Roma pronta alla terza guerra di Libia?

da Il Sole 24 Ore

Continuano a moltiplicarsi gli elementi che sembrano indicare l’inizio del conto alla rovescia per un’operazione militare contro lo Stato Islamico in Libia.

Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha parlato esplicitamente di piani per un intervento militare internazionale in Libia che coinvolge italiani ed alleati in un intervista al Corriere della sera. Negli ultimi mesi “abbiamo lavorato più assiduamente con americani, inglesi e francesi. Siamo tutti d’accordo che occorre evitare azioni non coordinate. Ma c’è un lavoro più concreto di raccolta di informazioni e stesura di piani possibili di intervento sulla base di rischi prevedibili” ha detto il ministro.

Difficile però comprendere quale possa essere la tempistica dell’operazione e gli obiettivi specifici, almeno dal punto di vista del governo italiano. Da un lato la Pinotti (nella foto a fianco) ha dichiarato che “non possiamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo” ma al tempo stesso ha precisato che “non parlerei di accelerazioni, tanto meno unilaterali”.

Nei giorni scorsi sono invece trapelate molte indiscrezioni circa un accelerazione di Washington, Londra e Parigi che avrebbero già sul campo forze speciali per addestrare e consigliare le truppe locali, in particolare le forze fedeli a Tobruk e al generale Khalifa Haftar e forse anche le milizie di Misurata.
La necessità di contrastare il rapido espandersi dello Stato Islamico, che sta ricevendo rinforzi e volontari dal Sahel e dal Nord Africa, potrebbe diventare una priorità per i nostri alleati anche rispetto alla necessità, più volte ribadita a Roma, di consentire al nuovo governo di riconciliazione nazionale di insediarsi a Tripoli.

I piani del Pentagono. in parte rivelati da fonti citate dal New York Times, pare prevedano attacchi aerei contro Sirte e le roccaforti dello Stato Islamico abbinati a incursioni mirate di forze speciali e alla presenza di consiglieri militari per addestrare le milizie locali.

Una guerra senza “boots on the ground”, o comunque con una limitata presenza di forze terrestri occidentali, che assomiglia molto a quella in atto da un anno e mezzo in Siria e Iraq contro l’Isis rivelatasi finora ben poco incisiva.

Ben più agevole e rapida sarebbe stata un’azione bellica contro lo Stato Islamico un anno or sono, quando le milizie jihadiste non si erano ancora radicate sul territorio e disponevano di forze molto limitate.

Un intervento internazionale potrebbe quindi risultare prolungato nel tempo ma mobilitando un numeri limitato di mezzi e velivoli così da rendere superfluo l’uso massiccio di basi italiane come avvenne durante il conflitto contro il regime di Muammar Gheddafi nel 2011 che impegnò numerosi aeroporti militari del Meridione utilizzati dai velivoli della Nato.

L’operazione contro l’IS in Libia potrebbe avere le sue basi di retrovia a Sigonella (già impiegata a tempo pieno dagli statunitensi) e Trapani (dove l’aeronautica italiana ha schierato un paio di droni Predator e 4 cacciabombardieri AMX) ma il grosso delle forze e gli stessi velivoli verrebbero probabilmente schierati nelle basi aeree disponibili in Libia, soprattutto nel settore di Tobruk e Bengasi.
Nei giorni scorsi la stampa libica ha rivelato che una delegazione militare e d’intelligence italiana “di alto livello” ha incontrato il generale Haftar (nella foto sotto) nella base di di al-Marj, città della Cirenaica nota con il nome di Barce ai tempi della colonizzazione italiana.

Non si può escludere che l’obiettivo della visita fosse anche quello di definire il rischieramento in quell’area di mezzi, velivoli e truppe italiane
Circa la tipologia di intervento la Pinotti ha parlato di aiuti che i libici hanno già indicato di preferire: protezione del governo quando si insedierà a Tripoli, formazione e addestramento.

Si tratta degli obiettivi che l’Italia ha sempre dichiarato di voler perseguire rivendicando un ruolo guida dell’intervento multinazionale. Al di là del fatto che il governo di riconciliazione nazionale di Fayez al-Sarraj non si è ancora costituto e non è certo che riesca a insediarsi a Tripoli, nei piani italiani non sarebbero comunque previste azioni belliche contro lo Stato Islamico.

Una scelta in linea con le azioni che i militari italiani effettuano in Iraq, dove i 4 bombardieri Tornado effettuano solo missioni di ricognizione.
L’Italia sembrerebbe quindi chiamarsi fuori dal piano del Pentagono per l’attacco allo Stato Islamico anticipato dal New York Times o quanto meno voler mantenere un profilo più basso.

Secondo fonti ben informate le forze che Roma potrebbe mobilitare rapidamente per l’intervento in Libia sono costituite da forze speciali, paracadutisti della brigata Folgore (da tempo mantenuta in riserva di pronto impiego per un’emergenza in Libia) e fucilieri di Marina della brigata San Marco con una dozzina tra cacciabombardieri AMX, droni e aerei da trasporto affiancati da altrettanti elicotteri.

La Marina schiera da tempo di fronte alle coste libiche una mezza dozzina di navi dell’operazione Mare Sicuro tesa a proteggere le piattaforme off-shore dell’ENI e a intervenire per difendere gli interessi nazionali e il terminal del gasdotto Greenstream di Melitha, a ovest di Tripoli.

@GianandreaGaian

Foto: Ansa, AP, Stato Islamico, Isaf e Difesa.it

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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