bocche da 30 mm e i 367 AIV, Pandur e Dingo con mitragliatrici da 12,7 sono poca cosa rispetto ai 1.000 blindati di un tempo; per non parlare dell’artiglieria, passata da 72 semoventi M109 da 155 mm a 24 obici da 105.

L’emorragia appare solo tamponata dalle misure del 22 dicembre scorso e dal varo del Piano Strategico 2030. L’escamotage adottato è tipico di chi non sa più che pesci pigliare. Il ministro della Difesa, Steven Vandeput (nella foto a sinistra), non ha fatto che proporre una ricetta già collaudata altrove. Ridurre drasticamente gli effettivi per realizzare risparmi sulla massa salariale e liberare risorse per l’acquisto di nuovi materiali.

Gli effettivi belgi scenderanno così dai 32.000 odierni a 25.000 nel 2030. Un taglio del 25% circa. Il budget della Difesa dovrebbe invece salire dallo 0,9% del PIL all’1,3%. Molto sotto il fatidico 2% chiesto dalla NATO. Il piano punta ad avere meno soldati, con un’età media non superiore ai 34 anni, contro i 40 attuali. «Ci concentreremo sui giovani, per essere più proiettabili, con carriere più brevi ma dirette all’azione», ha sintetizzato il ministro alla radio RTL

La componente terrestre perderà 2.000 uomini, per attestarsi sulla soglia altamente critica di 9.000 effettivi. Non ci saranno licenziamenti. Semplicemente non verranno rimpiazzati i militari pensionandi, mentre parte del personale sarà riconvertito e assegnato alla nuova Direction Surveillance et Protection della Polizia federale, creata per quei compiti di sicurezza interni finora assolti dai militari.

Ricordate la caccia al super-ricercato Salah e il coprifuoco di fine novembre? Bruxelles era disseminata di forze speciali e convenzionali. Berretti verdi, neri, marroni. Per le strade della capitale c’erano fanti, paracommando e cacciatori delle Ardenne, tutti con esperienza di combattimento in Mali, Libano e Afghanistan, forse sprecati per quel compito anche se per dotare tutti i soldati nelle strade di giubotti antiproiettile Bruxelles ne ha dovuti chiedere molti in prestito alle forze statunitensi.

Vandeput cerca di rassicurare. Interrogato sempre da RTL sui tagli venturi, si è giustificato: «quello che la Difesa non potrà più fare è il lavoro logistico. Potremmo appaltarlo al settore privato, per esempio».

L’unica buona notizia del Piano strategico 2030 è che la difesa belga prevede investimenti per 9,2 miliardi di euro. Ufficializza l’acquisto di 34 cacciabombardieri per sostituire gli F-16 e comprerà sei droni, due nel 2021 e altri quattro nel 2030 radiando i B-Hunter acquistati nel 1988.

Poi valuterà la partecipazione a un programma europeo di tanker. Metterà risorse per l’acquisto di due fregate e sei cacciamine, per veicoli terrestri e sistemi di comunicazione, con l’obiettivo dichiarato di riequilibrare spese di esercizio (25%), personale (50%) e investimento (25%), visto che le seconde assorbono ormai il 77% delle risorse del bilancio (come in Italia).

Manca solo il piano direttivo del ministro, che dovrà dettagliare l’insieme delle misure da adottare entro fine legislatura (2019) e lanciare le gare. La più ghiotta è quella per l’aeronautica (COMPOSAIR -Componente Aerea). Il programma Belgian Defence-Air Combat Capability (ACCap) è ancora nella fase preliminare dei contatti per selezionare il vincitore tra i velivoli F-35 Lightning II di Lockheed Martin,  l’F/A-18E/F Super Hornet di Boeing, il Rafale di Dassault, lo JAS-39 Gripen di Saab e l’Eurofighter Typhoon.

Il recente accordo belga-olandese per la sorveglianza congiunta dello spazio aereo del BENELUX sembrerebbe favorire l’F-35, già acquisito dai Paesi Bassi. Il governo belga vorrebbe conservare a tutti i costi anche la capacità di strike nucleare.

Nella base aerea di Kleine-Brogel, sono stoccate venti bombe nucleari tattiche statunitensi B-61, impiegabili in missioni della NATO secondo il principio della doppia chiave. Nel 2020 arriveranno anche le future versioni della B61 (type 12). Fra i caccia pretendenti, solo il JSF e il Rafale sono abilitati all’uso. I francesi sembrano agguerriti. Dassault ha già proposto ai belgi lo standard F3R del Rafale, che dovrebbe esser disponibile, certificato e qualificato a partire dal 2018.

Parigi avrebbe garantito il 100% di trasferimenti tecnologici e ritorni economici almeno equivalenti all’investimento.

All’ultimo salone parigino di Le Bourget, Dassault ha accolto in pompa magna il generale Gérard Van Caelenberge e il deputato Dallemagne, facendo lobbying in vista della futura competizione. I belgi sono vecchi clienti di Dassault, principale azionista della SABCA (Société Anonyme Belge de Construction Aéronautique), numero 1 del comparto aeronautico belga.

Non ultimo, formano i loro piloti a Cazaux, addestrandosi congiuntamente con l’Armée de l’Air. Sebbene la COMPOSAIR parteggi per l’F-35, l’opinione pubblica non è tanto favorevole al velivolo statunitense, dai costi elevatissimi, ancora immaturo e scarsamente foriero di posti di lavoro. Il precedente dell’Olanda che ha dovuto ridurre drasticamente il numero di velivoli da acquistare per non sforare il budget previsto lo dimostra chiaramente.

La fattura per l’F-35 potrebbe lievitare del 50% oltre i 4 miliardi previsti dal programma di sostituzione degli F-16. E tutto è ancora in fieri. Per gli altri concorrenti non c’è quasi storia. Partono tutti in seconda fila. Il Super Hornet sembrerebbe fuori gioco, nonostante le ripetute visite ‘di cortesia’ in Belgio. L’Eurofighter non gode di molte simpatie, mentre il Gripen NG non risponde al meglio ai requisiti belgi di proiezione oltremare.

Tanto più che Saab avrebbe già deciso di gettare la spugna. Nell’attesa che i giochi siano fatti, la COMPOSAIR declina inesorabilmente, anzitutto nei numeri. Da 160 F-16A/B, la flotta è scesa oggi a 56 esemplari. Nel 2030 sarà davvero poca cosa, con appena 34 velivoli da combattimento che significa averne forse un terzo sempre disponibili. E il microcosmo belga ben rappresenta la prospettiva di grave deficit di forze militari che affligge l’Europa.

Foto: Difesa Belga, Lockheed Martin e Photo News

Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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